Aveva sollevato un polverone già prima dell’uscita il brano di Ghali “Niente panico”, il cui incipit è identico allo slogan di un progetto artistico di Dario Pruonto, curatore della residenza Casa Museo Caos. Al di là delle polemiche sul presunto plagio, che interessano più gli autori che gli ascoltatori, il testo che Ghali ha creato per quella che lui stesso definisce “la canzone più importante che ho scritto finora” lascia intravedere il potenziale artistico ancora inespresso di questo cantante. La sua evoluzione come cantautore sembra sempre più delineata, promettendo nuovi sviluppi interessanti nel suo percorso musicale, una direzione che ormai sembra essere sempre più chiara. La base di Michelangelo, Sadturs e Kiid molto semplice e scarna, accompagnata dalla voce pura, svuotata finalmente dall’auto-tune, carica le parole di un peso aggiuntivo e mostra tutta la fragilità di Ghali, sostenuta da una saggezza che ha conquistato negli anni sul campo musicale.
Proprio sul campo anzi, per strada ci porta invece The Night Skinny, che con il suo album “Containers” realizza un’istantanea della scena rap contemporanea, richiamando a rappare amici di lunga data e nuove leve. Quello che va riconosciuto a Skinny è la capacità di tirare fuori dagli artisti il lato più prossimo all’istinto originario di ognuno. A differenza degli altri producer album, qui il produttore non è tanto un deus ex machina che si fa aiutare dagli altri artisti per realizzare il proprio piano, ma è piuttosto un abile selezionatore di talenti con la sensibilità di individuare accoppiate inedite e vincenti. In “Containers” il protagonista non è né il produttore, né i singoli rapper, ma la strada. “Sono nel blocco, fra’, le strade hanno bisogno”, così inizia “Cntnrs” la traccia finale dell’album, una posse track come si dice nel gergo del rap, che coinvolge ben nove artisti, da Emis Killa e Tony Boy a Guè e Jake La Furia, perché il rap nasce sempre da una dimensione collettiva e sempre dal basso.
Uno che invece è riuscito a farsi strada da solo è Diego Naska, fedele al suo gusto pop punk che ripropone in “The freak show”, il suo terzo album di inediti, in cui si cala in uno scenario circense dal sapore horror (“Horror 2” è il titolo di una sua canzone). Nelle sonorità si rintracciano tutti i classici del punk e del grunge mondiale, dai Nirvana ai Blink-182, suoi espliciti riferimenti, andandosi a ritagliare una nicchia in cui c’è poca rivalità, godendosi così la tranquillità di creare, senza dover battere qualcuno se non sé stesso. Rispetto ai lavori passati qui Naska è più consapevole del ruolo che ha scelto, di quello che sul palco intrattiene gli altri ma che tolta la maschera del cantante deve “tornare a fare i conti con la vita”, come dice in “Pagliaccio”, la traccia più identificativa del disco. Come Naska, anche Motta è molto attento alla dimensione della musica dal vivo ed è proprio dall’idea di abbattere le distanze tra lo studio e le arene che nasce “Suona! Vol.1”, un progetto di otto tracce in cui vengono risuonate e riarrangiate alcune canzoni già edite, ad eccezione di “Suona” che dà il titolo all’album e, nella variante toscana, alla nuova etichetta del cantautore “Sona Music Records”. “Sona” è un monito con cui Motta veniva zittito dai suoi musicisti durante i primi concerti nella provincia toscana, quando parlava troppo tra una canzone e l’altra e che ora è diventato un vero e proprio imperativo, per riportare al centro di tutto la musica, intesa come pratica artigianale e impegno silenzioso.