Sono cominciati più di un mese fa gli indizi che facevano pensare al ritorno di Axos, che si è concretizzato venerdì 17 maggio con l’uscita dell’Ep 17.5. L’uso sfrenato di un simbolismo ricercato è sempre stato per Andrea Molteni, in arte Axos, un motivo di pregio oltre che una formula vincente per legare a sé un pubblico, che sarebbe riduttivo identificare con una fanbase. Così per lanciare il nuovo Ep si è affidato solo alla forza evocatrice di questo numero, che nella sua discografia ha un rimando ben preciso, la traccia Mitridate 17.5 con cui si chiude “Mitridate” il suo album d’esordio, che a sua volta riprende un verso della Bibbia, 17.5 del libro di Geremia. Secondo una consuetudine che ha quasi sempre onorato, ogni album in studio viene anticipato da un Ep che ne svela le tematiche e le sonorità, così da addolcire l’attesa prima della pubblicazione principale. Questa volta tramite un listening party annunciato a sorpresa in un locale torinese, i fan hanno potuto ascoltare le tracce dell’Ep prima dell’uscita ufficiale insieme all’artista stesso, che ha dialogato con loro togliendogli ogni curiosità. Per questo progetto Axos si è affidato a ThinkGood Music, label discografica che ha come missione la salvaguardia degli interessi e della sanità mentale degli artisti, aspetti sempre più carenti da parte delle major, prendendo in questo modo una posizione ben precisa rispetto all’industria musicale. La scelta di prediligere i circuiti indipendenti è la logica conseguenza dell’analisi della società che viene esposta lucidamente nei sei brani che compongono l’Ep. Il risultato è una vivisezione del capitalismo a partire dalle esperienze che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle e di cui siamo allo stesso tempo attori e vittime, “Vivo uccidendo ciò in cui credo, vivo soltanto quando creo” canta in Resta con me. Gli ideali comunemente accettati é come se fossero delle favole di progresso da cui siamo ipnotizzati, senza accorgerci della vera realtà che c’è dietro e passa davanti agli occhi di tutti. Quando in Unknown dice “La povertà non mi spaventa a noi ci ha resi ricchi” oppure in Vivienne, “voglio diventare ricco ma molto prima di fare i soldi”, viene sfatato il mito del self-made man e del materialismo moderno, secondo cui la massima realizzazione del sogno personale è quella di tramutarlo in soldi per poter comprare tutto ciò che prima ci mancava. Axos in questo senso è sempre andato controcorrente rispetto ai suoi colleghi, improntando la sua produzione su una visione spirituale del mondo e preferendo alle citazioni dei brand quelle dei testi sacri, soprattutto se apocalittici. La decisione di rimanere fuori dalle tendenze ha un prezzo che per chi lo paga diventa un vanto, uno stendardo di indipendenza e lucidità che si traduce sostanzialmente nell’emarginazione dal music business.
Consapevole di quali siano le regole del gioco, Andrea ha deciso di coltivare il rapporto con gli ascoltatori più fedeli per costruire una rete sociale reale più che una community digitale, in cui le persone si aiutano reciprocamente secondo un principio più mutualistico che consumistico. La squadra che ne viene fuori si fa chiamare “Sad Army”, l’armata triste, a indicare che l’adesione all’Axos-pensiero si avvicina quasi a una missione, condivisa da una nicchia di persone che non possono dirsi contente di come sta andando la vita sulla terra e per questo sono Sad, tristi. Tra gli appassionati del rap italiano Axos viene spesso considerato un artista sottovalutato, etichetta su cui lui non è molto concorde, non per smanie egotiche di cui è privo, ma per la sincera constatazione che nel suo par terre di estimatori riceve le giuste attenzioni e apprezzamenti. Si potrebbe dire, piuttosto che sia sottovalutato, che Axos non sia valutato affatto da una fascia di persone che non riesce ad accedere a una musica più complessa e a tratti erudita come la sua, a causa di logiche di mercato degradanti che tendono a convogliare il pubblico sui contenuti musicali teoricamente più appetibili per le masse, con la differenza che andare virali non garantisce un pubblico costante nel tempo, mentre curare la propria arte è un investimento nel lungo periodo. Gli artisti dovrebbero sfruttare le piattaforme a proprio vantaggio, mentre oggi sono obbligati a seguirne gli standard pur di garantirsi un posto in classifica, ma non tutti sono disposti ad accettare questo compromesso, mettendo in discussione un sistema che a partire dal settore delle influencer, comincia a scricchiolare, si spera.