Cortocircuiti. Che c'entrano Gal Gadot e Gerard Butler, due attori, con la politica di Netanyahu? Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano punta il dito contro la loro esclusione dal Festival di Venezia: o meglio, l'autoesclusione. I due attori infatti, sarebbero dovuti essere presenti al Lido per presentare il film The Hand of Dante, diretto da Julian Schnabel; all'annuncio del loro arrivo però, sono partite le proteste del collettivo di artisti Venice4Palestine, i quali hanno firmato una lettera in cui scrivono che i due “sostengono ideologicamente e materialmente la condotta politica e militare di Israele”. Il collettivo è composto da 1500 artisti, non da uno sparuto numero: a questo punto perciò, montata la polemica, sia la Gadot che Butler hanno rinunciato.
Nel mirino ci sono gli abbracci di Gal Gadot con i parenti degli ostaggi di Hamas e gli aiuti di Butler all'esercito israeliano. Peccato che, sottolinea il direttore del Fatto, a Netanyahu cambi ben poco se i due saranno a Venezia o meno; inoltre, come al solito, bisognerebbe prima conoscere il contesto.

Travaglio apre precisando che tutti abbiamo un senso di impotenza davanti al “massacro impunito di Gaza” e che è giusto chiedere alla Biennale spazi per condannare Israele e solidarizzare con i palestinesi. Ma i due attori hanno il diritto di presenziare alla prima del film di cui sono protagonisti: additare due colleghi come nemici da cacciare, scrive, è illiberale. Anche se le loro idee fossero le più aberranti.
È il solito caso in cui un principio di giustizia a un certo punto, fa il giro e si contraddice, traducendosi nel suo esatto opposto: la censura per difendere la libertà.
Era già successo con gli atleti russi alle Olimpiadi, ma anche più recentemente con le critiche a Woody Allen per essere intervenuto in collegamento al Festival di Mosca o, ricorda Travaglio, al fotografo russo Alexander Gronsky, quando ad Ucraina appena invasa, venne escluso dal Festival della fotografia europea di Reggio Emilia. In quel caso, solo perché russo, senza nemmeno sapere chi fosse davvro: tant'è che al ritorno nel suo Paese, Gronsky scese in piazza per manifestare contro la guerra di Putin e, alla fine, proprio dalla polizia di Putin venne arrestato. Insomma: troppo russo in Italia e troppo poco russo in Russia.

Qualcosa di simile è avvenuto anche con la protesta contro Gal Gadot e Gerard Butler, entrambi accusati di qualcosa che in realtà, non tiene conto di come siano andati realmente i fatti. Innanzitutto perché la Gadot è la nipote di un superstite di Auschwitz che perse l’intera famiglia e si rifugiò in Israele, dove è nata e, in seguito, ha prestato il servizio militare obbligatorio. Dopo il 7 ottobre, choccata, “solidarizzò col suo Paese e si batté per gli ostaggi, incontrandone i parenti molto critici con Bibi”. Non va dimenticato che nel 2019, all'apice del successo con Wonder Woman, aveva attaccato Netanyahu in campagna elettorale: “Quando diavolo sentiremo un membro del governo dire davanti alle telecamere che Israele è il Paese di tutti i suoi cittadini, inclusi gli arabi? Siamo tutti uguali, anche gli arabi sono esseri umani”. Sarebbe stato molto più comodo tacere, nella sua posizione.
A questo punto, Travaglio riflette anche su quanto avvenuto con Butler, peraltro scozzese, il quale “partecipò a raccolte-fondi per i soldati israeliani con altre star di Hollywood, da Schwarzenegger a De Niro a Larry King, nel 2016 e nel ’18: che colpa può avere in uno sterminio iniziato 7 e 5 anni dopo?”. Per poi chiedersi: se fosse invitato un mostro sacro del cinema come De Niro, qualcuno gli urlerebbe di andarsene per aver partecipato a quella stessa raccolta?
Davvero di questo passo, come dice Travgalio, l'Italia vincerà il Nobel per la censura?
