Anche questa settimana, Netflix prosegue imperterrita nella sua missione: quella di rifilarci una serie interessante ogni, a voler essere generosi, dieci mediocri. E di certo La vita che volevi non rientra nella prima casistica. Sei episodi, la serie è subito schizzata in cima ai più visti della piattaforma. Protagonista, Vittoria Schisano nel ruolo di Gloria; alla regia Ivan Cotroneo, che ne è anche autore insieme a Monica Rametta.
Cotroneo è, tra gli altri, il creatore di Tutti pazzi per amore, Una grande famiglia, È arrivata la felicità: sceneggiatore prolifico per la fiction Rai, con questa serie si cimenta in un prodotto per la serialità in streaming. Solo che viene il dubbio che a Netflix nessuno gliel' avesse detto. Perché questo La vita che volevi potrebbe tranquillamente essere una fiction Rai da prima serata; ad eccezione per la protagonista transgender, l'effetto deja-vu di scene già viste è continuo.
È chiara la volontà di restituirci un personaggio iconico: Gloria in tacco 12, Gloria l'ex star della disco, Gloria la donna di successo. Gloria che non si piange addosso né si autocommisera, perché ha lottato tanto in passato e adesso è decisa a vivere la vita che voleva. Essendo la Schisano essa stessa una persona transgender, sulla carta sembrava l'interprete ideale: chi meglio di lei poteva capire appieno il vissuto di Gloria? Il problema è che la recitazione della Schisano, più che il metodo Stanislavskij, segue quello Gabriel Garko. Come se non bastasse, dato che a doti attoriali la Schisano va forte, ad affiancarla come protagonista maschile, sono stati scritturati Giuseppe Zeno e l' unica espressione che aveva a disposizione.
La baracca la salva, o almeno le evita l'affossamento, l'interpretazione di Pina Turco nel ruolo di Marina, una volta migliore amica di Gloria.
Il potenziale in La vita che volevi c'era, eppure la complessità alberga altrove: sembra che lo spettatore debba capire tutto subito; qualora non ci riesca poi, arrivano le musiche didascaliche. Un esempio? Gloria e gli altri personaggi ricevono notizie sconvolgenti, covano rancori di lungo corso, si portano dietro dolori: basta una mezza smorfia e tutto va avanti. Si detestano ma riescono a parlare civilmente; covano segreti da anni ma li confessano con un'ovvietà disarmante. Le notizie che dovrebbero apportare pathos alla narrazione, semplicemente scivolano via. Le emozioni non esplodono né implodono; gli eventi si limitano ad aggiungersi.
L'unico sussulto che questa serie regala, è all'inizio del quarto episodio: quando partono i Blur di Girls and boys in sottofondo. E per favore, non specifichiamo che la serie va comunque apprezzata per il coraggio: la Schisano questo malcelato pietismo d'accatto non se lo merita. È importante che le persone trans non vengano raccontate solo come sex worker? Certo. Che ci sia una, parola odiosa, “normalizzazione” della transessualità? Ri-certo. Allora stronchiamo La vita che volevi come merita: esattamente come faremmo con un'attrice nata donna. Con l'augurio che la serie di Cotroneo sia solo il primo capitolo che ha aperto la via.