Dividi et Impera, dicevano i romani. La saggezza che dura secoli è in grado forse di dettagliare cosa sta accadendo oggi in Italia e nel resto del Pianeta. Pochi mesi separano l'elettorato dalle elezioni europee nel Vecchio Continente e dall'elezione del capo del governo negli Stati Uniti d'America. Ovvero circa un miliardo di persone dei quasi nove che abitano sulla Terra. E il voto è l'unico strumento che il popolo possiede per tentare di orientare la Politica, l'Economia e il resto dell'ambaradan. C'è da chiedersi quali forze, non solo in Italia, saranno in grado di rispondere alle esigenze frammentate che sono espresse da un elettorato e da una società civile sempre più frastagliata. Lo scorso 12 aprile si è speso un nuovo capitolo di questa frammentazione: le femministe radicali di Radfem Italia si sono schierate apertamente contro gli islamici in Italia. Un j'accuse contro la discriminazione sessuale, anche se viene fatta in nome della cultura e con la motivazione dei dogmi religiosi dell'Islam. Come invece è pluralmente accettato da tante forze politiche progressiste e pure da molti pezzi della società civile. Nell'elenco di chi accetta tali discriminazioni sessuali, sono incluse anche delle componenti dello stesso femminismo italiano, ma di matrice “woke” e globalista: il “transfemminismo” di associazioni come Non una di meno.
Ma certo non è il caso delle RadFem, le femministe più radicali. Che, con una lettera aperta al Sindaco Gualtieri e alle tante autorità competenti in materia, si sono scagliate pubblicamente contro ciò che è successo in occasione della fine delle celebrazioni del Ramadan, durante una festa sulla pubblica piazza, che è stata autorizzata nel quartiere Centocelle a Roma. In cui le donne sono state isolate all'interno di un recinto telonato, quali “animali impuri” così da evitare che vedessero i fedeli di sesso maschile durante il momento di preghiera collettiva. Una segregazione fisica e una discriminazione sociale, in base al sesso, che è avvenuta sul suolo pubblico italiano, con l'avvallo delle autorità e delle istituzioni, nonché contraria a numerosissime norme in vigore in Italia. “Chi ha dato il permesso per l’inaccettabile manifestazione? E che iniziative si intendono intraprendere contro questa barbarica misogina?”, domandano nel testo di denuncia le femministe che sono anche note con l'acronimo dispregiativo di “terf” (trans-exclusory radical femminist). Come già avvenuto in occasione degli stupri del 7 ottobre 2023 in Israele, anche in questo caso romano non si sono sentiti appelli da parte di donne o associazioni femminili per organizzare manifestazioni femministe contro il patriarcato. Ma, nonostante un assordante silenzio, tale fatto è avvenuto sul suolo pubblico e nella capitale d'Italia, Roma. Ora che una voce si è alzata, si sta acutizzando la frattura tra due distinti e opposti femminismi, anche in Italia. Da una parte quello universale e “classico”, ovvero quello radicale che solidarizza e lotta per i diritti di tutte le donne del mondo, ovvero gli esseri umani biologicamente di sesso femminile. In antitesi con una visione globalista e in salsa woke: il transfemminismo, che include nella difesa dei diritti delle donne anche quelli di altri soggetti, figli della “intersezionalità” che professava Michela Murgia, ovvero qualsiasi minoranza che si suppone sia “oppressa”: trans, gay, LGBT, migranti, islamici, rom, quant'altro voglia auto-dichiarare “sono una donna” e ora, in questo momento storico, pure i cittadini palestinesi di Gaza.
Ci scuserà la collega Marina Terragni (o si scrive “TerFagni?”) per il riassunto a grandi linee, che vale meno dei bigini Bignami nei licei del secolo scorso, ma le differenze tra le distinte idee di femminismo appaiono lampanti nel mondo occidentale. Soprattutto a riguardo delle politiche gender e circa l'autocertificazione dell'identità, tant'è che le radicaliste vengono spesso associate alla “destra”, mentre le “transfemmministe” alla “sinistra”. Ormai più o meno in ogni democrazia occidentale, ma soprattutto in Usa, Uk e nel resto del mondo sotto l'influenza anglofona. Però questa frattura non si era evidenziata in Italia e questa è una delle prime e chiare avvisaglie. Infatti finora non si erano sentite chiare voci femminili di condanna circa i reati connessi ad alcuni usi islamici in Italia, ad esempio in occasione delle molestie pubbliche collettive, ovvero la taharrush compiuta su donne e turiste nel Capodanno di quattro anni fa in piazza del Duomo a Milano, così come in occasione di alcuni efferati omicidi di cronaca nera, di stampo patriarcal-familiare, come l'assassinio di Hina Saleem e di Saman Abbas. Di seguito la lettera aperta, che è stata pubblicata Feminist Post.
Al Sindaco di Roma Roberto Gualtieri
Al Presidente del Municipio V Mauro Caliste
Alla Commissione Pari Opportunità del Comune di Roma
e p.c.
Alla Ministra Pari Opportunità e Famiglia Eugenia Roccella
Al Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi,
Gentile Sindaco, gentile Presidente, gentili membri della Commissione Pari Opportunità, manifestiamo sgomento e sconcerto a fronte delle modalità con cui nel Municipio V della Capitale - piazza dei Mirti, quartiere Centocelle, a pochi metri dalla scuola intitolata ad Artemisia Gentileschi - si sono svolte le celebrazioni di fine Ramadan, le donne chiuse in un recinto come animali impuri per isolarle e impedire loro di guardare gli uomini intenti nella preghiera. Una scena "afghana" nel cuore di Roma che non può essere giustificata da alcun principio di "tolleranza" e di pacifica convivenza tra differenze religiose e culturali. Chiediamo alle autorità se erano state informate di questo allestimento, se hanno concesso permessi per l'installazione di dette recinzioni sul suolo pubblico, nonché quali iniziative intendano intraprendere nei confronti di chi ha ideato e organizzato questa inaccettabile e umiliante scena di discriminazione.
In attesa di cortese e sollecito riscontro
Rete per l'Inviolabilità del Corpo Femminile
RadFem Italia