Uno non fa in tempo a distrarsi un attimo che ne capitano davvero di tutti i colori. Lasciamo perdere i discorsi seri, come l’esercito israeliano che rade al suolo Rafah senza che si pensi di mandare anche lì missili e armamenti occidentali per difendersi dall’invasore. Anche solo a guardare a quelle notizie, in apparenza meno cariche di dramma, c’è da rimanere basiti. O quantomeno sorpresi. L’intelligenza artificiale ha definitivamente superato il Test di Turing, così che da ora in poi chiunque dica “Eh, ma non sono in grado di provare emozioni” dovrà farlo guardandosi le spalle. Giorgia Meloni si presenta al governatore campano De Luca dicendo “Piacere, sono Giorgia Meloni la stronza”, per una volta mettendo d’accordo maggioranza e opposizione. Dagospia rende noto urbi et orbi che Papa Francesco, parlando a un consesso di vescovi e cardinali, parla esattamente come su un carro del Gay Pride, usando parole come “frociaggine” e “checche”, fino a oggi impraticabili al di fuori della comunità Lgbtq+, grazie a Dio, se non a tavola con Vannacci, ma a rischio di essere sdoganate presso un uditorio non esattamente inclusivo capitanato da Pillon e compagnia bella. Un’idea, quella di Papa Francesco che usa nel Concistoro lo stesso linguaggio di uno di quei localini di Porta Venezia, che può sembrare ancora più visionario di quello messo in scena coi vari Jude Lowe e John Malkovich da Paolo Sorrentino ai tempi dei papi giovani e nuovi, ma che assume indubbiamente un fascino tutto suo, coming out o outing di una intera gerarchia ecclesiale, perso per perso lasciateci sognare. E nel lasciarci sognare, sia chiaro, pensateci che camminiamo spavaldi sul red carpet proprio come Paolo Sorrentino a Cannes, Live is Life degli Opus (Dei) come colonna sonora.
In tutto questo, mentre, restando terra terra le faccende su menzionate a volo d’angelo ci prospettano un oggi, per non dire di un domani - ancora più apocalittico di quanto già non fosse fino all’altro ieri - arrivano due nuove notizie in ambito musicale che ci lasciano quantomeno spiazzati, di quel tipo di spiazzamento ormai allenato a ritmi da Fifa 24 - è chiaro, iper-atletico - ma pur sempre spiazzamento. È roba delle prossime ore, infatti, che Fedez tirerà fuori il suo nuovo singolo, quello nel quale si vocifera ci saranno stoccate dirette e ficcantissime alla ex Chiara Ferragni, pronta nel mentre ad affilare le armi a suon di citazioni di Marracash Si spera tutti nel “Se quando ti guardo abbasso lo sguardo è perché mi arrivi al caz*o”. Canzone che vede Fedez in compagnia di Emis Killa (nonostante in passato si fossero dati degli "infami" a vicenda), come a dire che serviva un minimo di street credibility per colui che negli ultimi anni si è accompagnato più spesso con Orietta Berti che con Vincenzo da via Anfossi, pur passando poi le nottate in compagnia degli ultras del Milan. Dio mio in che mondo fantastico che stiamo vivendo. Per presentare il singolo, titolo Sexy Shop, wow – ‘wow’ l’ho aggiunto io, sia chiaro - è apparsa un po’ ovunque una foto che mostra i due uno a fianco all’altro, con un’aria vagamente marziale. Fedez è a torso nudo, la tartaruga scolpita sugli addominali e gli occhiali da sole, anche se la foto è stata scattata al chiuso; Battiato ha già spiegato più che bene perché, Emis ha un giubbotto senza maniche chiaro, i capelli decolorati, guarda in camera senza problemi di fotofobia. Mettiamo un attimo da parte questo scatto. Tenendo bene a mente tutto quanto su detto. Un tempo si diceva che quando le band si scioglievano era la fine di un’epoca. Non solo per le band, ma anche per i loro fan. Perché se si arrivava a una decisione tanto drastica, significava che c’erano di fondo problemi talmente seri da decidere di rinunciare non solo a tutto l’ambaradan artistico (qualcuno dalle band in genere sopravviveva in una carriera solista), quanto tutto l’indotto economico che stare dentro una band comporta. Poi sono arrivate le prime reunion, che hanno inizialmente affascinato tutti. Hai visto che non era esattamente una rottura definitiva?
Come in certe storie d’amore, uno sguardo, due mani che si sfiorano e tutto torna come prima. Oggi, figuriamoci se questo può mai sorprenderci. Ripeto, viviamo nei giorni in cui qualsiasi cosa è possibile e le reunion sono una sorta di obbligo morale, se hai militato in una qualsiasi band e non ti rimetti insieme non sei degno di rispetto. Il problema è però molteplice. Perché da una parte ci sono band o realtà che fatichiamo a chiamare ‘band’ per quella forma di ancestrale rispetto che riponiamo nel concetto stesso di band, che si riuniscono intorno a una data chiave, un anniversario tondo - di quelli che nei matrimoni comportano celebrazioni e confetti - ma ci sono anche realtà che si rimettono insieme dopo troppo poco tempo per farci gridare “Evviva”, come chi pensasse di annunciare l’arrivo di un pargoletto nell’esatto momento in cui si alza dal letto dopo averlo concepito, neanche il tempo di aver tirato su la zip. Questo tenendo da parte il fatto, non irrilevante, che in alcuni casi il ritorno è di quelli che Stephen King ha racchiuso dentro la sua ormai mitologica raccolta di racconti A volte ritornano, appunto. Roba di paura, perché uno sperava di essersi definitivamente tolto dalle palle Tizio e Caio e invece Tizio e Caio sono ancora qui, di nuovo. A tal proposito - ma la notizia rientra perfettamente anche in altri discorsi su menzionati - c’è un’altra foto promozionale che gira, di quelle che nei luoghi più o meno sacri, dove si può usare impunemente il termine “frociaggine” senza correre il rischio di essere scambiato per omofobo, immagino stia già impazzando. È quella che ci mostra due bei ragazzotti palestrati e supertatuati, ovviamente a torso nudo, tarturagatissimi. I due hanno - si intuisce, la foto è tagliata all’altezza del pisello - abiti da boxeur, che poi tecnicamente non sono abiti. Quindi torso nudo, cintura da pugile, pantaloncini d’occasione, guantoni, anche quelli accennati nella foto. I due sono Benji e Fede, duo pop di un grande successo negli anni Dieci, che proprio nel 2020 si erano lasciati, per la disperazione delle loro giovanissime fan e il giubilo di un po’ tutti gli altri.
Come a volte capita, se uno più uno porta a fare due, due diviso due non porta necessariamente a fare uno, perché sia Benji che Fede sono praticamente scomparsi nel nulla. Qualche collaborazione qui e là, nel caso di Benji, abbiamo recentemente scoperto, quando è tornato col singolo Sobrio, debitamente lanciato alla Tiziano Ferro andando a piagnucolare da Luca Casadei a One More Time. Le collaborazioni erano anche di carattere meramente ginnico-sessuale con Bella Thorne e alcune ragazze di passaggio. L’uso di sostanze stupefacenti che lo porteranno poi a gironzolare nudo per Los Angeles, parole sue, a dare carburante al tutto, ma per il resto nulla. Non che la cosa fosse stata letta come un male dalla comunità musicale, quantomeno quella della critica musicale, perché l’irrilevanza artistica dei due era pari, forse, solo alla definizione dei loro addominali, probabilmente anche maggiore. Della serie, uno sperava che tra pandemie, cambiamenti climatici, guerra, destre che avanzano, papi che parlano come Grillini a cena tra amici, almeno il pericolo Benji e Fede era da considerarsi superato, come a un certo punto il vaiolo, invece no, eccoli. Per di più proprio mentre Fedez sta tornando, non con una canzoncina a cazzum, di quelle che occhieggiano al passato e che puntano a diventare la colonna sonora dello spot del cornetto Algida - quella gliela hanno giustamente fottuta i The Kolors con la loro Karma - ma con qualcosa che promette di essere hardcore. O tempora o mores, dicevano i latini, che comunque sono stati devastati dai barbari mentre parlavano di frociaggine imbolsiti dal mangiare e dal bere nei loro consessi. Occhio a Vannacci. Uno, però, a questo punto dirà “ok, la fine del mondo è imminente”, viste le prossime uscite discografiche (almeno si spera. Ma che c’azzeccano Fedez e Emis Killa, Benji e Fede col papa che parla di frociaggine e compagnia cantante?
In apparenza niente, non fosse che - ormai sembra una vita fa - non sono passati neanche troppi mesi da che Gino Paoli, due anni più anziano di Papa Francesco, si è lasciato andare ad affermazioni che a loro volta sono diventate piuttosto virali, anche centrali in certe discussioni culturali. Faccio un breve riassunto. Era da poco uscito il mixtape dance di Elodie, Red Light, anticipato dal singolo A fari spenti. Nella cover del primo Elodie, ritratta da Milo Manara, appariva come una Venere desnuda, i capelli a coprire l’incopribile. La scena era in realtà tratta da un passaggio del video del singolo, dove la nostra si mostrava in tutta la sua bellezza a più riprese, a volte in tale posa, altre immersa in un siero lattiginoso. Un po’ alla Cleopatra. Insomma, un corpo femminile che si mostrava, come del resto si era spesso mostrata durante i live, e viva Dio. Gino, in giro, metaforicamente, per promuovere la sua biografia Cosa farò da grande, uscita per celebrarne i novant’anni di vita, interrogato a riguardo ha detto qualcosa che suonava come “una volta le cantanti costruivano un repertorio, oggi mostrano il c*lo”. Lui che in Parigi con le gambe aperte aveva cantato i versi “Ma cosa pensi ai dischi, pensiamo invece a lei, io metterei il suo c*lo tra i trofei. Un c*lo bianco e tondo, che non finiva mai, meglio dei paradisi di Versailles”. Il sodale Ricky Gianco, lì a cantare con lui, immagino piuttosto d’accordo. Apriti cielo, ovviamente: tutti lì a parlare di autodeterminazione femminile, di stereotipi patriarcali duri a morire, di sessismo. Poco importa che a dirlo era stato lo stesso Gino Paoli che pochi mesi prima ci aveva deliziato sul palco del Festival di Sanremo ricordando a un inebetito Gianni Morandi, undici anni meno di lui, di quando in molti - lui diceva tutti - si erano divertiti con la moglie di Little Tony, quando Little Tony era in tour. Questo dopo aver detto, tra le righe, di aver portato lo stesso Gianni a put*ane più di una volta, forse per ricordare la sua Il cielo in una stanza, che con quelle volte viola proprio di bordelli e di orgasmi parlava. Una dichiarazione assolutamente fuori fuoco, quella di Gino Paoli, che però magari andrebbe presa per quel che è: lo sproloquiare di un anziano signore che ha sempre amato provocare e che oggi forse è un po’ meno lucido che in passato, o si diverte di più che in passato. Lui che a divertimento, proiettile nel cuore o non proiettile nel cuore, ci ha sempre dato dentro.
Volendo quindi tirare le somme, anche per provare a fronteggiare lo tsunami che l’uscita di un nuovo singolo di Fedez e quello di Benji & Fede - giuro che ho pensato qualcosa come Benji e Fedez, sto invecchiando anche io, come tutto il resto che un mondo quantomai generoso nell’infliggerci pene ci sta vomitando addosso - vorrei evocare un paio di immagini, atte più a anestetizzarci che a provare a fare da antidoto a questi veleni. La prima, mi piacerebbe che Gino Paoli, tanto per dimostrare che la sua generazione, quella dei Bindi - andatevi a sentire Odio, Dio santo, dei De Andrè, dei Gino Paoli - appunto, fosse in realtà molto meglio delle sue recenti dichiarazioni, puntualizzasse come ai suoi tempi i cantautori cantavano le canzoni, oggi mostrano gli addominali. Poi, tra il c*lo di Elodie e gli addominali di cotanti artisti, io so da che parte schierarmi, ma qui entriamo nel campo dei gusti personali, si diceva un tempo. La seconda, sulla faccenda del discorso di Papa Francesco. Chissà che fine ha fatto il vescovo infame che l’ha passata a Dagospia, per lui soltanto lame? Altro che Dandolo, cui ha fatto seguito una nota scritta ed emanata dal Vaticano, in cui in sostanza ammette e si scusa, sottolineando la natura non pubblica di quelle parole, trovasse giusta conclusione durante il Pride di Roma del prossimo 15 giugno. Peraltro, quest’anno a festeggiare il trentennale, avesse in qualche modo la benedizione proprio della Santa Sede. Non dico, non esageriamo, di auspicare di vedere Papa Francesco, magari proprio in compagnia di Benji & Fede, Fedez ed Emis Killa, sul palco delle Terme di Caracalla, ma quantomeno a far capire che quelle non erano solo parole che non sarebbero dovute uscire da quelle sante mura, ma che proprio non sarebbero state da pronunciare, perché un Pillon degno di diventare protagonista di Mi ami?, dei non a caso reunionati CCCP, l’erezione triste perennemente ammainata, ma dura a morire, non vedeva evidentemente l’ora di poter gridare come una pazza “frociaggine” ai quattro venti, affiancato dal generale Vannacci, quello che sfiorava la pelle degli africani nella metro di Parigi, per capirne la consistenza. Le cose o si fanno per bene o non si fanno, santo Dio, se deve essere coming out lo sia fatto secondo tutti i crismi, volendo anche quelli sacri. In conclusione, anche tenendo conto come nel tempo Benji e Fede non siano stati parchi nel mandarsi a fare in c*lo reciprocamente, Emis comunque vicino a quel Jake la Furia che, compare di Guè nei Club Dogo, non era esattamente quattro chiappe in una mutanda con Fedez, possiamo dire che l’unica solida certezza intorno a cui potremo un giorno ipotizzare la ricostruzione di una società, forse anche di una umanità, dopo la devastazione che stiamo vivendo, noi lì a togliere le macerie e a fare la conta dei morti, saranno i soldi. Quelli continuano a fare sempre gola a tutti, poppettari come rapper, cantautori ultranovantenni inclusi.