Siete anche voi nostalgici de Il mucchio selvaggio, la storica rivista che ha formato più generazioni di appassionati di musica? Noi un po' sì. Anche per questo, ma non solo, abbiamo intervistato Federico Guglielmi, critico musicale, giornalista e conduttore radiofonico, che in quel magazine ha lavorato per 25 anni. In seguito, però, ha fatto e continua a fare un sacco di cose, tutte nel solco di sostenere e valorizzare il rock alternativo e indipendente. Con lui abbiamo parlato di underground, di come il mainstream si sia mangiato l'indie (o l'indie è stato ben lieto di darsi in pasto al mainstream), degli artisti che realmente meritano attenzione, e di come il panorama musicale contemporaneo, spesso, tradisca le sue aspettative. Ma non ci siamo fermati a questo. Lo abbiamo portato anche in luoghi per lui meno congeniali, come Sanremo, Eurovision, X Factor, i Maneskin e le polemiche legate all'uso dell'autotune? Così è emerso quanto meriti Lucio Corsi, al di là del Festival, perché Manuel Agnelli ha fatto bene a partecipare come giudice al talent di Sky, come mai Morgan ha ragione quando dice che gli autori sono sempre gli stessi e una regola sarebbe indicata, e che della trap, nonostante gli sforzi, non gli piace davvero nulla (anzi, la detesta).

Federico, ha seguito l'ultimo Festival di Sanremo?
Dunque, il Festival in diretta non l'ho visto perché non sopporto tutte le chiacchiere e i siparietti. In generale, penso che Sanremo sia uno spettacolo televisivo che ha la musica fondamentalmente come pretesto. Tuttavia, in questa edizione, da quanto ho avuto modo di vedere a posteriori, mi sembra che ci sia stato meno sensazionalismo rispetto alla gestione Amadeus. Mi è apparso un po' più sobrio. In relazione alla musica, è il pretesto su cui si regge tutto il carrozzone. Chiaramente, come in ogni cosa, c'è della buona musica, anche se il concetto di "buona musica" è sempre soggettivo. Ci sono cose che piacciono molto a tanti e che io non toccherei nemmeno con un bastone, e altre che non piacciono affatto e magari piacciono a me. La musica è una componente essenziale del Festival: senza musica non ci sarebbe Sanremo.
Cosa pensi di Lucio Corsi e del clamore attorno a lui dopo questa edizione?
Il vero vincitore del Festival è stato Lucio Corsi, perché si parla solo di lui. Lucio è un musicista che non ha niente a che vedere con le classiche situazioni mainstream di massa. Viene da un altro mondo e fa una musica che non c'entra nulla con quella che oggi va per la maggiore. Viva Lucio Corsi!
Lo conosci bene, avendolo premiato in passato anche al Mei (Meeting delle etichette indipendenti)...
Sì, lo conosco dai tempi del primo disco. Al Mei gli abbiamo voluto dare, nel 2023, il premio come miglior artista indipendente. Lucio ha sempre avuto il suo mondo poetico e musicale, ovviamente con dei riferimenti, ma i riferimenti li hanno tutti. Lui ha una sua poetica, un suo modo particolare di raccontare quello che vuole raccontare. A Sanremo non ha fatto altro che portare il suo mondo a un pubblico molto più ampio rispetto a quello alternativo, indie o underground in cui si muoveva prima. Ha fatto benissimo a sfruttare questa occasione, e il suo messaggio artistico è stato apprezzato. Mi hanno detto, anche se non ho verificato, che se ci fosse stato ancora il regolamento del periodo Amadeus, Lucio avrebbe vinto. In ogni caso, per me la vittoria è irrilevante: si parla moltissimo di Lucio Corsi e meno, ad esempio, di Olly, che pure ha vinto. Il fatto che sia finito sulla copertina di Vanity Fair è sintomatico di un interesse mainstream che va oltre la musica. Era già un personaggio prima, solo che lo conoscevano in pochi. Mi fa piacere che stia ottenendo risultati e, al di là del piacere personale, mi gratifica pensare di essermene accorto prima.
Questo clamore dopo più di dieci anni di carriera dipende solo da Sanremo?
Dipende dall'esposizione mediatica. Se ti muovi nell'underground, sei visibile solo a una nicchia. In Italia, spettacoli nazionalpopolari come Sanremo o X Factor raggiungono un pubblico generico, non fatto di appassionati di musica. Gli appassionati di musica si informano attraverso altri canali, che però non sono altrettanto visibili. Lucio faceva concerti, pubblicava dischi, raccoglieva buone recensioni, ma solo tra gli addetti ai lavori più attenti. Ora, grazie a Sanremo, se ne sono accorti in tanti.
L’indie è stato in grado di usare Sanremo a proprio vantaggio?
È un discorso complesso. Anche le etichette cosiddette "indipendenti", ormai, si appoggiano alle tre major rimaste o a grandi etichette come la Sugar, per cui pubblica Lucio Corsi. Il mainstream oggi è più sensibile verso certi artisti che possono funzionare con il pubblico. Gli alternativi, quando possono, sfruttano le occasioni che gli vengono offerte. La differenza è che cercano di arrivare al grande pubblico mantenendo il loro linguaggio musicale, senza diventare più commerciali per forza. Lucio Corsi e Brunori Sas, ad esempio, non hanno portato a Sanremo canzoni diverse da quelle che fanno di solito. Magari una canzone per Sanremo è più “furba”, ma non è stravolta rispetto al loro repertorio. Non si può dire che abbiano fatto una canzone commerciale solo per vincere.
I primi tre posti con due cantautori, Lucio e Brunori, sono un buon segnale per la musica d'autore?
Mi piacerebbe pensare di sì. Per decenni, nel mainstream, c'è sempre stato un dominio del cosiddetto "clan degli autori". Storicamente, i cantautori non andavano a Sanremo: avevano il loro pubblico e si consideravano su un altro livello. Oggi, invece, se ne vedono di più. È un segnale positivo: rispetto alla banalità della musica mainstream attuale, vedere premiati artisti con un discorso più profondo è incoraggiante. Speriamo che duri.
Olly ti piace?
Non è un artista che ho seguito molto, non rientra nel mio ambito di riferimento. Mi sembra un musicista onesto, fa il suo lavoro dignitosamente, ma non lo considero un'eccellenza. Ha una buona presenza scenica, ma per il mio gusto personale trovo più interessanti artisti come Lucio Corsi o Brunori.

E invece come consideri l’Eurovision in relazione alla musica di qualità?
L'Eurovision, fino a pochi anni fa, in Italia non interessava quasi a nessuno. Era visto come un baraccone kitsch. Poi, con la vittoria dei Måneskin, è cambiata la percezione. Ora c’è persino chi partecipa ai contest a San Marino per accedervi… mi fanno sorridere, mi immagino se lo facessero pure in Vaticano! L'Eurovision è spettacolarizzazione estrema, molto più di Sanremo. Lo guardo perché mi diverte, mi fa scoprire realtà diverse, anche se spesso la musica proposta è una mescolanza di cliché. Qualcosa di buono ogni tanto salta fuori, ma raramente ascolto artisti e penso: "Di questi mi comprerei il disco". Ricordo quando vinsero i finlandesi Lordi con Hard Rock Hallelujah: una parodia dell’hard rock, con loro mascherati da creature horror. Se vuoi divertirti, cerca il video su YouTube. La musica era un mix di cliché, ma la spettacolarità era totale. Per me l’Eurovision è questo: intrattenimento, non un punto di riferimento musicale.
Perché il Premio Tenco è così snobbato dalla Rai?
Il problema è che la cultura, in termini di audience, non paga. La Rai, che dovrebbe dare spazio a qualsiasi espressione culturale, spesso insegue il modello delle televisioni commerciali, puntando su programmi che garantiscono ascolti e pubblicità. Tuttavia, il Tenco ha ancora spazio, seppur sacrificato. In passato era più rigoroso, ora cerca un equilibrio tra qualità e visibilità. Se invita nomi noti, attira più attenzione e giustifica il sostegno pubblico. È sempre una questione di soldi e audience.
Come mai le major si sono prese tutto e le etichette indipendenti non riescono più ad avere la forza del passato?
Allora, più che se lo sono preso, sono state alcune etichette indipendenti a concedersi. Cioè, hanno avuto delle offerte che hanno ritenuto vantaggiose e quindi le hanno sfruttate. La Sugar, per esempio, che non è che sia sostanzialmente un'etichetta indipendente, però ha sempre seguito i criteri standard delle major, seppur su scala un pochettino più ridotta. Le major hanno più soldi. La Sugar ha tanti soldi, ma meno soldi della Universal o della Sony o della Warner, ovviamente. Però le modalità, i canali, erano fondamentalmente gli stessi. Non è che in Italia si sia mai voluto realmente creare un circuito indipendente che potesse essere un'alternativa alle major, appunto perché tutte le etichette, nel momento in cui gli è capitata un'offerta favorevole, hanno pensato bene di sfruttarla. Diciamo che la cosa importante, però, secondo me, è che se il discorso musicale e artistico che viene portato avanti dalle indipendenti, anche sotto l'ombrello di una major, è identico a quello che farebbero se fossero degli "sperduti" underground, va benissimo, non c'è nessun problema.
Le piccole etichette quindi riescono ancora a resistere?
In Italia esiste un circuito immenso di musica underground e alternativa. Ci sono tantissime piccole etichette che fanno dischi di musica non necessariamente di massa, musica di nicchia o di super nicchia, e il circuito in qualche modo c'è. Però, ecco, è dispersivo. D'altronde, se fai musica ricercata, strana, difficile, sperimentale e tutto il resto, insomma, se non sei fondamentalmente pop, a livello di grande pubblico non funzioni. È un classico, questo, da sempre. Per cui sono due circuiti separati. Per me non è che le major se le sono mangiate, sono state le etichette indipendenti che hanno detto: "Mangiateci". Ma non so fino a che punto poi siano state realmente mangiate a livello di proposte artistiche.

Manuel Agnelli, che è stato un simbolo del mondo indie, ha spiegato di aver scelto di fare il giudice di X Factor per portare un’alternativa nel mondo dei talent e quindi del mainstream. Ha raggiunto l’obiettivo?
Manuel lo conosco molto, molto bene, ho pure scritto un libro su di lui, quindi ci conosciamo da decenni. Quando mi raccontò, prima che succedesse tutto, la questione di chi sarebbe andato a fare il giudice di X Factor, gli ho detto che faceva benissimo, perché sicuramente è un uomo di musica e un uomo che ha fatto anche iniziative legate al mondo della musica. Quando si mise in testa di organizzare il Tora Tora Festival, che era un festival itinerante, si faceva in vari posti con varie band di quello che era il circuito alternativo degli anni '90, portava avanti delle operazioni che andavano oltre il semplice "sono il leader di un gruppo, faccio dischi e tour". Ha avuto sempre questo pallino per cercare di allargare il circuito, per fare qualcosa che non fosse soltanto per lui, ma della quale potessero beneficiare altri. È chiaro che, nel momento in cui si è trovato a scontrarsi con una cosa come X Factor, che comunque è un altro spettacolo, è uno spettacolo con delle regole, è uno spettacolo con un copione, è uno spettacolo che deve presentare e affermare dei personaggi, non è che Manuel potesse comportarsi da rivoluzionario. Se avesse fatto il rivoluzionario davvero, lo avrebbero buttato fuori dopo la prima puntata. Si è dovuto adeguare e ha cercato di fare del suo meglio per sostenere dei potenziali futuri bravi artisti e delle canzoni di un certo livello.
Quindi il bilancio è positivo?
Non so se ha raggiunto l'obiettivo, forse troppo ambizioso, che aveva quando ha cominciato quest'altra avventura, però comunque penso che lui sia soddisfatto, tant'è che ha continuato a farlo, poi ha smesso, poi ha ripreso. Io credo che lui, a livello di giudici, fosse sicuramente uno dei più preparati, se non il più preparato in assoluto, a livello di musica, di esperienza, di canzoni a 360 gradi. E poi, essendo una persona di grande intelligenza, è riuscito anche ad affermarsi come personaggio. Non so fino a che punto ha realizzato il suo sogno quando per la prima volta ha detto sì per fare il giudice di X Factor, però credo che qualche risultato l'abbia ottenuto.
Un altro tema di cui si parla ancora molto è l'autotune. È uno strumento utile nella musica o viene usato troppo spesso per coprire i difetti?
Io ho cominciato a scrivere di musica nel 1979 e ad ascoltare seriamente musica nel 1972, quindi pensa quanto tempo è passato. Io ho visto passare un sacco di mode, il vinile, il Cd, il ritorno al vinile, lo streaming… ho visto cose che voi umani... Quindi ho sentito anche infinite polemiche, sia sui supporti di ascolto, sia per gli strumenti musicali. Mi ricordo le polemiche quando, all'inizio degli anni '80, uscirono le tastiere elettroniche economicissime. I gruppi suonavano queste tastierine Casio che costavano 100 mila Lire, facevano "blin blin" con i tasti, e tanti si scandalizzavano: "Ma com'è possibile che chiunque con questa roba possa fare musica? Questa non è musica!". Poi i campionatori, anni dopo, stessa identica cosa: "Ah, ma come? Si campiona?". Altra polemica. E ce sempre quella, tutt'ora in corso, con i Dj che dicono "vado a suonare", e tanti rispondono "ma che suonare? Sei lì a mettere i dischi". Quindi, l'autotune è fondamentalmente uno strumento, come aiutavano i campionatori, le tastiere elettroniche, le batterie elettroniche. O le drum machine, e pure lì: "Ma come? Non c'è più il vero batterista? C'è la drum machine? La drum machine è fredda, è sempre uguale, non c'è creatività, non c'è fantasia!".
Ma ci sono dei casi in cui l'autotune viene usato male?
Sì, è uno strumento, ma dipende da come lo si usa. Il mio sospetto, da addetto ai lavori, è che, siccome in effetti consente a un sacco di gente che non sa cantare di far finta di saper cantare, può essere usato malamente. Porta avanti dei personaggi più che degli artisti, più che dei musicisti. Mi viene il sospetto, ovviamente, che troppo spesso venga utilizzato per dire: "Beh, abbiamo trovato questo qui. Accidenti, è carino, ha charme, ha carisma, ha presenza scenica, però non sa cantare… vabbè dai, mettiamogli l'autotune. Con l'autotune risolviamo il problema". Però il male assoluto non è l'autotune. È chi sta dietro, spesso, all'uso dell'autotune. A prescindere dal fatto che, a me, in generale, comunque l'autotune dà un senso di artificioso che un po' mi disturba. Però l'autotune è incolpevole. Chi lo usa male è colpevole.
Qualche artista che lo usa bene e qualcuno che, invece, ne approfitta un po'?
Oddio, non è proprio il mio settore, siccome si parla fondamentalmente di roba mainstream, anche nell'ambito underground c'è chi fa uso dell'autotune e cerca di utilizzarlo in modo creativo, intelligente, diverso, non finalizzato a correggere i difetti, però in questo momento non mi sembra il caso di fare nomi.

Un altro tema caldo riguarda gli autori dei testi. Secondo te c'è un monopolio di pochi autori che scrivono per tanti cantanti?
Sì, è quello che ti dicevo prima. È sempre stato così, ci sono sempre stati pochi autori, un circolo di autori che poi ovviamente è cambiato, perché tanti di quelli storici sono morti, perché avevano un'età già negli anni '60. Adesso ce ne sono di nuovi. Io devo dire che trovo ridicolo quando leggo che ci sono dieci autori per la stessa canzone, con una musica che potrebbe farla con estrema facilità il più scarso programma di intelligenza artificiale e un testo che potrebbe scrivere la mia nipotina di nove anni. Mi vien da ridere. Rientriamo in quel suo discorso del business, queste sono fondamentalmente quote che vengono date a Tizio, Caio e Sempronio, tutto questo gruppo di persone che si spartisce i soldi che poi arrivano dalle trasmissioni radio, dalle trasmissioni tv, dall'inserimento nelle colonne sonore dei film. È tutto quanto un gioco finalizzato al guadagno di una cricca di persone che fanno questo per lavoro. C'è chi magari lo fa meglio. Anche parlando a livello storico, io non sono mai stato un fan straordinario di Mogol. Ma Mogol ha scritto migliaia di testi e tanti di questi testi sono cose che non mi piacciono per nulla, le trovo scritte col pilota automatico, però ha anche scritto canzoni bellissime. Però c'era Mogol e basta. Vedere sette autori, otto autori, sei autori per una canzone con un testo o anche musiche che boh... Ma come mai sono così tanti? È chiaro che è tutto fatto per i soldi, per quale altra ragione dovrebbe essere fatto? E quindi, come un tempo tutti andavano da Mogol, adesso tutti vanno da altri.
Morgan da tempo denuncia questa situazione, infatti ha proposto che a Sanremo venga introdotta la regola di un solo autore per ogni cantante. Questo potrebbe aiutare?
Potrebbe aiutare, non aiuterebbe sicuramente la casta degli autori.
Il fatto è che il problema persiste anche al di fuori del Festival...
Esattamente! Marco Castoldi, in arte Morgan, è comunque un attento osservatore di quello che succede, solleva spesso polveroni ma con cognizione di causa. Tanti tendono a non prendere sul serio Morgan perché, appunto, alcuni polveroni che ha alzato ai più suonavano pretestuosi, però ne ha dette anche parecchie di cose giuste. Se ci fosse la regola di un solo autore, potrebbe aiutare, ma aiutare per la qualità. Vedrebbero fuori canzoni sicuamente migliori.
Oltre ad allargare le possibilità economiche...
Ma io penso semplicemente che si metterebbero d'accordo tra di loro. Dicendo: vabbè, dai, questa la firmi tutta tu, mi scrivi quest'altra e questa la firmo tutta io. È tutto un "magna magna", come dicono qui a Roma. Per cui no, non penso cambierebbe tutto. Però ha fatto bene Morgan a sollevare la questione. Non solo lui, perché di questa storia ne parlano in tanti. Però tanti dimenticano, o non sanno, che c'è sempre stata comunque questa casta degli autori dietro il mondo della musica mainstream, anche quando non veniva chiamata mainstream. Saranno vent'anni forse che a livello di linguaggio comune si parla di mainstream. Prima c'era la musica e poi c'era la musica commerciale. Dimenticandosi del fatto che qualsiasi artista che faccia musica la diffonde su supporto o dal vivo, e quindi la fa diventare commerciale, perché è un prodotto. Però commerciale viene usato in senso dispregiativo, come dire: quello lo fa per fare i soldi. In realtà lo dicevano già i latini, "pecunia non olet", a nessuno fanno schifo i soldi, diciamoci la verità. Poi ci sono quelli che sono coerenti con determinati principi e quelli che si venderebbero per un piatto di lenticchie.

Ultimamente Damiano David dei Måneskin ha intrapreso la sua carriera solista. Questo ti ha stupito dopo il suo percorso con la band, oppure te lo aspettavi?
No, me lo aspettavo al cento per cento, era scritto nel destino. Era ovvio. Il discorso Måneskin ha funzionato tantissimo a livello mediatico, ma non era un qualcosa che poteva andare avanti a lungo. I Måneskin non hanno fatto altro che frullare i cliché rock che hanno infilato in chiave pop, puntando anche sul look, sull'estetica, su un approccio che da vari anni a questa parte, a livello mainstream, non si vedeva, perché era orientato altrove. Per cui, vedere una band giovane che riciclava cose del passato è parso nuovo. Loro hanno fatto breccia sul pubblico giovane, oltre che su un po' di vecchi che volevano sentirsi giovani. E l'abbaglio del ritorno del rock and roll ha avuto diffusione finché sono stati una novità. Hanno funzionato a livello di ascolti, a livello di visibilità. Hanno avuto dietro comunque un management molto abile nello sfruttare le varie situaizoni, però fondamentalmente era scritto nel destino che Damiano avrebbe fatto la carriera solistica, che Victoria avrebbe fatto cose paramusicali o comunque avrebbe preferito in qualche modo il personaggio in determinati contesti e che degli altri due ci saremmo dimenticati persino dei loro nomi, almeno fino alla reunion che, inevitabilmente, ci sarà tra qualche anno. Era così, non ho avuto nessuna sorpresa.
Poteva esserci un modo per far resistere un po' di più il gruppo?
L'unica possibilità era se il successo dei Måneskin fosse stato meno fulmineo, se non avessero bruciato tutto così in fretta, sarebbero sopravvissuti un altro paio d'anni. Damiano ha pensato bene di portare avanti la sua storia, perché poi il personaggio, quello che poteva funzionare da solista, ovviamente, era lui, non c'è dubbio. Non è che mi ritengo un indovino perché avevo pensato che sarebbe andata così, era fin troppo chiaro che sarebbe andata così. Poi magari fra cinque anni fanno una bella reunion per riattirare l'attenzione, per i ragazzini di dieci anni che nel frattempo ne hanno sedici. Allora si fa la reunion, l'evento, perché ormai funziona tutto così. La musica è un pretesto per poter fare eventi spettacolari, i mega concerti con biglietti venduti a prezzi assurdi, dove in definitiva la musica è quello che serve per poterci organizzare attorno tutta una marea di altre cose: dallo spettacolo visuale al merchandise e tutto il resto.
Ci si è chiesto anche se Victoria De Angelis fosse o meno una brava bassista. Tu che ne pensi?
Dovrei essere un bassista per dire se è brava. Nella musica non ho mai fatto caso al discorso tecnico. Penso che comunque per suonare ci vuole esperienza. Cresci, maturi. Onestamente non saprei dirtelo. Se musicisti capaci e preparati dicono che è una brava bassista e non lo fanno per ragioni pubblicitarie o per soldi o per simpatia, sarà una brava. Però non so cosa dirti. Considero che qualunque notizia vediamo in rete, non so tu, ma penso che potrebbe essere sia vera che fake. Questo vale anche per i musicisti. Magari Victoria è bravissima, magari pensa che il basso ha otto corde. Di quello che vedi anche in concerto, niente potrebbe essere vero. Viviamo in un mondo molto costruito... è molto difficile distinguere tra quello che è costruito e quello che è reale.
In merito alla distinzione tra costruito e reale, cosa ne pensi dei finti sold out ai quali sono spesso costretti certi artisti che poi regalano anche i biglietti per riempire?
Il sold out fa clamore e quindi porta interesse sull'artista. Se un artista fa il sold out, vuol dire che è forte.
È un'operazione di marketing?
È chiaramente un'operazione di marketing, che a volte funziona, a volte non funziona. Tu mi fai il discorso dei finti sold out, io ti posso fare anche i discorsi delle scuse che vengono trovate per annullare tour o i concerti. Dice che sta male, ha mal di pancia, ha avuto un problema familiare e quindi deve annullare tutto. Quando in realtà era perché praticamente le prevendite avevano suscitato interesse zero. Se tu prenoti San Siro, metti in vendita i biglietti e dopo una settimana ne hai venduti mille, che figura fai? Per cui, meglio salvarti in corner, dire "sto male" e annullare il tutto. Ovviamente dell'operazione di marketing dei finti sold out penso tutto il male possibile, questo mi sembra naturale. È l'ennesima truffa e l'ennesimo tentativo, purtroppo in molti casi riuscito, di sminuire la musica in quanto strumento di elevazione emotiva o anche culturale, per renderla semplicemente prodotto che fa fare soldi.
E invece nell'ambito della trap c'è qualcosa che trovi interessante?
No, nel senso che ho vissuto da posizione laterale, non ero proprio di quel giro lì, però ho seguito tutte le prime cose del rap italiano originale, quello degli anni '90. Penso sempre che artisti come Sottotono, Frankie Hi-Nrg, siano persone che hanno fatto belle cose. Il rap è andato avanti per i fatti suoi, poi è venuta fuori questa storia della trap. Ho provato una sorta di fastidio fisico, ma sarà anche un fatto generazionale.
Sui testi violenti, misogini e sessisti, ci sono state tante critiche...
Io trovo i testi brutti, violenti, sessisti. Oppure testi semplicemente banali, stupidi, "cantati" fra mille virgolette, più che cantati sono biascicati. Della trap detesto questo cantare strascicato, questo finto canto svogliato, è una roba che mi fa soffrire. Non riesco proprio, ci ho provato perché un addetto ai lavori deve saperne un po' di tutto, quindi provo e poi rimuovo. Non è proprio il mio mondo. Il mio mondo è fatto di gente che canta cose significative, importanti, con dei messaggi che non devono essere necessariamente politici. Ci possono anche essere messaggi emotivi, sentimentali, poetici. Vedo che nel mainstream la musica è sempre più un prodotto, ma d'altronde al giorno d'oggi pare che tutto quanto debba essere un prodotto e che ci sia, a livello di grande visibilità, ben poco spazio per tutto quello che non si adegua a certi canoni superficiali di ascolto. Per questo sono un grande fan di Lucio Corsi. Non adoro tutte le sue canzoni, ma adoro il suo mondo, adoro lui com'è e sono contento che abbia visibilità, spero che duri e spero che il suo modo di porsi non cambi. Che stimoli altri a essere loro stessi invece di diventare delle macchiette per un successo che sarà magari effimero e che poi gli darà soltanto rimpianti e frustrazioni.
Ci consigli tre artisti italiani e tre artisti stranieri contemporanei, meno conosciuti nel mainstream, da ascoltare assolutamente per capire la musica di qualità di oggi?
Italiani, i primi che mi vengono in mente: Lucio Corsi, Elli De Mon e Daniela Pes. Stranieri: Algiers, The Lemon Twigs e St. Vincent.

