L’altro ieri, sollecitato proprio da un’amica, dunque “femmina”, ho fatto caso al post di una sociolinguista femminista sostenitrice professorale della necessità assoluta, ai miei occhi quasi quasi poliziesca, cose da Milizia Volontaria per la Sicurezza della Lingua, dell’uso dello schwa (ossia, cito: “Una proposta di estensione della lingua italiana per superare le limitazioni di una lingua fortemente caratterizzata per genere. La sua impronunciabilità ha reso necessaria la ricerca di una soluzione alternativa, ed è qui che fa la sua comparsa lo schwa, ǝ”) mi è allora tornato subito in mente un fiammeggiante video-editoriale di Valentina Nappi visto e ammirato in rete anni fa. Dove Valentina, gambe aperte, mostra programmaticamente, meglio, politicamente la propria vagina, suggerendo in filigrana, almeno in chi non abbia pudore verso la nudità, alcune suggestioni oserei dire decisamente "colte": ora la “Storia dell’occhio” del filosofo francese Georges Bataille (sì, lui che ha indagato le forme sensibili e segrete dell'erotismo) ora le incisioni non meno espressamente genitali femminili del dadaista Hans Bellmer, un pittore al quale i nazisti riservarono un posto nelle sale della mostra itinerante, promossa da Josef Goebbels, dell’arte cosiddetta, ai loro occhi, “degenerata” (“Entartete Kunst”, in tedesco) e inaugurata a Monaco di Baviera il 19 luglio 1937. Nel video appena citato, Valentina Nappi si rivolge testualmente, sfrontatamente alle “fiche di legno”, dove il referente inquadra il contesto, l’insieme chiuso femminista, e lo fa esattamente in nome e per conto della propria fica radiosa, attiva e operante, cosciente, sovrana, assoluta, parlante. Bene, proprio da lei, da Valentina Nappi, mi attendo presto un film, e che sia ritenuto cinema “d’autore”, cinema “politico”, e non servile “pornografia” offerta, per citare il noto canto goliardico “Ifigonia in Culide”, esattamente “all’agile mano che snuda il banano”, che mostri, appunto, una ipotetica femminista, possibilmente, segnatamente teorica assertiva dello schwa, mentre “scopa”, meglio, mentre “chiava”; utilizzo non meno contestualmente tale lessico radiosamente ritenuto postribolare, da enciclopedia ononastica tra "Il Tromba", "Lando" e "Sukia", per descrivere le sensazioni assolute del momento, dell’istante, del piacere stesso. Quanto al resto, quanto a ogni possibile realtà visibile nascosta che racconti la verità intima delle cose e delle persone, ancora non sappiamo, non avendo le ali, e non potendo quindi, nottetempo, sollevarci sulle facciate delle abitazioni per sbirciare attraverso le finestre delle suddette compilatrici di saggi intorno allo schhwa; non possiamo dunque che immaginare… Quanto all’opera che sarà, dovrà appunto penetrare, carotare plasticamente, metti, l'orgasmo di una persona di osservanza femminista che abbia appena terminato di compilare appunto un saggio proprio sullo schwa, magari destinato alle stampe presso l’editore Einaudi, incerta ancora la collocazione, cioè se direttamente nelle collane tradizionali dello Struzzo o semmai nel catalogo parallelo di “Stile libero” curato da Paolo Repetti, dal quale ovviamente ci aspettiamo piena consonanza di idee, se non complicità in nome dell’ironia doverosa, poco importa se maschile, anzi, ‘sticazzi se espressamente maschile.
Abbiamo assoluta coscienza che il nostro portato di “boomer” già “rivoluzionario”, delle nostre meravigliose scopate perfino in piedi, dei pompini che assomigliavano a vere “preghiere”, lo stesso che ha nutrito ora il Situazionismo ora la cosiddetta “rivoluzione sessuale” (rammento, come fosse ieri, l’acquisto di La lotta sessuale dei giovani di Wilhelm Reich pubblicato da Samonà e Savelli, copertina gialla, assai presumibilmente, se non con certezza, è percepito dalla protagonista immaginaria del nostro film affidato proprio a Valentina N. come nient’altro che “ciarpame”, ossessione fallica maschilista, ergo espressione di una subcultura “patriarcale”. Tuttavia, essendo testimoni di ciò che sempre situazionisticamente è stato definito “un orgasmo della storia” per nostro sommo conforto tornano altrettanto in soccorso ora le immagini di Luis Buñuel di Quell’oscuro oggetto del desiderio, quando Fernando Rei cerca di avere ragione dei nodi della cintura della cintura di castità di Conchita I e Conchita II, ora Angela Molina ora Carole Bouquet, o piuttosto i tormenti maschili raccontati con sarcasmo sublime da Marco Ferreri in Ciao maschio, e nel dire così non possiamo far altro, davanti al cadavere di King Kong abbandonato su una spiaggia di New York City, che innalzare la bandiera rossa e nera della rivoluzione libertaria che in Spagna, nel 1937, tra Catalogna, Aragona e Levante, pretese, fra molto altro “la proclamazione dell’amore libero”, con i banditori che la annunciava in strada battendo sul tamburo, altro racconto memorabile di Buñuel nella sua autobiografia. Ora, tutto questo portato meraviglioso, che dalla compilatrice del saggio sullo schwa sarà sicuramente visto come qualcosa di maschilmente abominevole, ai nostri occhi appare invece oro puro di un pensiero liberatorio, dunque non sarà certo l’obiezione che si tratti di una subcultura zavorrata dal portato maschilista a farcelo abbandonare. Così a fronte della sensazione di un contesto femminista claustrale nel quale dimorano, troneggianti, al pari di una Beata Corbera, badesse autoritarie e risentite. In un vaniloquio che mostra nessuna sensazione di spiragli, semmai soltanto antica sessuofobia reificata in nome del controllo d’ogni istinto desiderante. E nel dire così mi viene incontro ancora una ideale palizzata di momenti iconici che hanno affermato in senso sempre liberatorio il rifiuto della grettezza e dell’ossessione perfino catto- fascio-nazi-comunista e ancora altro genere di censura pronta a condannare ogni nozione di nudità, ogni affermazione dell’Osceno nella sua forma più assoluta, un “Indice” femminista nuovamente zavorrato da un senso di colpa nel quale ritrovo un tribunale di piccine arpie che innalzano ancora le reliquie delle già menzionate badesse che riterrebbero che tutto ciò sia “empio”, facce, posture e atteggiamenti che le rendono del tutto simili agli inquisitori che appaiono nel film di Carl Theodor Dreyer dedicato alla passione di Giovanna d’Arco, con Antonin Artaud tra i protagonisti.
Si legga, sempre in questo senso, la lettera che quest’ultimo, proprio Artaud, indirizzò al papa e ancora ai direttori degli ospedali psichiatrici: “In nome della Patria, in nome della Famiglia, tu (Papa), tu induci alla vendita delle anime, alla libera triturazione dei corpi. Abbiamo, tra noi e la nostra anima, abbastanza percorsi da superare, abbastanza distanze per interporvi anche i tuoi preti tentennanti e quest’ammasso di azzardate dottrine di cui si nutrono i castrati del liberalismo mondiale. Il tuo Dio cattolico e cristiano. Non sappiamo che farcene dei tuoi canoni, del tuo indice, del peccato, del confessionale, della tua pretaglia”. Oppure, rivolto adesso ai direttori degli istituti psichiatrici: “Signori, le leggi e il costume vi concedono il diritto di valutare lo spirito umano. Questa giurisdizione sovrana e indiscutibile voi l’esercitate a vostra discrezione. Lasciate che ne ridiamo. La credulità dei popoli civili, dei sapienti, dei governanti dota la psichiatria di non si sa quali lumi sovrannaturali. Ma per ogni cento classificazioni, le più vaghe delle quali sono ancora le sole ad essere utilizzabili, quanti nobili tentativi sono stati compiuti per accostare il mondo cerebrale in cui vivono tanti dei vostri prigionieri? Per quanti di voi, ad esempio, il sogno del demente precoce, le immagini delle quali è preda, sono altra cosa che un’insalata di parole? Noi non ci meravigliamo di trovarvi inferiori rispetto ad un compito per il quale non ci sono che pochi predestinati. Possiate ricordarvene domattina, all’ora in cui visitate, quando tenterete, senza conoscerne il lessico, di discorrere con questi uomini sui quali, dovete riconoscerlo, non avete altro vantaggio che quello della forza”. Una sorta di nuova Santa inquisizione priva di autentico sorriso che sembra appunto cancellare ogni forma di gioia, il principio stesso del piacere, a favore di un principio di realtà presuntamente filosofica in nome di un qualcosa che sa di soffocante "polizia morale". Per queste semplici, umanissime ragioni aspettiamo presto che sia la fica lucente di Valentina Nappi nuovamente a parlarci, a rispondervi. Parafrasando i giorni dell'eroica difesa di Madrid dai fascisti di Francisco Franco che infine impose che le gambe delle statue di Cristo crocifisso fossero coperte con i calzoni: la fica di Valentina Nappi sarà la tomba dello schwa!