Più di mamma e papà, della pizza con la birra. Più di Umberto Eco in Russia. Federico Moccia è più di tutto. Nell’ultima intervista rilasciata al Corriere della sera lo scrittore romano non si è risparmiato. Basta andare a New York per farsi un’idea del suo successo: Tre metri sopra il cielo è appena stato ristampato in America, mentre la trilogia (Tre metri sopra il cielo, appunto, Ho voglia di te e Tre volte te) è in tutte le vetrine in bella mostra. Come dimenticare, poi, i lucchetti dell’amore di Ponte Milvio: “Solo Ponte Milvio? I lucchetti dell’amore sono sui ponti del mondo”. Risponde tagliente Moccia. “Mi mandano foto con i lucchetti da ovunque. L’ultima da Cuzco, in Perù, la meravigliosa capitale dell’impero Inca: attaccano lucchetti a 3.500 metri di altezza”. Ma l’alta quota non gli basta: “In Russia sono il secondo personaggio italiano più conosciuto dopo Umberto Eco”. I lucchetti sui ponti sono talmente tanti che in certi paesi hanno dovuto toglierli. Il loro peso era tale da mettere a rischio la stabilità della struttura. Si sa, l’amore supera le correnti gravitazionali, le leggi della fisica e le norme di sicurezza. A Roma li hanno stipati in un capannone, “ma gli innamorati continuano ad attaccarli”. La chiave del sigillo, naturalmente, va nel fiume: inarrestabile, pazzo amore. Non poteva mancare la domanda su Riccardo Scamarcio, che si è detto pentito della sua partecipazione ai film tratti dai romanzi di Moccia. “Scamarcio ha cominciato la sua carriera grazie a questi film. Non lo avrebbero chiamato a farne altri senza questa fama”. Non ha tutti i torti. Un po’ come Robert Pattinson, che non sarebbe diventato l’attore che è oggi senza Twilight. “Scamarcio quando le ragazzine lo assediavano entusiaste chiamandolo Step si alterava, rispondeva male: «Sono Scamarcio non Step»”. Niente da fare: l’attore proprio non si sopportava più. Moccia, invece, non molla: Step e Babi, i protagonisti dei suoi romanzi, non lo hanno ancora lasciato. La loro storia non è ancora terminata.
“Step e Babi l’abbandoneranno un giorno?”, chiede Alessandra Arachi. “Veramente sto pensando a un ulteriore sequel”. Stavolta, però, i due saranno genitori. Il rapporto genitori-figli, dice, lo ha sempre interessato. Anche il suo ultimo film, Mamma qui comando io, il tema veniva trattato. Lì si parla di due genitori separati a cui il giudice assegna la casa di famiglia. Sarà il figlio a vivere stabilmente in luogo, mentre mamma e papà saranno costretti ad alternarsi spostare. Il cliché del figlio pacco postale viene ribaltato. Nel libro in uscita, invece, ci si chiederà: “Possono Step e Babi essere buoni genitori?”. Ciò significa essere in grado di dare un’educazione adeguata, di stabilire valori e doveri. “Guardiamo i femminicidi, ai tempi di Step e Babi non ce ne erano così tanti. E poi gli stupri”, sottolinea Moccia. In carcere certe cose non vengono perdonate e le punizioni sono severe. Quasi, parrebbe, come a dire che la giustizia dentro la prigione sia più efficace di quella che in prigione ti ci manda. “Un codice d’onore” che, ormai, fuori ha cessato di esistere. Che fare, dunque? Agire con il pugno duro: la castrazione chimica. Moccia, si dice favorevole: “Quando la situazione degenera bisogna trovare una soluzione che metta paura. E la situazione è degenerata”. Insomma, sembra che Federico Moccia si sia trasformato in un personaggio di Nicolai Lilin. Tre metri sopra il cielo, d’accordo. Storie romantiche, benissimo. Ma vuoi mettere con un po’ di sana e rigorosa educazione siberiana? Perché l’amore passa anche dal dolore.
Dopo trent’anni, non ci siamo stancati di romanzi come questi? E, soprattutto, non si è stancato Federico Moccia di scriverli? Chissà, forse le vetrine di New York sono un bell’incentivo per non fermarsi. L’unica speranza è che, perlomeno, dal suo prossimo libro non verrà tratto un film. Notevole fu il commento di Paolo Mereghetti, che nella recensione pubblicata sul Corriere di Ho voglia di te, aveva detto che di cinema, nel film, non c’era proprio niente. Magari Moccia si darà anche alla politica o scriverà, prima o poi, un romanzo impegnato. In cui si parla di giustizia, di moralità e di doveri. Ma non è questo il giorno. E di questo passo non lo sarà mai.