È uscito Dark Matter, nuovo singolo dei Pearl Jam. Lo abbiamo ascoltato. Ci è molto piaciuto. Ma soprattutto ci ha indotto a porci qualche domanda. Che suono ha la guerra? Questa, da che la musica viene scritta, composta, eseguita, è una delle domande che gli artisti si pongono. Non perché la musica, marinettianamente parlando, ha il dovere di emulare i rumori di fondo della nostra vita, ma perché sublimare il male, tanto quanto raccontare i sentimenti positivi, è uno dei compiti dell’arte, a volte usando la bellezza per curare le ferite, altre volte semplicemente, si fa per dire, indicando l’abisso dal quale rifuggire. Così, da Beethoven a Wagner, passando per buona parte di chi si è trovato a fare musica nel primo Novecento, stiamo nell’alveo di quella che ancora oggi viene indicata come musica classica, e poi sul volgere del secolo in quello del rock, il Vietnam a prendere il posto che in precedenza avevano avuto i grandi conflitti europei, Jimi Hendrix che brucia la chitarra sull’inno nazionale a Woodstock, gli inni pacifisti di Joan Baez e Bob Dylan, ci siamo capiti.
Poi è successo che la pace, chiamiamo così il periodo della Guerra Fredda, è stata messa in discussione con la caduta del Comunismo e del Muro di Berlino, quelli che un tempo ci apparivano come focolai sparsi per il mondo, anche per questo nuovo cambio di equilibri internazionali, sono in qualche modo detonati, spostando verso il medioriente l’attenzione e il pericolo.
Così per chi nella seconda parte del Novecento è nato, come chi scrive, si è tornati a parlare di guerra, e di guerra che coinvolgeva anche noi, in qualche modo. Quindi prima è stato il Libano, certo, poi l’Iraq, la cosiddetta guerra del golfo, e nei medesimi anni anche qui a due passi da noi, dall’altra parte dell’Adriatico, la guerra dei Balcani.
Quel periodo oscuro, molto oscuro, parlo del passaggio dagli anni Ottanta ai primi anni Novanta, ha avuto una colonna sonora che oggi fa esaltare i boomer, lì a imbastire una sorta di scontro generazionale coi Gen Z e anche i Millennial, gli Alpha troppo piccoli per essere nell’agone, in prevalenza il suono che proveniva da Seattle, lì nella costa nordoccidentale degli Usa, certo con infiltrazioni non indifferenti di quel che nel mentre gli U2 portavano avanti in Europa.
Arriviamo a noi.
Viviamo in un tempo di guerra. Anzi, di guerre. Sì, è vero, le guerre ci sono sempre state, sono tante e riguardano buona parte di quello che noi chiamiamo terzo o quarto mondo. Posti che, non fosse appunto per le guerre, chiameremmo esotici, ma che invece finiscono per essere ricettacoli di disperazione e morte, lontani dagli occhi lontani dal cuore, verrebbe da chiosare. Oggi però ci sono almeno due guerre che riguardano l’Europa, e appunto, non succedeva dai tempi delle guerre dei Balcani. Non abbiamo fatto neanche in tempo a archiviare la pandemia, che almeno per una volta ha unito il mondo intero in una unica e medesima condizione, mal comune mezzo gaudio?, e ecco che è esploso violentissimo il conflitto in Ucraina. Non che non fosse prevedibile, quelli che cinematograficamente chiamerebbero venti di guerra tiravano già da tempo, poi Putin ha deciso che era arrivato il momento per riprendersi il Donbass e come è andata a finire, o meglio, come sta ancora andando a finire è sotto gli occhi di tutti. Occhi al momento distratti, perché c’è un altro conflitto che in qualche modo ci riguarda, sempre di occidente si parla, quello che vede Israele colpito dall’attentato del 7 ottobre da parte di Hamas, e quindi, non prendete questo quindi come una giustificazione, mi sto limitando a fare cronaca, la fascia di Gaza messa a ferro e fuoco ogni santo giorno, decine di migliaia di morti.
Siamo tornati, sembrerebbe, a quei primi anni Novanta, con la guerra che ci tocca da vicino, all’epoca nostri militari mandati nel golfo, già erano stati mandati in Libano in precedenza, e poi, con la guerra dei Balcani, a un tiro di schioppo da casa nostra, i profughi a arrivare nelle nostre città. Una guerra, anzi, due guerre, Ucraina e Gaza, che sembrano non aver impattato più che tanto nell’immaginario di buona parte dei nostri artisti, parlo di Italia, specie quest’ultima, a parte gli ormai stranoti fatti sanremesi che hanno visto coinvolto Ghali, e volendo anche Dargen D’Amico, a chiedere di fermare il genocidio, l’uno, e di cessare il fuoco, l’altro, con tutta la ridda di polemiche a Domenica In e in giro per i piani alti della RAI, sembra che nessuno si senta in dovere di dire qualcosa, di raccontare, neanche, di invocare. I nomi grossi, quelli che un tempo avrebbero chiesto e ottenuto attenzione, tacciono, vai a capire se perché incapaci di formulare un pensiero sensato a riguardo, o per timore di perdere spazi televisivi da che a guidare il governo, e quindi il servizio pubblico, c’è Giorgia Meloni e il centrodestra.
All’estero, invece, la situazione è assai differente. Gli artisti parlano, forti del loro seguito, si pensi a quanti si sono spesi per l’Ucraina, con forse indebita vittoria a Eurovision 2022, e soprattutto gli artisti suonano e cantano, che tecnicamente sarebbe anche il loro lavoro.
Proprio in questi giorni è venuto alla luce, però, un brano che, per chi c’era nei primi anni Novanta, sembra un déjà-vu, un piacevole e al tempo stesso inquietante déjà-vu. Come il gatto nero che passa due volte in Matrix, sintomo di qualcosa che non va per Neo e soci, sono tornati con un nuovo potentissimo singolo i Pearl Jam, Dark Matter il titolo del brano. Una canzone dura, spigolosa, violenta, che richiama nell’arrangiamento i primi lavori della band, ma anche e soprattutto i lavoro dei loro concittadini Soundgarden, di quel manipolo di artisti che rispondeva al nome di grunge decisamente i più ostici. Un brano che anticipa e regala il titolo a un nuovo album, d’uscita il 19 aprile, e che poi vedrà la band di Eddie Vedder andare in giro per il mondo con un tour che, ahinoi, non è previsto al momento tocchi l’Italia. Sì, perché dal 23 sono disponibili i biglietti in prevendita, e visto l’ottimo andamento sono già state aggiunte date, ora è davvero un world tour, con Australia e Nuova Zelanda tra le tappe, ma noi no, non ci siamo ancora.
Il suono della guerra, quello che al momento sembra più idoneo a raccontare quel senso di spaesamento che sapere che c’è morte e devastazione a pochi passi da noi, come nel resto del mondo, ancora una volta prende la forma di chitarre corpose e distorte, ritmica incalzante e quadrata, la voce lancinante di Vedder, dolente e penetrante, a cantarci di questo tempo oscuro, intriso di materia nera.
Non ce ne vogliano i giovanissimi, i loro brani costruiti su beat, le loro voci filtrate, ma ancora oggi, anno del Signore 2024, la colonna sonora più idonea per raccontare la guerra, sembra quella che un gruppo di sessantenni di Seattle è in grado di tirare fuori dai propri strumenti.