Le abitudini degli spettatori, lo sappiamo, sono cambiate drasticamente. Ci sono i servizi di streaming, la brevità dei video su TikTok, gli effetti della pandemia del 2020. Il calo dell’affluenza nei cinema rispetto al passato è evidente in tutto il mondo. E anche in Cina le cose non sembrano andare diversamente. I film di Hollywood, intanto, non sono più così presenti nel mercato cinese. Nel 2012, sette film su dieci dei più visti erano americani, ma nel 2023 in top ten non ce n’era nemmeno uno. L’anno appena concluso ha fatto segnare solo Godzilla x Kong: The New Empire come titolo di vertice. L’analisi del sito Movie Guide, riportata da Avvenire, rende espliciti i numeri di questa “crisi”: “Nei primi 11 mesi di quest'anno, i guadagni per i film statunitensi sono stati pari a 797,3 milioni di dollari, somma comunque significativa ma in calo del 68 percento rispetto ai 2,5 miliardi di dollari dello stesso periodo del 2019”. Difficile non vedere in questi dati l’influenza del peggioramento dei rapporti tra le due potenze. Se da un lato le produzioni nazionali sono aumentate, il totale dei biglietti staccati è in netto calo (il Global Times, citato ancora una volta da Avvenire, parla di un -28%), e anche il tipo di pubblico sembra diverso. Il regista Jia Zhangke ha detto che “L'età media degli spettatori cinesi è passata da 22 a 26 anni”. Ciò sarebbe dovuto alle diverse abitudini di cui parlavamo in apertura (predisposizione ai video brevi delle piattaforme, piuttosto che ai film lunghi) e al costo sempre meno sostenibile dei biglietti. Stan Rosen, docente di Scienza politica alla University of Southern California, ha parlato ad Avvenire sottolineando come il cinema cinese stia subendo le conseguenze di una più generale difficoltà economica, che tiene insieme aumento della disoccupazione, sfiducia dei consumatori e crisi del mercato immobiliare.
Nella ricostruzione fatta dal quotidiano, poi, c’è la questione della censura: l’impostazione ideologicamente rigida delle pellicole cinesi avrebbe spinto gli spettatori a lasciare le sale. In merito a questo punto vengono riportate le parole del collettivo di giornalismo investigativo Reportika: il governo cinese “vigila sul corretto orientamento politico, imponendo che tutte le serie tv e il film promuovano i valori socialisti fondamentali, il patriottismo e l'unità nazionale, chiudendo, al contempo, a qualsiasi contenuto che potrebbe essere considerato dannoso per l'onore nazionale o la stabilità sociale”. E se questo è il panorama cinese, cosa ci aspetta in Europa? Non serve ripetere come piattaforme e streaming abbiano penalizzato le sale. Il Covid ha finito il lavoro. Sulla questione dell’identità nazionale, invece, va detto come anche in Italia si è cercato di dare una spinta (con alcuni contributi selettivi del tax credit) a opere che raccontano storie di respiro patriottico. Sarà da capire se questo tipo di cinema pagherà in termini di biglietti venduti. C’è poi la questione della comunicazione e del marketing (ne abbiamo parlato qui con Gianni Canova). Insomma, i problemi sono tanti e profondi. Non c’è una soluzione, l’approccio deve tener conto di più fattori. Di certo, però, non basta il nome di qualche youtuber tra i titoli di cosa per riportare il pubblico in sala.