Se Fabio Fazio si è accaparrato Ghali, a Giovanni Floris spetta Dargen D’Amico. Durante la puntata di Dimartedì si parlerà del caso Navalny e quindi di libertà di espressione e opposizione politica. Si parlerà di economia, sicuramente del Medio Oriente, che poi dovrebbe essere il motivo della presenza del cantante. C’è chi ironizzando sulle competenze di Dargen sbaglia, perché spesso e volentieri la competenza non è tra i requisiti fondamentali per partecipare a un dibattito. Ci sono il ruolo nella società, il peso nell’opinione pubblica, la presa sugli ascoltatori. E Dargen può mostrare di essere decisamente più incisivo di qualsiasi altro papabile interlocutore, compreso qualche segretario di partito con percentuali risicate e democraticamente sottodimensionato rispetto al cantante. Dall’altro lato non sbaglia chi invece ricorda che tutte le imprese culturali e mediatiche hanno inevitabilmente una loro ragion d’essere, che non è il commento politico, ma il dibattito economicamente sostenibile. In altre parole, un dibattito che garantisca qualcosa all’editore, al conduttore, ai compensati, e a chi compensa la mancanza di spazio negli studi televisivi con la propria presenza sui social, dove non si perde occasione di commentare. Per i primi tre del denaro, per gli ultimi lo spettacolo. Ma cosa commentare se il dibattito diventa incommentabile? E cosa c’è di incommentabile, cosa vive e sopravvive nella zona grigia della società dello spettacolo? La moderazione. Noi non vogliamo ragionevoli moderati che dibattono, ma irragionevoli personaggi in grado di rendere la guerra in Medio Oriente una questione di slogan. La cultura è per palinsesti abbottonati che se ne fregano dei guadagni. Palinsesti che non esistono.
A distanza di una leggera pressione sul tasto del telecomando c’è il paragone. Ghali è stato protagonista assoluto dell’ultima puntata di Che tempo che fa, la piazza vuota gestita dal vigile Fazio. Ed è sempre meglio una piazza piena come quella di Floris che l’autocelebrazione di un conduttore e del suo ospite più comodi nello star seduti che nell’eloquio. Cosa succede allora? Che Dargen risulta più difendibile di Ghali. Criticare chi lo ospita o l’ospite prima del tempo significa voler prevedere il futuro, o voler essere al posto di uno dei due, il padrone di casa o l’artista. E l’invidia sociale non è mai un bene. Meglio basarsi sui fatti. Primo fatto: il dibattito non dovrebbe essere chiuso a nessuno, neanche all’influencer o cantante di turno. Secondo fatto: la presenza di Dargen non costituisce in nessuna misura un problema, non crea danni e non è, soprattutto, un dramma. Pensarlo non significa essere di destra, ma dormire sul lato destro. Terzo fatto: se inserito nel contesto del dibattito ci sarà contraddittorio, cosa che nel caso di Ghali non c’è stata. Il cantante potrà esprimere le sue opinioni sbagliate nel contesto giusto di un dibattito, per quanto disfunzionale e prevedibile possa essere. Questo, chiaramente, se parteciperà al salotto e non sarà un’intervista in solitaria. Si è detto all’inizio: la libertà di parlare la dimostra la sua presenza. C’è chi, tuttavia, avendo interiorizzato il blandissimo concetto pasoliniano dell’autocensura in televisione, dirà: sì, ma c’è libertà di parlare liberamente? Dimostrando di non aver capito una cosa fondamentale: autocensurarsi è sempre parlare liberamente, a meno che non si creda che quotidianamente l’autocensura messa in atto (non diciamo parolacce al lavoro, non diciamo la nostra opinione sul conflitto in Ucraina a cena con amici che non ne vogliono parlare e così via) sia una forma di “dittatura” dell’inconscio, dell’io.