Se il rap e il djing sono universalmente riconosciuti come due dei quattro pilastri fondanti della cultura Hip-Hop (gli altri sono la breakdance e i graffiti), oggi dopo 50 anni di tradizione non vale più la stessa equazione. Un testo rap può non essere Hip-Hop, così come può non esserlo una base, anche se include scratches e campionamenti, che del genere sono un marchio di fabbrica.
Nell’intervista pubblicata da Aelle Magazine per l’uscita del suo ultimo album, “60 Hz II”, Dj Shocca ha definito il suo lavoro come un gesto antagonista, così come lo era stato “60 Hz” originale quando era uscito nel 2004, di cui questo vuole essere l’aggiornamento 2.0.
Nato come controcultura, l’Hip-Hop ha fatto dei suoi primi estimatori dei discepoli pronti a combattere pur di mantenerne viva la fiamma. Il produttore Dj Shocca e gli artisti reclutati per rappare sulle tracce di “60 Hz II” sono fra questi e insieme hanno realizzato quello che si potrebbe definire un manifesto, non tanto per riunire gli adepti di una setta, ma piuttosto per riesumare un’eredità che la musica mainstream sta sotterrando. Ora che il rap occupa le classifiche più del pop, il genere ha perso la sua natura sovversiva a favore di un riconoscimento sociale e diciamolo, anche economico. Riportare sotto i riflettori un progetto che ha segnato la scena Hip-Hop italiana come “60 Hz” non è sfruttamento e nemmeno revival, ma un atto d’amore per una cultura. Durante l’evento di presentazione alla stampa ha dichiarato: “60 Hz II non è un bancomat. Le mie origini sono umili, ma piuttosto che pensare alle comodità di una vita agiata, per me è importante fare musica con i coglioni, onesta, autentica e che possa emozionare le persone.”

Dei 18 brani che compongono il disco, ci sono sia produzioni costruite ex novo, come “Il diavolo con me” e “Stella nera”, sia rivisitazioni di pezzi presenti in “60 Hz”, come la traccia di apertura, “60 Hz II”, in cui le parti melodiche sono state ri-suonate live. Nelle altre canzoni i rimandi sono più o meno velati, tra campionamenti e citazioni di barre, oltre che il ricorso agli stessi Mc. C’erano ieri e ci sono vent’anni dopo, Inoki, i Club Dogo, Mistaman, Mad Bunny, Primo, qui presente con una barra postuma affiancato da Guè e Izi, poi ancora Danno, Frank Siciliano e Stokka.
A loro Dj Shocca ha sapientemente accostato esponenti della scena attuale, in cui riconosce lo stesso rispetto per la cultura, che univa gli artisti del primo “60 Hz” e che probabilmente sono diventati rilevanti proprio perché con quel disco ci sono cresciti. “Ci hanno preso ad esempio, Ora i figli dei nostri figli hanno il suono ancora più grezzo” dice Tormento in “Sempre grezzo II”. In questa schiera troviamo Gemitaiz, Ele A, Nitro, Clementino, Ensi e Nerone ed Ernia, più, ancora dalla vecchia guardia, Neffa, Tormento e Ghemon. Il distintivo dello stile Shocca, ma in generale del rap Old School sono i bassi e precisamente quelli con una frequenza di 60 Hz appunto, diventati simbolo di questa corrente. Così come lo sono i jeans baggy (così si intitola l’ultima traccia), i tatuaggi e i gioielli vistosi (“Riconosci i kings dagli anelli a monogramma, L'inchiostro sulla pelle” rappa Frank Siciliano in “60 Hz II”).
Tra rivendicazioni e rivisitazioni, i suoni di Dj Shocca avanzano di un’era, proiettando i sapori di quell’ormai leggendario “60 Hz” nella contemporaneità. L’inclinazione sacrale che fan e rapper riservano al rap di quell’epoca è la dimostrazione ingenua della loro riconoscenza, Izi in “Ghettoblaster” lo chiama la sua chiesa, Ghemon invece lo definisce “Vangelo sul suono”. Dico ingenua perché in realtà sia Izi che Ghemon, ma anche Gemitaiz e tanti altri, non ne hanno fatto un’ideologia vincolante, perché il rap in fondo non è una religione. Hanno sperimentato e spaziato in altri ambienti sonori, senza però perdere l’autenticità, quella sì da onorare fino alla fine. Sacro è lo spirito con cui ci si approccia alla musica, non la forma. Anche perché il rischio sarebbe di non progredire, trasformando il genere in un corpo ben mummificato da mostrare ai posteri come modello. Mad Buddy lo dice molto più poeticamente, “Odio i rapper bloccati nel passato Perché i ricordi sono come un sentiero di vetri rotti”. “60 Hz II” non è solo un disco per nostalgici, ma un manuale da studiare per rimanere veri, anzi, come dicono i rapper, real.
