A volte bastano due parole — “tavolino dell’Algida” — una melodia familiare e la voce di Max Pezzali. E boom: sei di nuovo lì, nel ’98, seduto per terra col joystick in mano, la PS1 che carica Tekken 3 e qualcuno fuori che palleggia con un Supersantos sgonfio, con addosso la maglia tarocca di Ronaldo il Fenomeno. Il nuovo singolo dei Pinguini Tattici Nucleari, Bottiglie Vuote, non è solo una canzone: scatena un amarcord lucidissimo, un cortocircuito emotivo fatto di dettagli semplici, evocativi e affilatissimi. Le immagini parlano a tutti, ma solo chi è cresciuto in quel decennio ne sente davvero il peso: quel mondo è ancora tutto lì, sospeso tra un’estate infinita e un CD masterizzato con “883” scritto sopra con il pennarello. Pensavo che avrei scritto di musica, come al solito. Ma qui la notizia non è nel suono, ma nel testo e nelle immagini che evoca. Perché i Pinguini sono millennial, e hanno scritto una canzone che ha dentro — fin dalla prima nota — tutto quello che associamo a Max Pezzali. Lettere d’amore, cannucce usate come Lucky Strike, sogni incollati alle scie degli aerei che andavano verso New York. Non è un’operazione nostalgia: è memoria autentica, diventata musica. È il pezzo di chi è cresciuto col mantra del “se studi, ottieni”, e oggi ha forse una famiglia o, molto più probabile, un burnout non diagnosticato, stringe una birra mentre urla al karaoke, dopo l’ufficio, ubriaco marcio per l’ennesima relazione finita male e una vita che sente di non meritare. È la generazione che si è preparata a tutto, e non ha avuto niente.
Il testo di Bottiglie Vuote non è stato adattato a Max. Era già il suo, prima ancora che ci cantasse sopra. Era nelle parole, nei suoni e nell’eco di una generazione che non ha più bisogno di filtri. I Pinguini non sono un ponte. Sono esattamente da questa parte. Sono la generazione che ascoltava Max, e che adesso canta con lui — con vent’anni in più addosso. Questo pezzo non li unisce a chi è venuto prima: li inchioda a quello che sono. Perché sotto la nostalgia, Bottiglie Vuote nasconde tutto il resto: il disincanto, la fatica, le aspettative che non hanno retto. La verità scomoda di una generazione intera, travestita da canzone pop.E così, per tre minuti e mezzo, ci riportano lì:tra walkman, memory card, videogiochi arcade (come la copertina del singolo in 8 bit) e sogni lasciati a metà.Non è solo una canzone. È una cartolina che pensavamo non sarebbe mai arrivata e che invece abbiamo trovato vent’anni dopo, sul fondo di una bottiglia.
