Corrado Augias ha fatto il suo ingresso, per la prima puntata di La Torre di Babele, su La7, con i capelli a caschetto stile Caterina Caselli e una giacca con il solo bottone di mezzo abbottonato (si abbottonano i primi due, o, se vuoi abbottonarne uno, solo il primo). Di lui oggi si parla perché ha dato dello “rozzo” a Matteo Salvini, il che non è una notizia, ma nessuno sta parlando della scenografia dello studio: vetrinette della nonna che espongono mutande appese. Ho telefonato a un’amica che venera Augias per avere una consulenza obiettiva: “Ma nelle vetrinetta in stile nonna, quelle appese, sono mutande?”. Dall’altro capo del telefono silenzio per qualche secondo, a conferma che la prima impressione è quella giusta: vetrinetta con mutande appese, appunto. Poi si è ripresa: “Ma no... sono... sono vetrinette da museo... e dentro ci sono appese... ehm... aspe’... foto di pezzi di scultura in marmo bianco... no... foto di fogli antichi…”. “Foto di mutande?”.
Il primo ospite è lo strepitoso Alessandro Barbero. Corrado Augias vuole parlare di questa maleducazione che c’è nel mondo per cui, secondo Augias, ci sono due guerre, quella tra Russia e Ucraina e quella tra “Israele e Palestina” (ha detto così, non tra Israele e un movimento terroristico condannato dalle autorità Palestinesi che si chiama Hamas), che messo fine alla “pax americana”, secondo Augias una pace mondiale che durava dalla fine della seconda guerra mondiale, periodo in cui si poteva leggere serenamente un buon libro in poltrona. In una intervista recente Augias disse degli hippy che erano “ragazzi ingenui che sognavano una parodia di Arcadia fatta di chitarre e caprette, l’odore di marijuana era fortissimo”. Adesso, uno deve chiederselo: “Che tipo di droghe ha usato Augias per immaginare la sua parodia borghese di Arcadia dove c’è una 'pax americana'?”. Capisco che secondo lui gli hippy erano quella roba lì per cui gli anni Sessanta, per Augias, per la sua colta e profonda analisi, saranno stati tipo “capelloni”, “pantaloni a zampa”, “sandali”, “furgoncini”, “falò”, ma qualcuno può ricordargli, che ne so, il Vietnam della sua “pax americana”? Ci sono anche un paio di libri e un paio di film interessanti sull’argomento, visto che anche se prendi Augias, negli anni Sessanta, e lo sbatti in mezzo agli hippy, lui ti torna e ti dice: “chitarre”, “caprette”, e non ha neanche fumato! Barbero impietrito. Ha iniziato a emettere quei deliziosi squittìi da Barbero che emette quando vuole mandare a quel paese qualcuno ma essendo torinese non può, però gli viene da ridere, ma anche ridere in faccia a qualcuno non è cortese e quindi squittisce (attenzione, quella che precede è la mia interpretazione del pensiero di Barbero, e come tutti i fan ho opinioni personali che non riguardano lo storico, e comunque io voglio un piccolo Barbero in casa da tenere sul comodino) e insomma ha cercato di dire: “Pax americana?... Guerra Fredda semmai...” oppure “sì... in effeeeeeettiii si scannavano lontano... magari a noi europei non arrivava l’odore del napalm...”. Niente. Le interviste di Augias sono interviste a tema. Non fa domande, espone le sue tesi. In maniera educata, minuettosa, civettuola, ma non fa domande, dice la sua, e se l’ospite non è d’accordo fa quel sorrisino da effetto Dunning-Kruger come a dire “sì, sì, come dice lei”. La mia amica di cui sopra pensa che Augias sia “garbato”. Come una nebbia, di quella semisolida che si infiltra da sotto la porta nei film dell’orrore, tipo Fog o The Mist per intenderci. Augias non accoglie. Avviluppa. E così, persino il nostro metallaro della storia, il nostro Gremlins adorato, Alessandro Barbero è stato silenziato dall’ovatta di Augias. Un Augias calmo, sereno, altro che hippy, che pur venendo da una famiglia di militari è ancora convinto che dal 1945 in poi il mondo sia stato un posticino tranquillo e non affollato, una piccola e deliziosa libreria indipendente diciamo (io mi sono fatto l’idea che a casa, i parenti suoi militari, quando dovevano fare discorsi da adulti, lo mandavano in cameretta con i libri da colorare, “colora, colora Corrado, qui tutto sereno, no, questa non è una pistola, è un segnalibro”). Un Augias avvoltolato dalle sue stesse parole, autocircuentesi, un po’ come - per fare una citazione colta, che ad Augias non dispiace mai - nel celebre quadro di Salvador Dalì, Giovane vergine autosodomizzata dalle corna della sua stessa castità. Insomma, la sensazione è sempre quella: “Spostati Augias che vorrei vedere la trasmissione”.