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Deinfluencer

La caduta degli influencer è la fine di una democrazia fondata su un rutto

Veronica Tomassini

25 gennaio 2024

Gli scandali di Chiara Ferragni o le critiche a Selvaggia Lucarelli rappresentano la caduta degli dèi social. Ma anche il fallimento dei praticanti dell’università della vita, dei digital creator di inettitudini riverniciate di glitter, di un linguaggio inviperito e normodotato utile a spigolare rarissime rappresentazioni di nobiltà. Il terremoto di questi mesi visto da una grande scrittrice come Veronica Tomassini, che su MOW attraverso la rubrica "Deinfluencer", con gli occhi di chi è abituato a concentrarsi su altre profondità (della cultura e della vita di tutti i giorni), prova a descrivere cosa rappresentano i veri potenti della nostra epoca: gli influencer. Ecco un nuovo capitolo

di Veronica Tomassini Veronica Tomassini

Moreno Pisto, direttore di Mow, parla di caduta degli dei. Mi fa molto pensare. Ha ragione. Una condizione che può riguardare un destino collettivo, non solo la stagione delle vanità (questa, testé), tese fino a esplodere in lance di egolatria. L’egolatria che frana su radici morte o divora sé stessa. Per cui, si perde tutti. Guardando le delicate ninfe in auge su Tik Tok, la sensazione (vi ho già detto, è vero) è di arrendersi al naufragio, applaudendo l’orchestrina del Titanic fino alla fine. Nel frattempo frantuma una certa idea del mondo che doveva passare come l’unica possibile, l’oltraggio come metodo. Il cattivismo spinto e mi riferisco a una tendenza non degli ultimi giorni, non contingente, ma più lontana, ha trovato la sua celebrazione ultima, definitiva: nella culla oziosa a tratti e a tratti madida di sangue altrui, o semplicemente un tritacarne, un tritavirtù. Filtrato dai media il meglio, persino il meglio, diventa guasto. La virtù presunta si arrota per sminuzzarsi, tradursi nell’esatto contrario. Ha ragione Moreno Pisto, è la fine di un’epoca, il tramonto surplus sulla défaillance dell’umano, assolutamente incapace di assolversi, mostrandosi nella natura solidale a qualcosa come l’empatia, la grazia di perdonare, la tolleranza. E lascerei perdere enormità che attengono al ramo dell’epica, dello stoicismo, della coerenza.

Chiara Ferragni
Chiara Ferragni

Abbiamo dismesso gli eroi. Concetto che si gonfia rapidamente, e altrettanto rapidamente si sgonfia. Gli ultimi li ricordo tra Capaci e via D’Amelio, non me ne vengono in mente altri. Ci saranno, in sordina. Purtuttavia è una pasta che non forgia molti emuli oramai. E “oramai” è il tratto che contraddistingue questi anni, l’estinzione fidelizzata del buono, del giusto, l’acconciamento facile a un cascame ovunque si guardi. E te lo propongono come un’alternativa democratica, per cui ognuno a saperci fare può inventarsi scrittore, cantante, attore. Pensate in questo istante agli esempi che abbiamo, tiratemi fuori un grande interprete. L’eccezionalità. Non la trovate. Si è stabilito evidentemente che l’eccezionalità disturbi, non sia congrua, o altrimenti sia perniciosa. Porti rogne. I social in tale direzione consolano abbastanza. Concorrono alla formazione di esemplari che confinano con banalissimi estremi, tra l’ipocrisia e la ferocia, con i vari sottoinsiemi: buonismo, benaltrismo. Coglionaggine. Non sapete cosa preferire eh? E infatti non vi si chiede una scelta, che sia coraggiosa, reale. Creature difformi, informi, anzi. Schiere di ultracorpi, che dapprima chiamarono iniziati, poi seguaci, poi hater. Infine, idioti, semplicemente. Idioti che però hanno già trucidato. Ci sono morti, nomi che possiamo cominciare a enunciare. C’è un concorso di colpe. Non siamo al sicuro. La coscienza dilavata casomai da fastidiosi crucci. I morti procurati dalla stupidità. Hai ragione Pisto, la caduta degli dei. La pettoruta certezza dei praticanti dell’università della vita, dei digital creator di inettitudini riverniciate di glitter, di un linguaggio inviperito e normodotato nondimeno, utile a spigolare rarissime rappresentazioni di nobiltà, non sia mai ne nascessero ancora o si addestrassero a quali anomali disposizioni d’animo, magnifici precettori. Allora siamo al grado zero, alla democratizzazione brutale fino a somigliare a un rutto. Un rutto come metodo, applicabile dunque negli ambiti decisivi, benissimo nelle arti. Strapparci di dosso le vesti da paramenti pontificali, a meno di non demolire l’esistenza altrui, con commenti di solito ad cazzum. Peccato che poi quando si muore, si muore davvero.

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