Marco Molendini ha una lunga storia e una grande esperienza come critico musicale, e non perché si è fatto le ossa su Spotify. Ha vissuto le epoche in cui le etichette discografiche facevano il bello e il cattivo tempo, in cui il cantautorato era roba da intellettuali con la sciarpa e in cui i talent non erano ancora catene di montaggio. Ha scritto per testate prestigiose, visto emergere e sparire generazioni di artisti e persino fatto il giudice ad "Amici", quando il programma ancora sfornava talenti più che influencer. Ma il mondo è cambiato. Sanremo, Eurovision, il declino delle etichette indipendenti, la mercificazione dei talenti: per lui, che ci ha raccontato tutto in questa intervista, è un meccanismo implacabile, dove chi riesce a sopravvivere è perché sa come giocare la partita. E quando gli chiedi della Rai e del Premio Tenco, la risposta è secca: non gliene frega nulla di offrire spazio alla musica d’autore. La verità, secondo lui, è che la musica è diventata un business. E se un artista non ha il giusto "appeal commerciale", che sia Sanremo, Amici o X-Factor poco importa. Ma non è solo impregnato di pessimismo. Nel suo sguardo c’è una curiosità viscerale per quello che succede sotto la superficie, quel mondo "sommerso" di cui parla con una certa nostalgia, ma senza mai sembrare troppo romantico. Perché alla fine, lo sappiamo tutti, quando parliamo di musica, la vera domanda è sempre la stessa: Chi vende davvero? Ed è proprio per questo che, se un talent come X-Factor ti promette di portare aria fresca, ti basta poco per capire che, alla fine, la freschezza in quest’ambito è una merce rara. Nonostante le buone intenzioni di alcuni giudici, il sistema vince sempre, e l’indie e l’underground sono ormai oggetti da scaffale. A meno che tu non sia capace di emergere, ma anche lì la strada è tortuosa. Marco Molendini ti guarda e ti dice, senza troppi fronzoli, che la musica è bella, ma è anche un gioco. E se non impari a giocare, non fai neanche parte del tavolo.

Innanzitutto, lei come considera Sanremo come festival musicale?
Sicuramente l'aspetto positivo è che riesce a coinvolgere più artisti possibili per farli vedere da un grande pubblico per una settimana e poi quegli artisti ne traggono beneficio, insieme ai loro management e all'organizzazione dei concerti.
L'ultimo Sanremo ha visto tra i primi tre posti due cantautori, cioè Lucio Corsi e Brunori Sas, invece il vincitore è stato Olly che, pur avendo avuto un percorso diverso, ha comunque avuto una svolta cantautorale. Secondo lei è un buon segno per la musica d'autore?
No. Ma poi a Sanremo chi vince o non vince è relativo, hanno vinto tutti e 29, nel senso che sono stati per una settimana davanti alle telecamere visti da un pubblico sterminato. C'è un riconoscimento, questo è un segnale positivo per un certo tipo di canzone che sembrava trascurata, però serve anche a coprire tutti gli spazi di pubblico per poi proporli nei concerti dal vivo. Brunori Sas ha già una storia, è stabilizzato dal punto di vista musicale, si conosce e fa una musica comunque di qualità. Lucio Corsi è un personaggio sicuramente singolare, nuovo e fresco rispetto al panorama generale.
Lucio Corsi andrà all'Eurovision. Lei come considera quell'evento in relazione alla musica?
L'Eurovision è un guazzabuglio perché ci sono una quantità di paesi che offrono degli spettacoli che sono commisurati a quella che è la tipologia di ciascun paese e spesso il livello non è qualitativamente alto.
Lei quindi ha visto Sanremo e seguirà anche l'Eurovision?
Sì, adesso vediamo. L'Eurovision è talmente vasto per cui uno darà uno sguardo alle cose più interessanti però spero che ci sia qualche sorpresa. Non mi pare che negli anni siano rimasti grandi tracce di nuovi personaggi lanciati dall'Eurovision.
Forse i Maneskin anni fa?
Ma erano già conosciuti, non è che sono usciti da quella manifestazione.
Ultimamente Damiano David ha intrapreso la sua carriera da solista. Questo l'ha stupita dopo il suo percorso con la band oppure se lo aspettava?
No, me lo aspettavo. La separazione sarebbe sicuramente avvenuta, ognuno avrebbe avuto la tentazione, soprattutto quello più in vista che è Damiano, di provarci da solo. Non so che effetto avrà questa carriera solistica. Difficile che abbia gli stessi risultati che ha avuto col gruppo, però. Non escludo che in futuro ci sarà una reunion che potrà essere lanciata con una certa gran cassa.
Nonostante il successo internazionale, non riuscirà a raggiungere la fama dei Maneskin?
Penso che sia difficile che lui riesca a ottenere lo stesso successo che ha ottenuto col gruppo.
E apprezza il suo percorso da solista oppure no?
Per ora da quello che ho sentito non era male. Ha delle doti sicuramente come interprete, come cantante. Poi fare un concerto è una cosa diversa da presentare una singola canzone o due o fare una performance a Sanremo. Mettere insieme un disco è ben più complicato.
Molti si sono anche chiesti se Victoria De Angelis fosse o meno una brava bassista. Lei che ne pensa?
Che era funzionale al gruppo. Non lo so che cosa possa fare da sola. Non mi sembra che sia, riguardo alle capacità strumentali, un fenomeno tale da cui non si possa prescindere.
Adesso, infatti, lei fa la Dj.
Si è creata una condizione tale nel gruppo, che ha goduto di una serie di circostanze molto favorevoli, che poi è difficile ridimensionarsi nella carriera solistica e pensare di avere quella stessa visibilità.

Lei crede che, rispetto al passato, le major si siano prese tutto e invece le etichette indipendenti non riescano più ad avere la forza di una volta?
Il problema non è tanto questo, il problema è che esiste un meccanismo per cui tutto il sistema musicale è in mano a grandi network e per cui gli indipendenti hanno uno spazio molto relativo. Network che spesso sono anche internazionali, e gli stessi gruppi italiani dipendono da organizzazioni internazionali. È un meccanismo di monopolio della musica che è in mano ad alcuni gruppi che organizzano tutto, gestiscono gli artisti, i concerti e tutto ciò che li riguarda.
Un altro tema di cui si è discusso sono gli autori dei testi, non solo a Sanremo. Secondo lei c'è un monopolio di pochi autori che scrivono per tanti cantanti?
Sì, e questo fa parte della concentrazione di cui parlavamo. Ci sono dei network che hanno in mano la gestione della musica. E anche nella creazione dei pezzi esistono delle presenze di riferimento che coprono gran parte del panorama. Poi è curioso che a volte vedi, come è successo a Sanremo, canzoni che portano la firma di 7-8 autori, che sarebbe contraddizione. Ma poi significa che in realtà sono crediti che vengono attribuiti perché hanno partecipato in qualche modo alla confezione.
Morgan da tempo denuncia questa situazione. Infatti ha proposto che a Sanremo ci sia una regola, cioè un solo autore per un solo cantante. Questo secondo lei potrebbe aiutare?
Beh, ma questo è difficile limitarlo per regolamento. Perché se una canzone la fanno in due, che fai? Non la presenti perché l'hanno firmata in due?
Questo sarebbe un problema. Invece cosa ne pensa dei finti sold out ai quali sono spesso costretti certi artisti che poi magari regalano i biglietti per riempire gli stadi?
Dire che un concerto è sold out è una forma di promozione, per cui si vende il pacchetto già come se fosse esaurito, è difficile che un concerto non venga venduto come sold out. È impossibile che tutti quanti possano fare sold out con tutti i concerti che propongono. Soprattutto d'estate, anche in spazi enormi. Che riescano a fare stadi, che riescano a fare ipodromi, il Circo Massimo a Roma eccetera. Tutti quanti sold out. Io la vedo difficile dal punto di vista logico proprio.
Alla fine è una strategia di marketing?
Beh, certo. Dire che un artista fa sold out vuol dire che è un artista molto richiesto, sebbene invece l'artista non riempia il posto dove canta o dove suona. Ovviamente il marketing non può proporlo con lo stesso appeal. È una cosa che si faceva anche tanto tempo fa, diciamo che adesso è diventato uno standard, un modo classico di agire, di proporre. Prima magari a volte si facevano concerti in cui si regalavano biglietti pur di far vedere che le gradinate o la platea erano pieni.

Come mai il Premio Tenco è così snobbato dalla Rai, quando sarebbe l'evento principale per la musica d'autore?
Non mi pare però che la Rai sia alla ricerca di dare spazio alla musica d'autore, francamente.
In effetti, sì. Ma perché? Perché non dà abbastanza ritorno di ascolti, non attira gli spettatori medi?
Sì. Non mi pare che ci sia l'interesse, negli indirizzi che ha preso la Rai, a dare attenzione a tutto ciò che esula da un discorso puramente commerciale.
Lei è stato tra i giudici del programma di "Amici" di Maria de Filippi. Com'è diventato rispetto a quando c'era lei?
Non lo so se è peggio o meglio, so che deve tenere conto di quella che è la concorrenza e di quello che è il quadro generale della musica, quindi anche loro si orientano su quel territorio. L'imprinting di "Amici" ha segnato una fase della musica italiana in cui si venivano presentati dei personaggi che poi avevano grande successo. Oggi il fenomeno si è un pochino più allargato, X-Factor è un'altra fabbrica e quindi quella è la funzione, ovviamente uno deve tener conto dell'altro.
Quindi i giovani che escono da "Amici" tendono ad avere meno possibilità di avere un futuro rispetto a prima?
No, meno non lo so, dipende anche dai personaggi che vengono tirati fuori, dalla qualità che hanno. Ovvio, tutte le annate non sono uguali, però hanno la possibilità anche loro di stare in televisione per un periodo prolungato di tempo e quindi tranne i benefici dal punto di vista della riconoscibilità.
Ma anche lì alla fine ciò che conta è la commerciabilità del prodotto?
Certo, mi pare sia innegabile.
Passando invece a X Factor, in Manuel Agnelli voleva portare un'alternativa, una musica underground, nel mondo dei talent. Ma secondo lei ha raggiunto l'obiettivo?
Non mi pare che ci siano questi segnali francamente. Il meccanismo è troppo forte, perché al di là delle giuste e lecite aspirazioni di ciascuno alla fine vince il meccanismo. E quindi lì è un territorio in cui è difficile fare discorsi di nicchia.
L'indie e l'underground sono stati inglobati dal mainstream oppure gli artisti alternativi riescono comunque ad emergere?
Dunque è stato sicuramente inglobato, le opportunità per proporsi e farsi notare sono attraverso dei canali abbastanza chiari e definiti. Questo non vuol dire che poi sotto traccia ci possa essere qualcosa, solo che gli sbocchi non sono facili e visibili.
Però comunque c'è un pubblico di nicchia che riescono a tirare...
È talmente sommerso che è difficile perfino tracciarne i confini.
Un altro tema di cui si è parlato molto in questo periodo riguardo alla musica è quello dell'autotune. Secondo lei è uno strumento utile della musica o viene usato troppo spesso per coprire difetti?
Lo strumento è sicuramente utile, serve soprattutto per calibrare la voce, l'intonazione eccetera. E chi ne ha bisogno lo utilizza. Poi viene utilizzato per anche per ottenere degli effett diversi. Certo, questo crea un contraccolpo, che è quello di tendere a omologare l'espressione musicale, nel senso che tutti quanti ricorrono a un sistema che poi in qualche modo rende piatto il risultato artistico.
C'è qualcuno che usa bene l'autotune e qualcuno che invece ne approfitta? Qualche nome che le viene in mente?
Io non farei una distinzione di nome. Il problema è chi ha capacità artistiche e, tutto sommato, sa sfruttarlo in maniera utile e vantaggiosa. Chi non ce l'ha deve ricorrere a quel mezzo, però paga il prezzo dell'omologazione, di essere uguale a tanti altri. Ne abbiamo sentiti tanti a Sanremo che si assomigliavano, e attraverso l'uso dell'autotune sicuramente non è che aggiungevano qualcosa di personale alla loro interpretazione. È un problema di capacità. Se uno ha del talento non soffre l'uso dell'autotune. Se invece questo talento non c'è diventa più difficile gestirlo.

Nell'ambito della trap c'è qualcosa che trova interessante oppure proprio nulla?
Spero che ci sia un rimidimensionamento, perché l'esagerazione che ha sofferto la musica italiana negli ultimi anni con questo dominio della trap è diventato una specie di ossessione e spero che sia un momento, a mio pare, di cogliere dei segnali di stanchezza.
Quindi a lei non piace come genere?
Non è che non mi piace, non ho sentito nulla di particolare rilevanza e degno di essere ricordato, e mi pare che ci sia un'omologazione nel modo di proporre la musica che è talmente forte che in qualche modo è sconfortante.
Federico Guglielmi ci ha detto che trova i testi brutti, violenti e sessisti. Libertà di espressione o forza del mercato?
Quello è funzionale. Quando fai dei pezzi che sono tutti musicalmente abbastanza omologati, cerchi poi di colpire nel segno attraverso l'uso degli abbigliamenti o delle parole forti che colpiscono e gli atteggiamenti violenti fanno parte di questa strategia. Non è che sono gratuiti, sono un tentativo di farsi ascoltare e notare in qualche modo. Quindi penso più forza del mercato.
Ci consiglia artisti italiani e stranieri contemporanei meno conosciuti nel mainstream da ascoltare per capire la musica di qualità di oggi?
Questo ho difficoltà a farlo. Ho ascoltato le canzoni di questi nuovi personaggi femminili che stanno avendo successo in America, che hanno una gradevolezza dal punto di vista della confezione, come Sabrina Carpenter, però poi vai a vedere e c'è sempre una certa omologazione. Sono graziose da tanti punti di vista, però francamente fanno del pop che è assimilabile a cose già sentite e viste tanto. Il problema è generale, in questo quadro è un momento talmente confuso, talmente pieno di proposte simili, talmente organizzato dal punto di vista strumentale che è difficile trovare dei personaggi autentici. Il caso di Lucio Corsi è un caso singolare, perché è un caso di un personaggio fresco che viene fuori da una situazione completamente estranea a tutti i meccanismi di cui abbiamo parlato. Quello è stato un caso singolare e secondo me bisogna vedere come reagisce lui rispetto all'impatto con questo mondo, che poi lo condizionerà, perché adesso vedo che gli propongono già concerti in spazi importanti, mi pare che a Roma debba fare Capannelle se non sbaglio. Non è facile, gli artisti che capiscono qual è il vento che tira si devono conformare.
Nel caso di Lucio Corsi come si spiega questo clamore dopo più di dieci anni di carriera?
Forse, alla fine, viene avvertito che c'è bisogno di trovare qualcosa di inedito che esce fuori dalla consuetudine. Oltretutto, forse riempie quel campionario che tende a essere completo di offerte, per cui si mette anche l'artista che viene dal nulla. In questo caso è riuscita la scommessa, perché si è proposto nella maniera giusta, con una freschezza e un modo simpatico di essere sul palco, quindi è una buona cosa. Non dimentichiamo che Verdone l'aveva messo nella sua serie televisiva Vita da Carlo, quindi già aveva avuto una piccola esposizione che lo aveva segnalato.
