“Io vorrei…non vorrei… ma se vuoi…”. No, non c’entra nulla - forse, non l’hanno capito neanche Pio e Amedeo - Io vorrei... Non Vorrei... Ma se vuoi di Lucio Battisti con Come può uno scoglio, il nuovo film di Gennaro Nunziante con i due comici pugliesi che si candida come comica consolazione al disagio che possono portare questi giorni di vacanze invernali: quando siete obbligati ad assolvere al vostro dovere di genitori, fidanzati con troppo tempo libero o solitari flâneur che, nella bucolica provincia, devono accontentarsi del cinema più deteriore. È la storia di Pio (Pio D’Antini), un uomo timido e scemotto, che ha appena perso il padre e ora, da imprenditore e candidato sindaco si trova a fare autista, lavoro affibbiatogli dal parroco locale, e di Amedeo (Amedeo Grieco) ex galeotto dal carattere estroverso e pragmatico. L’intento è chiaro e l’idea di questo film, per quanto abusata, è buona: giocare col classico topos cinematografico della strana coppia, così come l’elemento di disturbo, Amedeo, che esplode nella vita apparentemente perfetta di Pio; e, ancora, il messaggio di consolazione che ci si aspetta dal cinema in questo periodo dell’anno e in questa parte del mondo, alla “siamo una grande famiglia globale disfunzionale”, per cui, tanto vale riderci sopra. Come uno scoglio è stato anticipato come un film politicamente scorretto, affermazione azzardata nei giorni in cui sui social i fan di Angelo Duro giocano a fare le pulci a un grande come Ricky Gervais e il suo nuovo spettacolo su Netflix, Armageddon. Forse la scena dell’abbandono (?) del cane turberà qualcuno, ma non c’è stato un minuto - dura un’oretta e mezza - all’interno del film che non incontrerebbe il benestare del perbenismo di Ettore Bernabei, se solo fosse ancora vivo.
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Il viaggio da Treviso in Puglia (e ritorno) poteva essere la svolta dolceamara che ci insegna un genere cinematografico, quello on the road, che spesso e volentieri regala dei prodotti molto interessanti (basti pensare a Tre uomini e una gamba); invece, le bugie svelate del padre di Pio e le simpatiche disavventure che vivono i due protagonisti tappa dopo tappa, hanno la stessa carica dei mini ciccioli in quanto a pura comicità. Diciamolo, Amedeo tiene su un film che non ha nulla di equilibrato tra prima e seconda parte mentre il finale, chiaro al pubblico sin dal primo fotogramma, arriva trascinandosi e ammiccando a un pubblico fatto di famiglie altrettanto esauste. Se Amedeo ha bisogno di una stabilità e di una famiglia che non ha mai avuto - legherà sin da subito coi bambini di Pio, Ginevra e Manfredi - Pio deve risvegliarsi da quel sonno della ragione che permette a tutti di raggirarlo, dal padre fino agli imprenditori locali che lo vogliono sindaco per usarlo, dopo averlo reso inerme alla vita (sabbia e non scoglio), galleggiando in un matrimonio statico con Borromea (Francesca Valtorta). Sia ben chiaro, sono fortemente convinta che nei cinema sia passato di peggio come la saga di Twilight o Natale in Crociera, ma per quanto la colonna sonora sia curata (non a caso è realizzata dal maestro Enrico Melozzi) così come i riferimenti alle star della musica (da David Bowie nel periodo Ziggy Stardust a Robert Smith dei Cure), e i personaggi secondari abbozzati e piuttosto riusciti, è il tempo comico che manca, quel ritmo che, al di là dello zoccolo duro dei detrattori, Checco Zalone aveva.
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Gennaro Nunziante se l’è giocata, dopo i successi inanellati con Checco Zalone (da Cado dalle nubi a Quo Vado?) e alla seconda prova col duo foggiano, prova a diventare quel punto di riferimento natalizio di cui ha bisogno il botteghino italiano (ma davvero?) senza risultare quell’ombra opprimente che fu, a un certo punto, Checco Zalone stesso. Il problema non è tanto fare il botto di incassi, quest’anno per l’Italia ci ha pensato Paola Cortellesi, quanto il compito ben più difficile di lanciare una tradizione natalizia, creare un legame tra pubblico e personaggi che ripetono dei rassicuranti schemi a cui possiamo tornare, anno dopo anno. Eppure, se ci pensate bene, col prezzo del biglietto - almeno dove abito io - a 9 euro, senza contare bibite e schifezze che ti marciscono nella pancia, l’esperienza cinematografica nei multisala è diventato uno svago dispendioso simile a certi locali a luci rosse in Svizzera. Parafrasando le parole di Guido Nicheli nel gioiellino Vacanze di Natale ’83, immortale riferimento cinefilo dicembrine, la ricercata libidine è qui, a casa, Netflix (Sky, Disney +, AppleTv, Paramount +, Discovery + and so on), copertina sul divano e tutto un catalogo nostalgico a cui accedere per pochi euro al mese, così sei in pole position.