Su Maria Callas, fama doverosa a parte dovuta all'incanto della sua voce inimitabile, se ne sono dette molte, ma al di là delle inevitabili biografie che raccontano i fatti salienti della vita del soprano, compresa l’illustre liaison clandestina, passionale e tormentata con l’armatore greco Aristotile Onassis che la lasciò per sposare Jackie Kennedy, una nebulosa oscurità avvolge il suo privato. L’attesa uscita del film di Pablo Larraìn con Angelina Jolie nei panni della Callas, ha creato aspettative di uno sguardo più autentico e ravvicinato sull’animo complicato e tormentato dell’artista, eppure Maria porta avanti la narrazione tra pubblico e privato della divina, sul filo della memoria tra il ricordo e la follia. L’operazione che vede Usa e Italia vis à vis, con la prorompente bellezza di Angelina (a poco serve il trucco di scena per appesantirne i lineamenti), il nostro factotum Pierfrancesco Favino nei panni del maggiordomo Ferruccio insieme ad Alba Rohrwacher in quelli della fedele domestica Bruna Lupoli, non restituisce allo spettatore la vita del soprano, per una conoscenza più intima, nonostante la dimensione dicotomica rappresentata della donna Maria e della diva Callas. E a parte la disperata vertigine di depressione e di pillole che sfumano i contorni tra realtà e allucinazione, nelle lunghe passeggiate con il Mandrax e qualche piccola mania - il film scorre sull'andirivieni del pianoforte a coda spostato dal salotto all’anticamera, trascinato dal povero Favino - della Callas traspare poco, se non l'immagine triste di una vecchia pazza. All’inizio ci verrebbe da dire che a cotanta stella hollywoodiana, i modesti interpreti del nostro cinema potrebbero giusto spicciarle casa appunto, per l’impatto visivo della Jolie alter ego della austera Divina alle prese con i due servitori. Ma a onor del vero ai due riconosciamo, se non vera e propria sicumera, di certo la serenità nel fronteggiare un così ravvicinato rapporto sulla scena con una delle attrici tra le più professioniste d’oltreoceano e, se una punta di complessata reverenzialità ci fosse, non si nota.
Di certo è voluto il focus sugli ultimi tempi della vita di Maria con la fine drammatica della relazione con Onassis e l’avanzare della malattia che le impedirà di cantare. Le pennellate cupe di tragicità esistenziale dell’artista capricciosa con un passato modesto e senza amore non bastano a far amare la donna nota ad alcuni solo per la fama. Fuori dal cinema abbiamo ascoltato le impressioni a caldo del pubblico romano che ci regala sempre tante emozioni. ‘Non sapevo che da giovane avesse fatto la prostituta’, chiosa la Signora in pelliccia di una certa età. E chissà se la borghese dama nostrana sa che Maria Callas amava ricevere i suoi ammiratori all'interno del più vecchio ristorante di Roma, che vanta ormai cinquecento anni portati con dignità e classe, dalla cucina semplice di altissima qualità e gli arredi spartani e confortevoli. Noi a La Campana ci siamo andati, sulle tracce di Maria nel suo soggiorno romano, e ci siamo accomodati proprio al tavolo dove era solita pranzare. Certo è difficile immaginare la divina, avvezza alle sete e ai broccati della residenza parigina di Avenue Mandel del film, seduta in un angolo di questa ex locanda, ordinare una porzione di trippa al pomodoro coperta di pecorino o due fiori di zucca filanti. Ad ogni modo, mentre giuravamo di arrivare a sterminare pure la torta di mele occhieggiante da una gigantesca teglia nel buffet, siamo stati distratti dal nostro vicino di mensa, proprio lui, Gazzelle in libera uscita con la sua compagnia di cantori. In questa storica nobile saletta ci hanno pranzato Caravaggio, prima di essere accoltellato durante una lite qui dietro in Via della Pallacorda, Goethe, Picasso, Guttuso e Pasolini e adesso ci siamo noi e Flavio Bruno Pardini, Gazzelle, appunto, cantautore indie che se la comanda nella scena romana. Il trentacinquenne con la frangetta mutuata come troppi ormai da Liam Gallagher, che ha frequentato lo stesso liceo romano di Tony Effe, parla poco e divora maialino arrosto, beve Peroni e ogni tanto esce a fumare seguito dal suo codazzo rumoroso. La nostra cena sulle orme di Maria Callas assume toni decisamente meno alti a sfondo calcistico, considerazioni sulle donne più o meno papabili e riferimenti ad Alberto Camerini, canticchiando Tanz Bambolina con lieto curioso stupore, cosa che a noi matusa ha fatto tanto ridere. Noi siamo cresciuti con l'arlecchino meccanico e il suo 45 giri e i giovini guru della scena indie romana cantano Rock’n roll robot sbranando carciofi alla giudìa. Noi abbiamo optato per i fiori di zucca fritti ripieni di alice e mozzarella, sublimi, panciuti, filanti e lontani da quegli iniqui simulacri surgelati da biastèma, per proseguire con i carciofi fritti a spicchio, capisaldi delle feste, non unti come quelli delle peggiori cucine di Caracas qui in Città, trippa al sugo, specialità del quinto quarto romano, con mezzo chilo di pecorino sopra e una lombata di vitella per stare leggeri. Per sgrassare, torta di mele caramellate a dovere, a impasto basso, soffice e bollente, con il suo ottimo gelato alla crema. Questo antico ristorante dove Maria Callas riceveva gli intimi e dove Gazzelle spolvera le sue cene con noi, lo caldeggiamo con ardore, diamo dieci a tutti i piatti, al servizio e alla location, e ululando Casta Diva per l’omonimo vicolo Della Campana ce ne andiamo per i casi nostri, pensando che noi italici al massimo saremmo in grado di fare un film sulle gesta di Katia Ricciarelli. Non ci resta che sperare di intercettare la Befana in preparativi, nei pressi di Piazza Navona.