La situazione nelle carceri, la scuola, il lavoro: questi sono gli argomenti di cui Antonio Albanese ha parlato nei suoi film (l’ultimo è Cento domeniche). “Sento il bisogno di farmi sorprendere da questi temi”, ci ha detto durante l’intervista alla Mostra del cinema di Venezia 2024. Ovviamente, le ispirazioni per un film possono essere infinite, eppure l’attore ne ha ricordata una che per adesso manca al cinema: “Secondo me la sanità è un tema importante, non solo in Italia”. Una tematica universale e che unisce in maniera trasversale le generazioni. Ma si è parlato anche di comicità e di come alcuni “one man show” scelgano la via (facile) dello scandalo: lo fanno, però, attraverso una volgarità gratuita. E nel corso della chiacchierata si è parlato anche di religioni, su cui, per l’attore e regista, “c’è troppa confusione”.
Antonio Albanese, quando pensi a questa edizione del festival cosa ti viene in mente?
Alle molte sale, quelle che esistono e quelle che combattono ancora per noi, che finita la Mostra ci daranno la possibilità di vedere questi meravigliosi film. È bello il cinema, è bello il Festival di Venezia, perché comunque crea movimento. Ed è bello vedere tanti giovani interessati. Il cinema deve continuare a vivere, non a sopravvivere. Perché il cinema è il racconto del nostro tempo ed è importantissimo. Lo dico perché anche quando non facevo l'attore il cinema mi ha aiutato a fantasticare, a conoscere territori e linguaggi nuovi.
Tu poi hai portato problematiche molto attuali sul grande schermo.
Sento il bisogno di farmi sorprendere da questi temi. Io ho la possibilità e il tempo per sviluppare argomenti che desidero vedere, come in Cento domeniche, come nel film Grazie ragazzi sulle carceri, o come la scuola in Un mondo a parte. In questa edizione del Festival ci sono molti film che raccontano la guerra: è un riflesso di quello che sentiamo, di ciò che ci circonda. Tendenzialmente i film raccolgono l'attualità, il tempo che stiamo vivendo.
Siamo inondati di immagini di guerra, di morte. È diventato forse più difficile scandalizzare: forse la commedia conserva quell’elemento scandaloso?
Sì, può essere, però non è l’unica cosa. A me non piace la parola scandalizzare, la trovo sempre una via molto facile. A me piace molto di più l’idea che può essere riassunta nella frase: “Non essere in ritardo”, cioè cercare di individuare determinate tematiche per sorprendere il pubblico. Non essere in ritardo, non replicare determinate cose. Il peccato è che ci sono temi che vengono poi ripetuti infinite volte. Scandalizzare è semplice, io lo vedo anche sul tema del sesso. È vero che la comicità deve continuare a esistere, perché è un segno di libertà, di fantasia e di gioia, però scandalizzare con la comicità è troppo facile.
A cosa ti riferisci?
Vedo molti one man show con il microfono a mano che dicono delle volgarità gratuite. Potrei mettermi qua a fare un elenco di centinaia di volgarità, ma sarebbe troppo facile. Allora sorprendere così è un peccato, abbiamo tutti un potenziale meraviglioso, perché sopprimerlo? È un mio gusto, attenzione. Poi c'è chi invece ama un determinato linguaggio. Però mi sembra una via eccessivamente semplice.
Chi sono degli esempi, dei maestri capaci di raccontare il presente?
Ricordo Mike Leigh e Ken Loach, quest’ultimo che ha sempre raccontato il mondo operaio, pur essendo alto borghese, mettendo al centro tematiche che lui conosceva molto bene in Inghilterra, che sentiva sue e che lo facevano soffrire.
Nel tuo lavoro come si declina questo impegno?
Io dico sempre che il mio è un lavoro meraviglioso e che non è difficile arrivare al successo. Per mantenerlo però devi essere onestissimo e cercare di scoprire, di essere curioso e di vivere tutto quello che ti circonda, tutti i luoghi, non solo quel circolo culturale o quello spazio, ma tutti i luoghi.
Il successo oggi arriva velocemente, ma non dura.
Sì, alcuni attori credono di essere subito arrivati, magari dopo solo un film. Noi siamo abituati ad affrontare anche questi meccanismi. Faccio un esempio banale: ci sono dei musei, non solo in Italia, un po' ovunque, in cui vengono spesi più soldi per gli uffici stampa che per i quadri. Ti fanno credere che quella mostra di Magritte o di Matisse sia una delle più complete. C'è un olio di Magritte, una prova d'autore di Matisse e poi ci sono mille pittori che ruotano attorno a questi perni. E non sempre sono di alto livello. Questa cosa è sorprendente, perché ci sono dei buonissimi uffici stampa che riescono a farti capire che quel film bisogna assolutamente vederlo. Poi molti di queste opere che vado a vedere mi sembrano vecchissime, noiosissime, su argomenti che già negli anni Settanta altri autori hanno esplorato in mille modi.
Un tema che potrebbe essere trattato da un giovane?
Quello della sanità, per esempio. È un tema, secondo me, importantissimo. Specie se consideriamo la situazione non solo di questo paese, ma anche dell'Inghilterra o dell’America. Ma se vogliamo trattare un tema in Italia adesso mi viene in mente quello. È interessante affrontare il dolore che una famiglia può provare nel cercare di proteggere una persona cara, i mille problemi economici che adesso devi affrontare per trovare un posto in clinica, una visita. È un argomento universale, importante, che raccoglie tutti, giovani e non giovani. Però ce n’è un altro con cui voglio confrontarmi.
Cioè?
Quello delle religioni. Sento una confusione esagerata a questo proposito. Lo dico guardando anche i giovani.
Confusione rispetto a quello che è stata la nostra storia?
No, rispetto a ciò che accade intorno a noi, a queste religioni che provocano dolore, ingiustizia. Queste religioni che sono confuse, un po’ manovrate, mentre invece tutte dicono di inseguire una cosa sola: la pace. Sembra una banalità, però non è così.
Come fare dunque per prendere seriamente queste tematiche?
Bisogna lavorare e cercare di confrontarsi con gente che veramente sa di quello che parla, non da improvvisati, di cui siamo pieni. Io li chiamo i repressi, che sono quelli che non hanno né arte né parte. Bisogna cercare di individuarli ed eliminarli subito.