Nel mondo della ristorazione, come in quello del lavoro in generale, il sacrificio è spesso presentato come l’ingrediente segreto del successo. Antonino Cannavacciuolo, icona della cucina italiana, è tornato su questo tema durante un’intervista al podcast Millions di Tommaso Mazzanti e Joe Bastianich, raccontando aneddoti di turni massacranti, mani immerse nell'acqua saponata e anni senza riposo. Retorica dei tempi andati e della gavetta che aiuta a crescere, framing militare con brigate e comandanti, capitalismo fordista applicato alla cucina come vera e propria catena di montaggio. Lo chef napoletano trapiantato nella provincia piemontese, che oggi gestisce un piccolo impero tra ristoranti, bistrot, laboratori e hub logistici, nelle sue offerte di lavoro dichiara di offrire un benefit ai dipendenti di “10 sessioni di supporto psicologico/coaching tramite Serenis”. Mossa perfetta per la salute mentale dei dipendenti? Forse, perché a leggere le cose in segno inverso sotto potrebbe esserci dell'altro. Il blog Italian Wine Drunkposting getta il seme del dubbio: visti i discorsi di Cannavacciuolo sul sacrificio, benissimo che offra questi servizi, ma non sarebbe ora di eliminare il problema alla radice? Non sarebbe meglio eliminare le premesse che mettono i dipendenti nella condizione di dover richiedere supporto psicologico?
Benvengano le aziende che offrono supporto psicologico ai dipendenti. Lavorare stanca, diceva Cesare Pavese, ma la fatica fisica è sopportabile finché non interviene quella mentale. Come un signature dish uscito male, il mito del sacrificio oggi rischia di essere indigesto. In passato, l’idea del lavoro duro e a ogni costo come unica chiave per il successo poteva avere un senso, specialmente in un settore così esigente come quello della ristorazione. Ma oggi il contesto è cambiato: il personale scarseggia, i giovani chef abbandonano le cucine e il personale di sala scappa. Orari interminabili, salari sproporzionati alle competenze richieste, nessuna distinzione tra vita privata e professionale. Va bene l'assistenza psicologica, ma non è come mettere sotto al lavandino un piatto dove ci si è lasciati andare la mano col sale? Servirebbero tutele sindacali, e magari anche i sindacati, il cui ruolo oggi è decisamente evaporato.
La retorica dell'eroe e della rivalsa, poi, lievita sempre male. Come osserva Italian Wine Drunkposting, nel 2012, quando Cannavacciuolo racconta di essere costretto a lavare i piatti per mancanza di risorse, Villa Crespi era già una realtà ben consolidata: “due stelle Michelin, inclusione nel prestigioso circuito Relais & Châteaux e uno chef ormai proiettato verso una brillante carriera televisiva con Cucine da incubo”, citiamo dal blog. Dobbiamo davvero credere che non ci fossero risorse per un altro lavapiatti? O siamo di fronte all’ennesima glassatura narrativa che serve a rendere il piatto più appetitoso per il pubblico? Il problema non è il sacrificio personale di un imprenditore che sceglie di lavorare giorno e notte per far crescere la propria attività. Il vero nodo arriva quando questa filosofia scivola nei contratti dei dipendenti, trasformando la dedizione in sfruttamento. La crisi del settore non è una semplice penuria di manodopera, ma una crisi sistemica: turni insostenibili, retribuzioni inadeguate e una cultura aziendale che spesso somiglia più a un servizio da fast food che a un’esperienza gourmet. Certo non è questo il caso dei ristoranti di Cannavacciuolo, ma “Il caso di Villa Crespi, con i suoi frequenti annunci di ricerca di personale, è un esempio lampante di una problematica più ampia. Strutture di alto livello, che sulla carta dovrebbero attrarre i migliori talenti, si trovano invece in difficoltà nel trattenere i dipendenti”. Fare curriculum è l'obiettivo principale di chiunque inizi o porti avanti una carriera, ma l'assistenza psicologica non basta a sopperire una carenza strutturale nel mondo del lavoro. È un discorso generale, e non limitato al caso di Cannavacciuolo. La migliore aspettativa sarebbe quella in cui saranno i datori di lavoro ad aver bisogno del supporto psicologico, e non i dipendenti.