La cifra culturale di un Paese si valuta sulla base delle forme d’arte più elevate o da quelle più popolari? Il cinema, quasi per definizione, si trova in questo mondo di mezzo. Enrico Vanzina ha scelto da che parte far pendere la bilancia. Nella sua intervista a Repubblica ha parlato proprio di questo, di identità culturale: “La intendo come l'esatto opposto di innalzare barriere. La rivoluzione delle piattaforme ha portato un pensiero globale, vantaggi e prezzi da pagare: la globalizzazione, un algoritmo universale che regola le storie, il modo di fare le cose”. Per evitare tutto ciò serve rimettere al centro “l’unicità della nostra cultura religiosa, politica, geografica, storica, culinaria”. La fotografia del cinema italiano fatta da Vanzina, poi, riflette una realtà piuttosto negativa: “(Il cinema italiano, ndr) È in un momento di smarrimento. Da un lato i segnali - ancora non chiarissimi - sugli aiuti di Stato, tax credit, i meccanismi e le regole del futuro. Detto ciò credo, da sempre, che il cinema non debba appiattirsi solo sugli aiuti di Stato. Non si possono fare dei film tanto per farli, ignorandone poi l'esito. Il cinema deve essere anche e soprattutto un'operazione di industria privata, che cerca di far pensare, emozionare il pubblico, puntando sul ricavo delle sale”. A questo si aggiunge una “crisi creativa”, che ha provocato, anche per colpa delle piattaforme, la perdita di affezione per i film di genere. Su tutti la commedia, che “oggi è diventata ideologica, si sono perse le tracce dei fondamentali”.

“C'è un parco attori che è sempre lo stesso”, ha detto ancora Vanzina nell’intervista rilasciata a Arianna Finos, “e abbiamo perso i giovani, su cui avevano scommesso e perso i multiplex nelle periferie, mentre il pubblico adulto ha trovato in città le sale chiuse. Oggi i ragazzi si raccontano in storie minime su YouTube, TikTok. Nanni Moretti, Verdone, noi, abbiamo raccontato la nostra generazione. I giovani oggi non trovano film per loro”. Peraltro, la commedia è un genere che non può essere di parte, ma che prevede il rispetto delle “ragioni degli altri”: “Oggi si dividono i buoni e i cattivi, si raccontano solo brandelli di società. Nei drammi le difficoltà delle periferie, le commedia sono quasi tutte storie d'amore”. Enrico Vanzina racconterebbe invece la “classe media che non sa più cos'è, non ha riferimenti, anche ideologici” e la politica, così invischiata nelle dinamiche dei like e delle fake news, “è tutto virtuale”. L’intelligenza artificiale fa paura al regista? “No. Temo di più la cretineria corrente”. Suo fratello Carlo, morto nel 2018, lo “accompagna ancora moltissimo”, e quando “non so fare qualcosa mi dico ‘come la faresti tu?’. Di solito mi risponde”. I loro film hanno raccontato il nostro Paese, pur senza “un piano strategico”, semplicemente raccontando “le storie quotidiane”. Il cinema è un affare di famiglia. E sempre una questione familiare vede protagonisti Enrico e Elisabetta Melidoni, vedova di Carlo.

La ricostruzione di quanto accaduto nella famiglia Vanzina è stata fatta dal Corriere della sera. Dopo la morte di Carlo Vanzina, il fratello Enrico ha chiesto alla cognata, Elisabetta Melidoni, la restituzione di un prestito di 175 mila euro concesso a Carlo nel 2010, oltre ad altri 77 mila euro risalenti al 2018. La situazione ha però preso una piega inaspettata: Melidoni ha denunciato Enrico per tentata truffa, facendo partire un’indagine a suo carico. Enrico ha reagito presentando una querela per diffamazione contro la cognata, sostenendo di avere documentazione che attestava i debiti contratti dal fratello. Dalle indagini è emerso che Elisabetta non era a conoscenza di tali pendenze, ma gli atti prodotti da Enrico hanno confermato la veridicità delle sue affermazioni. Nel 2023 la Procura ha chiesto l’archiviazione dell'accusa di truffa nei confronti di Enrico, procedura che si è conclusa nel 2025. Rimane invece ancora aperta la questione relativa alla presunta calunnia da parte di Melidoni: l’udienza per valutare la sua posizione è stata fissata per il prossimo 26 giugno.

