Cose che si potevano dire e fare e non si potrebbero dire o fare più. Vedendo una concorrente di colore, Lorenza, azzeccare un frutto assaggiandolo bendata rispondere: “Eh, ma ci è cresciuta con le papaye”. In esterna affiancare a ogni concorrente una modella magrissima, perfetta, bellissima, che però deve dare l’idea di non saper cucinare (e forse neanche mangiare?). Mandare per premio la squadra delle donne e di Carmelo all’acquapark e dire: divertitevi come delle bambine. E tu, Carmelo, fai il papà. Prendere maschi dalla squadra blu e metterli nella squadra rossa delle femmine per gestire la brigata di donne perché da sole non potrebbero finire neanche il servizio. Lanciare filetti, schiacciare capesante bruciate, buttare nel cestino risotti al salto, uova in camicia leggermente troppo cotte, taccole non spuntate. Questo era Hell’s Kitchen, lo show con Carlo Cracco. Non lo trovate più su Sky o su NOW, ma su Pluto Tv, una piattaforma gratuita per programmi storici (Settimo cielo, Carabinieri e così via) con pochissima pubblicità, che dà l’effetto di guardare davvero la tv come una volta. Vi basta l’influenza, o stare con qualcuno con l’influenza, per bruciare in pochi giorni almeno una stagione di un programma violentissimo, politicamente scorretto, opulento, menefreghista, sprecone, ma divertentissimo. Oggi invece pure le scarpe dei concorrenti vengono donate a “last minute market”.
Le prove sono: cucinare risparmiando più energia possibile, cucinare insetti perché sono il cibo del futuro (e non perché siano buoni, giustificazione ben più interessante per un programma serale senza intento pedagogico), cucinare solo vegetale, cucinare senza sprechi, cucinare fondendo culture lontane, guardando a Oriente. Uno show new age, noiosissimo. Dato per scontato che non si guardano questi programmi per il cibo, che non puoi né imparare a cucinare per via del montaggio né assaggiare per via dello schermo, quello che resta è il canovaccio, se non il copione, insomma la storia. E la storia era meglio quando si stava peggio, quando uno si affettava un dito, un altro si spaccava la schiena, la gente urlava, si minacciava (“ti lancio una padella” o “ti riempio di testate” o “ti do un pugno”), Carlo Cracco mandava indietro anche il migliore degli spaghetti perché c’era una goccia di pomodoro neanche nel piatto, ma sul camice dei concorrenti. Dove se fai una prova con delle modelle le modelle sono quattro ragazze che rispecchiano i canoni del tempo, dove non c’è odore di body positivity, dove non serve mandare messaggi subliminali e fare pubblicità occulta e mode o valori particolari. La più grande bugia del postmodernismo è stata quella che ci ha portato a credere che tutto sia politico, che tutto sia ammantato di ideologia, che tutti siamo costantemente indottrinati. No. Alcune volte non lo siamo, siamo messi in pausa, distratti, tenuti buoni, quel che volete. Ma questo lo fanno sia con Hell’s Kitchen di ieri che con il Masterchef di oggi. Il lavaggio della morale a cui ci obbligano i nuovi programmi li rende noiosi, inefficienti, improduttivi. Li rende stantii, sempre uguali.
Ci ingannano, come hanno ingannato il grande Igles Corelli, che lamenta il fatto che a Masterchef non venga data un’immagine del mestiere del cuoco verosimile (e lo dice lamentando un eccesso di aggressività che era tipica delle stagioni con Cracco. Bastianich, svariati anni fa; e in una di quelle stagioni tra gli ospiti per altro ci fu proprio chef Corelli, che evidentemente ai tempi non pativa troppo le scenette del programma). Ma chi vuole sapere come si fa davvero il cuoco guardando Masterchef? Nessuno. Il cibo è un trend, lo dimostrano i food influencer. Il trend è ciò che interessa, ma è anche un punto di incontro, anzi di equilibrio, tra una tema e la soglia di attenzione del pubblico. Nessuno ha mai detto che a Masterchef si debba insegnare il mestiere del cuoco a chi a casa cucina pasta in bianco e scatoletta di tonno, esattamente come guardando Uomini e donne non ci aspettiamo di imparare nulla sulle tecniche di seduzione.