Tutti hanno paura della Cina? Beh, sembrerebbe di sì, è la colpa è soprattutto (o quasi) delle auto elettriche. Lo scorso mese di ottobre l’Unione Europea aveva fatto partire un’indagine per controllare le sovvenzioni elargite da Pechino per la produzione di vetture a emissioni zero. L’obiettivo era quello di scoprire se ci fosse o meno la presenza di una vera concorrenza sleale con i produttori europei. L’indagine, che dovrebbe concludersi a breve, adesso però passa in secondo piano. Il presidente degli Usa Joe Biden, infatti, secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, “ha annunciato di aver quadruplicato dal 25 al 100% i dazi sulle importazioni di auto elettriche prodotte in Cina”. Anche il Vecchio continente aveva minacciato delle sanzioni, ma adesso è incastrato tra due fuochi che guardano al Dragone con occhi diversi, visto che “la Francia vuole un arresto all’import della Repubblica popolare, la Germania teme però le possibili ritorsioni”. Si tratta di due casi completamente agli antipodi. Molte aziende automobilistiche tedesche, infatti, da anni tessono rapporti commerciali molto profondi con la Cina; addirittura, rivela il Fatto, “nel 2023 l’interscambio commerciale (tra tedeschi e cinesi, ndr) […] ha raggiunto i 253,1 miliardi, confermando per l’ottavo anno consecutivo il primato di Pechino tra i partner commerciali della Germania davanti agli Stati Uniti”. Questa situazione, si legge ancora sul quotidiano diretto da Marco Travaglio, “è anche frutto degli investimenti diretti tedeschi in Cina che nel 2023 sono aumentati del 4,3% raggiungendo il record di 11,9 miliardi […] negli ultimi tre anni le aziende tedesche hanno investivo in Cina quanto nei sei anni precedenti”. E in tutto, riporta il giornalista Nicola Borzi (dati ripresi da Transport & Envirnment) “quasi un quinto (19,5%) dei veicoli elettrici venduti in Europa nel 2023 sono stati prodotti in Cina”. Ma adesso, riporta il Fatto, “a rischiare di pagare i rischi nascosti da lustri nelle decisioni del governo tedesco sono tutti gli europei”. Ed è qui che entra in gioco la Francia…
Infatti, sottolinea sempre Borzi, “l’asse franco-tedesco che da lustri gestisce le mosse della Ue sta scricchiolando […] da un lato, dunque, l’Unione europea è sotto pressione della Francia per frenare l’invasione delle auto elettriche prodotte in Cina […] dall’altro, per salvare i suoi interessi economici e gli investimenti miliardari dei suoi colossi automobilisti nella Repubblica Popolare da ritorsioni di Pechino, Berlino cerca di frenare possibili decisioni forti di Bruxelles”, e nel mentre l’Italia sembra aver perso la sua occasione. Ad analizzare la situazione automobilistica tricolore, sempre sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, questa volta è il giornalista Carlo Di Foggia, che rivela altre scaramucce a distanza tra Governo e il Gruppo Stellantis. “A Livorno, la Finanza e l’Agenzia delle Dogane hanno sequestrato 119 Fiat Topolino e 15 Topolino Dolcevita per gli adesivi con la bandiera italiana, contestando al rivenditore […] la ‘fallace indicazione sull’origine del prodotto’ (sono fatte in Marocco)”. Il caso, quindi, si lega inevitabilmente all’ultimo modello di Alfa Romeo che ha dovuto cambiare il nome da Milano a Junior dopo i commenti negativi del ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso; ma la posta in palio sarebbe molto di più che un semplice nome o un centinaio di adesivi. “La situazione - scrive Di Foggia - è desolante […] Stellantis (a cui il Governo ha chiesto di tornare a realizzare un milione di vetture l’anno, ndr) nel 2023 s’è fermata a 540mila auto prodotte, 752mila con i veicoli commerciali. Nel 2024, i dati provvisori indicano un calo tra il 10 e il 30%”. Insomma, l’obiettivo milionario sembra trasformarsi in una futile utopia. Inoltre, bisogna anche tendere conto che Stellantis ha raggiunto un accordo con il suo brand cinese Leapmotor per cominciare a produrre alcune vetture negli stati comunitari, inclusa l’Italia; e poi c’è di mezzo anche la situazione, a dir poco drastica, degli stabilimenti ex Fiat che, si legge sul Fatto, “lavorano ormai soprattutto su modelli datati, con molta Cassa integrazione e incentivi all’esodo per ridurre di qualche migliaio di unità gli occupati”. In tutto questo caos c’è anche la diatriba con i giornali editi da Gedi di John Elkann, e l’intenzione del ministro Urso di far entrare un secondo produttore in Italia; sì, un produttore cinese. “Ma l’impressione - commenta Di Foggia - è che l’Italia abbia ormai perso questo treno. Egli allegri carnefici dell’auto tricolore sono noti”.