Vi ricordate l’uscita del documentario su Netflix chiamato Il boia insospettabile? Racconta in più puntate di un semplice pensionato di Cleveland che viene scambiato per Ivan il Terribile, uno dei boia più spietati del Terzo Reich, e processato (forse ingiustamente) per anni in Israele. Moltissimi sopravvissuti non ci misero un attimo, nonostante i decenni passati, a riconoscerlo e ad accusarlo come loro aguzzino. Questo caso di cronaca ha dei risvolti alquanto inquietanti sulla funzione della memoria. Che cos’è la memoria, per quanto si conserva aderente alla realtà e quanto è importante che quella memoria sia vera o meno? I ricordi quanto modellano la nostra identità? La stessa domanda se la pone Michel Franco in Memory, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, che è valso una Coppa Volpi al bravo Peter Sarsgaard. L’assistente sociale Sylvia (Jessica Chastain) è un ex alcolizzata che decide di partecipare, fortunatamente o meno, a una riunione di ex studenti del liceo dove incontra Saul (Peter Sarsgaard) un uomo con un atteggiamento piuttosto bizzarro che la segue fino a casa e si addormenta nel suo giardino. Da lì a poco scopriamo che Saul soffre di demenza precoce e viene accudito dal fratello Isaac (Josh Charles), e fin qui sembrerebbe una breve storia triste, ma la cosa peggiore è che Sylvia accusa Saul di aver abusato sessualmente di lei, con un altro compagno di classe, durante l’adolescenza. Le violenze terribili che Saul e socio avrebbero compiuto spiegherebbero il passato da alcolista della donna e un carattere sempre teso, quasi fosse perennemente sul punto di scoppiare a piangere o urlare. Saul non ricorda niente, la sua malattia gli permette di vivere a malapena il presente figurarsi recuperare la memoria a lungo termine. Di Sylvia sappiamo poco a parte il temperamento nervoso nel privato e calmo nel lavoro, ancora non riesce a ingoiare l’inesprimibile, è una mamma single della quindicenne Anne (Brooke Timber) e ha uno strano rapporto con la sorella Olivia (Merritt Wever) e una madre che le femministe definirebbero “serva del patriarcato” (Jessica Harper). Mentre conosciamo le dinamiche disfunzionali della famiglia di Sylvia, Michel Franco insinua il dubbio che potrebbe essere Sylvia stessa, più che Saul, a non ricordare il passato.
Negli ultimi casi mediatici di stupro, soprattutto dopo la docu-serie The Keepers, si parla spesso di ricordi rimossi e recuperati: tante vittime sviluppano una amnesia difensiva dopo il trauma che riemerge, inevitabilmente, anni dopo. Ma quanti di questi ricordi recuperati dimostrano dei fatti reali? Quanto è affidabile quel luogo straniero chiamato memoria? Nonostante le pesanti accuse di Sylvia, la donna accetta il ruolo da infermiera per Saul che le offre Isaac, così da un film che sembrava l’ennesima prova di rape e revenge si vira verso approdi più melodrammatici e romantici. Il caso del presunto boia di Treblinka così come il film di Michel Franco ci insegnano quanto possa essere fragile la memoria di un traumatizzato, e di quanto servano dei carnefici a una vittima che non ha conosciuto giustizia: tutto il resto come la verità, i fatti, l’innocenza la colpevolezza passano in secondo piano. La sceneggiatura è molto scarna, e Chastain come Sarsgaard si aggrappano a quei pochi tratti dei loro personaggi per farne uscire un duo dolente, che si avvicina sempre di più sentimentalmente parlando: lei ha paura degli uomini e lui sembra il più innocuo del suo genere. Quello di Michel Franco è un ritratto tenero quanto ingannevole della memoria, i due non hanno tempo di assestare un qualsiasi tipo di rapporto stabile che la verità è lì, in agguato, dietro l’angolo a fare crollare ogni nuova e fragile certezza. Il plot twist è piuttosto prevedibile, ma la cosa peggiore è quando il veleno di un passato non detto viene fatto spurgare nella dimensione domestica: siamo a metà strada tra il patetismo ridicolo di Gabriele Muccino, e una serie di reazioni totalmente stupide e superficiali. Com’è possibile che una donna così attaccata a un passato disastroso, tanto da renderla una madre iperprotettiva, dall’altra sia capace di perdonare in un battito di ciglia uno dei suoi presunti aguzzini? È un’opera molto imperfetta Memory, come lo è la memoria, e nei momenti meno riusciti si rivela un melodramma che calca troppo la mano con dei buchi di sceneggiatura che ricalcano la mente di Saul. Franco dà il meglio nei momenti in cui gioca in sottrazione, con quel suo solito sguardo algido come in un abbraccio tra Saul e Sylvia che può sancire la fine quanto un nuovo e straziante inizio per due solitudini così grandi. Perché in questo mondo senza cielo, privo di logica e di amore, come dei Caligola impazziti abbiamo bisogno di “pubblico, di spettatori, di vittime e di colpevoli”. Tutto il resto non conta.