Un teschio di coniglio, chiamato “Armando”, e una donna che lo presenta come portafortuna su uno dei palchi più seguiti della televisione italiana. Non è l’inizio della storia di un serial killer americano, ma l’ingresso scenico di Martina Buriani a MasterChef Italia. “Ho portato il teschio del primo coniglio che ho cucinato e mangiato”, ha spiegato la concorrente toscana, che inizialmente lo aveva esibito in una teca, per poi portarlo con sé in tasca fino alla sua eliminazione. “Armando” non è stato solo un oggetto, ma il punto di rottura tra ciò che siamo abituati a vedere e ciò che scegliamo di ignorare: Quando il macabro diventa linguaggio, le reazioni oscillano. Cosa c’è davvero dietro la narrazione che Martina ha portato in scena? Un vero e proprio rituale: un feticcio che racconta controllo, potere e significato della morte. È una trasformazione che colpisce profondamente perché ci costringe a confrontarci con ciò che più o meno consapevolmente evitiamo, ricordandoci una verità ineludibile: il passaggio al di là accomuna tutti gli esseri viventi. Conigli compresi. Martina ha tendenze omicidiarie o addirittura seriali? No. Ma non è stata neppure una concorrente qualsiasi. Ha scelto il linguaggio del macabro per raccontarsi, trasformandolo in un efficace strumento di personal branding, come lo definirebbe la brand advisor Chiara Franchi. “Armando” non rappresentava solo la morte, ma la sua rielaborazione: da elemento perturbante a oggetto esteticamente affascinante, capace di attrarre anche ciò che normalmente respinge. Non si è trattato solo di un simbolo proveniente dal passato. Attraverso piatti che sfidano il gusto tradizionale - come i tagliolini mantecati al midollo con cervello fritto, che non a caso ha chiamato “Comunicazione” - Martina ha ridefinito i limiti del linguaggio culinario mescolandolo con l’estetica del male. Ingredienti “scomodi” come cervello e midollo sono diventati mezzi narrativi per ridefinire ciò che è accettabile.
Un simile storytelling, sottile ma incisivo, ha trasformato il marginale in centrale, catturando l’attenzione anche se a tratti per alcuni disturbante. La concorrente toscana ha così creato una forte identità. La propria. Neppure dare un nome al teschio è stata una scelta casuale. “Armando” non era più un oggetto inanimato, ma è diventato un protagonista. Umanizzandolo, Martina ha creato un legame emotivo con il pubblico, rompendo barriere e avvicinando ciò che normalmente inquieta. Questo ha reso il perturbante più vicino, più comprensibile e impossibile da ignorare. Una sorta di macabra legge dell’attrazione. Gli spettatori, intrappolati in questa narrazione, si sono così trovati incapaci di distogliere lo sguardo. La provocazione non era fine a sé stessa: Martina ha dato una lezione. Ha mostrato quanto siamo disposti a normalizzare e trasformare il male in estetica, purché sia confezionato con intelligenza. Non si è limitata a cucinare, ma ha scritto una storia che sfida istinto, emozione e ragione. Il suo potere comunicativo ha catturato tutti, dimostrando come il linguaggio noir, se orchestrato con cura, possa restare impresso al grande pubblico. Il racconto della Buriani, costruito attraverso simboli forti come Armando e piatti che sfidano il concetto stesso di gusto e accettabilità, ha parlato infatti ad un target più ampio. Un target capace di includere non sono gli appassionati di cucina, ma anche chiunque sia attratto dallo storytelling non convenzionale. Alla fine, non era solo un teschio, ma una strategia. Una strategia che prima di emozionare gli altri, ha emozionato Martina.