Guido Meda mette a fuoco una delle passioni più inspiegabili, e proprio per questo irresistibili, dell’automobilismo: il sovrasterzo. Lo ha fatto con il tono di chi ha vissuto in prima persona ciò di cui si sta parlando, partendo da un parallelo tanto provocatorio quanto centrato. In un articolo pubblicato su Auto ha scritto: “Qualche numero fa parlavamo della paradossale inutilità del motore a 12 cilindri, per concludere che spesso sono le cose inutili a rendere sensate le libidini”. Ecco quindi il sovrasterzo. “Il sovrasterzo è l’inutile essenza della guida”, scrive Meda. E come dargli torto? È spreco dichiarato: di gomme, di benzina, di carrozzerie. Ma è anche godimento puro, di quelli che non hanno bisogno di giustificazioni. Se le condizioni lo permettono - pista libera, auto giusta, testa accesa e un pizzico di sana follia - basta lasciarsi andare. Non stiamo parlando dei freni a mano nei parcheggio innevati dell’ Esselunga. Meda è chiaro: si parla di “sovrasterzo fatto bene, ma bene davvero”. Quello che parte da un’accelerata decisa, si allunga in curva e si controlla con finezza. Il tipo di derapata che, se riesce, ti fa sentire come se l’asfalto fosse tuo.

È l’equivalente automobilistico dell’impennata in moto: “inutile, infantile e assolutamente irresistibile”. Ma qui non si tratta solo di tecnica o spettacolo. C’è qualcosa di più profondo. Meda lo descrive come una danza precaria tra controllo e perdita, tra istinto e ragione. “Non è l’auto che perde aderenza: sei tu che oscilli tra perdere e ritrovare le certezze fino al momento in cui sei padrone del tuo caos calmo”. A sostenere questa filosofia del traverso c’è anche Graziano Rossi, padre di Valentino, che nei primi anni 2000 ha portato il termine “drifting” nel paddock della MotoGP. Una parola nuova, sconosciuta, che univa l’estetica della derapata al mondo delle gare. “Sono gare democratiche”, diceva Rossi, “basta una trazione posteriore e le gomme belle gonfie”. Fu un periodo breve, ma intenso. Nacque così una vera corsa alle auto “buone per derapare”. E qui Meda cita un’epoca simbolo: quella delle Bmw M3 E36, aspirate, senza controlli elettronici, leggere davanti e con un retrotreno che “non scappa per davvero: ti aspetta. Ti dice ‘dai, vienimi a prendere, se ne sei capace’”. E tu ci provi, “bastardo felice”. Poi magari consumi due stipendi in gomme e frizioni, ma intanto impari. E godi. Non tutti ressero. Il drifting, come moda e stile di guida, ebbe vita breve. Meda stesso tentò una via più personale, con una vecchia Alfa 1750: “una poesia meccanica recitata con la voce roca”. Non aveva nemmeno il differenziale autobloccante, ma ogni curva era un invito alla sfida: “Allora, lo fai o non lo fai?”. Dopo un testacoda vicino al muretto a Franciacorta, due treni di gomme ricostruite andati in fumo e il rischio concreto di demolire tutto, Guido racconta di aver guardato la sua Alfa, elegante nel blu presidenziale, e deciso: l’avrebbe rispettata. Per sempre. Per la fiducia che gli aveva dato.

Il punto è che tutto può andare di traverso, anche il Maggiolino. Sì, proprio lui. Quello da famiglia, da prete o da hippie. “Anche lei, su uno sterrato giusto e con le pressioni giuste, ti insegna la danza tribale del controsterzo”. Niente servosterzo, niente elettronica. Solo un volante sottile e un motore che ronza come un tagliaerba arrabbiato. Eppure… “scoda. Lo giuro. Scoda e sta là. Basta volerlo”. Nel confronto tra trazione anteriore e posteriore, è evidente che la seconda vince in passione. Anche se, come osserva Meda, “il novantacinque percento degli automobilisti non sa cosa guida”. E in fondo non è nemmeno così importante. Le auto di oggi nascono già perfettamente equilibrate. Il punto di equilibrio non è da cercare: è già lì. Ma allora a cosa serviva tutto quel sovrasterzo? “Quello che ci raccontavamo all’epoca del drifting era una paraculata”, ammette. “Un banale pretesto per concederci qualche metro in sovrasterzo. Eppure, a pensarci bene, l’unico momento in cui accettavamo davvero che qualcosa andasse di traverso… era proprio quello”, chiude Meda.
