Aldo Grasso non è mai stato tenero con Pino Insegno, ma questa volta l’ha perfino “rivalutato”. Il motivo? Accanto a lui in Facci Ridere, la nuova deforme creatura targata Rai2, c’è Roberto Ciufoli, che secondo il critico “è pure peggio”. Un’affermazione che più che una stroncatura è un’implosione. “Mi sono sbagliato, chiedo venia: c’è uno peggio di lui, è Roberto Ciufoli”, scrive Grasso nel suo pezzo sul Corriere della Sera. Il programma, pensato come una rivisitazione dello storico programma di Corrado, si è rivelato, nelle parole del critico, “una specie di Corrida mal combinata”, con un format improbabile dove dilettanti allo sbaraglio vengono suddivisi per aree geografiche, Nord, Centro e Sud, in una malpensata idea di “patriottismo” da discount. Già, perché il problema non è soltanto lo show in sé, quanto il sistema che l’ha generato. “Inutile perdere tempo a commentare la trasmissione”, dice Grasso, lasciando intendere che siamo di fronte a un caso clinico televisivo più che a un progetto editoriale. Il problema, semmai, è più profondo e riguarda il cuore stesso della televisione pubblica: “Perché la Rai è così allo sbando? Perché i nuovi palinsesti non hanno nulla di nuovo e, per ironia della storia, il volto più esposto è stato quello di Roberto Benigni?”. A questo punto, Grasso chiama in causa anche Giordano Bruno Guerri, che in un’intervista a La Stampa ha messo a nudo il criterio di selezione che sembra dominare oggi in Rai: “Viene scelto non il più bravo, ma il più fedele”. E la fedeltà, quando non è accompagnata dalla competenza, si paga: “La Rai si è impoverita, ha perso giornalisti e conduttori capaci, e questo si paga in termini di qualità”.
Il concetto chiave è quello di “entropia delle competenze”: un’erosione costante di professionalità a vantaggio di logiche partitiche e scelte corrive. “Dai tempi della lottizzazione, i dirigenti vengono scelti per meriti partitici e, anno dopo anno, il patrimonio storico della Rai si è impoverito”, scrive il critico. Ed è qui che entra in gioco il capitolo più spinoso, quello politico: la destra. In questi mesi si è parlato tanto – forse troppo – di TeleMeloni, ma i risultati concreti, almeno sul fronte culturale, sono stati goffi più che egemonici. La destra, dice Grasso, “si è messa in testa di rivendicare una chimerica ‘egemonia culturale’, come se il berlusconismo non fosse mai esistito”. Il punto è che, a differenza del Cavaliere – che la tv la capiva e la manipolava con cinismo imprenditoriale – l’attuale destra di governo si muove nella televisione come il classico elefante nello store Swarowski, spingendo nomi fedeli ma inadatti, come Insegno, nelle posizioni chiave, senza avere né la visione né la preparazione per sostenere l’ambizione. E così si arriva fatalmente a Facci Ridere, che nel tentativo di incarnare un’idea “popolare” di comicità e intrattenimento nazionale, finisce per essere solo imbarazzante. Il paradosso è che, mentre Giorgia Meloni lancia slogan sulla cultura “non di sinistra”, in Rai va in onda il nulla, e il nulla ha la forma di uno show che pretende di far ridere e invece mette tristezza. Un vuoto televisivo figlio diretto di un vuoto culturale. Grasso, chirurgico come sempre, smonta così non solo il programma, ma l’intera strategia culturale del governo. Una strategia che non ha ancora capito, o forse finge di non capire, che l'egemonia non si impone con i fedelissimi, ma con la qualità, la visione, la competenza. Altrimenti, per quanto provino a farci ridere, l’unico a ridere davvero resta il pubblico. Di loro.

