Leggeri e mai banali, colorati e allegrii. Gli Eugenio in Via Di Gioia riscoprono la vita lenta nella creazione del loro nuovo disco ‘’L’amore è tutto’’. Tra pasti condivisi e lunghe passeggiate vicino lo studio di registrazione, raccontano la gioia ritrovata nella quotidianità. Per loro, la vita andrebbe vissuta come l’ascolto di un vinile: nella sua interezza, senza interruzioni, cercando di gustare ogni momento che offre. In un mondo frenetico, che guarda esclusivamente al mercato, scelgono di puntare sull’autenticità. Ed è proprio quello che hanno fatto in alcune piazze d’Italia e del mondo, grazie ad Agami, una piattaforma audio per creare esperienze immersive: il 18 marzo tra le 17:00 e le 20:00 i fan hanno potuto ascoltare il disco in anteprima avvicinandosi ai punti d’interesse nelle città selezionate. A Milano, invece, hanno accolto gli ascoltatori alla fermata della metropolitana Gioia, appositamente brandizzata per l’occasione, permettendo loro di vivere un’esperienza esclusiva. Ed è così che hanno trasformato l’ascolto del loro nuovo album in un’esperienza unica e condivisibile. Per gli Eugenio in Via Di Gioia l’amore è il vero atto rivoluzionario.

Sembra che il tema ricorrente del vostro album sia l’amore. Che cosa vi ha ispirato?
L'amore è ricorrente in senso lato, perché crediamo che l'amore si trovi in ogni cosa. Abbiamo scelto di rallentare e di trovare una dimensione radicata in un mondo che, invece, va ad una velocità esasperata ed esasperante. La nostra proposta è di fermarsi, ascoltare un album dall'inizio alla fine e di non inseguire sempre qualcosa che non arriva mai. Le canzoni parlano di come il mondo intorno a noi sia una riflessione di ciò che abbiamo dentro, del modo in cui vediamo le cose. Per la prima volta nella nostra carriera, abbiamo scelto di fornire uno sguardo introspettivo. Il noi collettivo diventa un io intimo e meditato. È una riflessione semplice, ma non superficiale. Come diceva Italo Calvino: Si può essere leggeri senza essere superficiali, e ci piace pensare che sia proprio così.
Avete definito questo album come la realtà vista con gli occhi di un bambino e meno cervellotico rispetto ai precedenti. Qual è la differenza rispetto agli altri dischi?’
I bambini si meravigliano. Dobbiamo ricordarci di chi eravamo per accogliere davvero chi siamo oggi. Tutti siamo stati bambini, a volte spaventati, a volte felici e a volte arrabbiati. Se riusciamo ad accogliere tutte queste emozioni, siamo degli adulti consapevoli. Se non le cogliamo, diventiamo degli adulti che proiettano sugli altri ciò che non abbiamo risolto dentro di noi. Con questo disco, ispirati anche dalle nostre letture e dalla nostra esperienza personale, abbiamo voluto fare qualcosa di più poetico e semplice, lontano dalle complicazioni del passato.
In passato avete affrontato temi sociali e politici. Cosa ha ispirato in particolar modo invece questo album?
Quello che ci ha ispirato di più è stata la nostra vita quotidiana: passare tanto tempo in studio e fare colazione insieme ogni mattina. A volte abbiamo scritto canzoni senza avere nemmeno un'idea chiara, fare passeggiate vicino allo studio. Abbiamo trovato la vera ispirazione nel quotidiano, nelle piccole cose. Anche se non parliamo direttamente di temi sociali o politici, affrontiamo questi argomenti in modo più sottile, parlando di noi stessi, perché alla fine siamo la cosa più straordinaria che abbiamo. Ed è per questo che la gente ci ascolta e ci segue: le canzoni parlano principalmente di noi.
C’è chi sostiene che la musica contemporanea sia spesso troppo omologata. Come vedete la scena musicale attuale? Vi sentite parte di un movimento che cerca di contrastare questa tendenza?
Come dicevamo prima, siamo persone semplici, ma questo non significa che siamo banali o privi di interessi. Anzi, crediamo che la semplicità sia qualcosa di straordinario. Riconoscerla ti permette di Scoprire un’altra America, come diciamo nel primo brano del disco. In quella riscoperta troviamo lo straordinario: una nuova America, un nuovo modo di vedere il mondo. Ogni giorno, anche nelle cose più piccole, possiamo scoprire nuovi luoghi e nuove emozioni. Il segreto è emozionarsi anche nelle piccole cose.
Molti artisti oggi cercano di emergere attraverso eventi come Sanremo, ma si dice che siano sempre gli stessi autori a scrivere per tanti cantanti. Come vedete questa centralizzazione del mercato musicale? E come vi ponete rispetto a Sanremo?
Spesso si punta sulla sicurezza, su ciò che ha già funzionato in passato. Se un autore ha avuto successo, ci si affida a lui. Non c'è nulla di sbagliato in questo, non è una questione di complottismo. Sanremo è un programma televisivo dove alcuni autori scelgono gli artisti, ed è normale che sia così. Noi però cerchiamo di portare una rivoluzione lenta, anche se non la chiamiamo così nel titolo del nostro disco. In qualche modo, è come se fosse nascosta lì, inglobata nell’amore. Vogliamo riportare la serenità della vita lenta, in un mondo che consuma tutto troppo in fretta, come se fossero patatine: dalla musica ai vestiti, fino alle relazioni. Oggi siamo sempre alla ricerca di novità, ma noi vogliamo ritrovare il tempo per ascoltare un disco, per vivere serenamente e per godere di un buon pasto. Certo, a volte bisogna correre, ma ne siamo consapevoli. In un mondo dove la musica si ripete e diventa sempre più omogenea e frenetica, è per questo che emergono artisti come Lucio Corsi e Brunori Sas, perché si fermano e riflettono. È quello che vogliamo fare anche noi con il nostro disco, che mescola elettronica e strumenti suonati da noi.
Con l’aumento dei concerti in stadi e grandi arene, credete che si stia perdendo l’autenticità del rapporto diretto con il pubblico? Per voi, qual è la dimensione ideale per un concerto?
Bella domanda. La dimensione ideale per un concerto dipende dal tipo di musica che si propone. Più il pubblico è ridotto, più si riesce ad avere un rapporto intimo e a trasmettere ogni parola, facendo emergere sfumature più profonde delle proprie emozioni. Quando il concerto cresce, come in qualsiasi cosa, emergono altre dinamiche, come quelle dei tecnici, delle luci e dell’amplificazione e, quindi, diventa più difficile mantenere un’atmosfera intima e sincera. Si può dare più spazio alla performance, ma noi personalmente non amiamo gli spettacoli troppo grandi. Per questo non faremo mai concerti negli stadi, perché è una nostra scelta (ridono, ndr.). Ci sono artisti che sono perfetti per quel tipo di performance, come ad esempio i Coldplay, che in uno stadio riescono a rendere al massimo. Un cantautore, invece, in uno stadio rischia di non essere molto valorizzato. Ogni canzone ha il suo contesto ideale, ma non è una regola fissa. Gli artisti bravi riescono a emozionare tanto in un piccolo teatro quanto in uno stadio. La vera capacità di gestire uno spettacolo è innata. Prendiamo Ed Sheeran: l'abbiamo visto in diversi contesti, ma riesce sempre a emozionare e a mantenere la sua intimità, anche in situazioni più rilevanti.’’

Lo streaming ha cambiato drasticamente il modo in cui la musica viene distribuita e consumata. Quali sono, secondo voi, i principali vantaggi e svantaggi di questo fenomeno per un gruppo come il vostro?
La musica oggi viaggia a una velocità pazzesca. Possiamo ascoltare qualsiasi brano in qualsiasi momento. Ma c'è anche un rovescio della medaglia: questa enorme scelta ci porta spesso a non essere mai davvero soddisfatti. È come un buffet di cibo: puoi assaggiare un po' di tutto, ma rischi di non goderti veramente nessun piatto, perché non hai il tempo di assaporarlo a fondo. La musica in streaming funziona un po’ così. Il grande vantaggio, però, è che ti permette di conoscere un'infinità di cose, di esplorare generi e artisti che altrimenti non avresti mai ascoltato. Ma l’obiettivo qual è? È solo conoscere tanta musica, oppure è quello di innamorarsi perdutamente e trasformarlo in un amore profondo? Prendiamo il vinile: offre un'esperienza di ascolto diversa, più lenta, dove non puoi skippare i pezzi. E in quel caso, ogni ascolto diventa un momento da gustare senza fretta.’’
E voi avete promosso il vostro disco in alcune città italiane e nel resto del mondo cercando di mantenere proprio questa connessione profonda...
Quello che abbiamo fatto con Agami, che è una nuova piattaforma audio immersiva, è stato davvero incredibile. Siamo riusciti a trasmettere il nostro disco in anteprima in piazze di tutto il mondo, in luoghi distanti tra loro. Le persone hanno potuto ascoltarlo solo in determinate aree. Fuori da quella zona, il disco non era più accessibile. Ci sembrava interessante perché, in questo modo, l'ascoltatore era attivo nella scelta di vivere quell’esperienza. Le persone dovevano recarsi in un luogo specifico per poter ascoltare la musica, creando una connessione diretta con il disco. Il nostro obiettivo era proprio quello di riportare alla lentezza e alla consapevolezza nella scelta di ascoltare la musica. Inoltre, il nostro album sarà un flusso continuo: non ci saranno pause, proprio come nel vinile. L’esperienza di ascolto sarà unica. Lo streaming ha sicuramente dei vantaggi, e la tecnologia può dare molto, ma bisogna saperla usare nel modo giusto.
A proposito di questo, oggi è impossibile prescindere dai social media per farsi conoscere e restare in contatto con i fan. Come vivete questa costante necessità di essere attivi online? Pensate che i social abbiano influenzato la vostra musica o il vostro modo di comunicare?
I social media sono diventati una sorta di metafora, un contenitore che permette di esprimerci. È come un palazzetto, uno stadio, o anche un piccolo locale che aiuta alcuni a comunicare meglio. Per noi, sono uno strumento utile per fare musica e arrivare agli ascoltatori. Il pubblico è abituato, a volte purtroppo e a volte per fortuna, a ricevere musica in modo passivo. Quello che possiamo fare noi, come utenti social, è educare l'algoritmo. Non dobbiamo viverli passivamente, come semplici scrollatori di contenuti, ma cercare ciò che ci piace e ciò che ci ispira. Bisogna essere attivi e consapevoli nel loro utilizzo, perché ci sono tante buone proposte che meritano di essere scoperte. A noi capita, ad esempio, di conoscere nuovi artisti sui social, poi seguirli su Spotify e, infine, andare ai loro concerti. Non vogliamo demonizzare lo strumento, ma come diceva lo zio Ben: Da grandi poteri derivano grandi responsabilità. È fondamentale che chi lo usa ne sia consapevole.’
Quanto è importante per voi come band mantenere la musica come strumento di resistenza e riflessione sociale?
Dipende dai periodi. La musica deve riflettere la nostra urgenza e il nostro stato d’animo. Ad esempio, quest’estate abbiamo pubblicato un brano chiamato Farò più rumore del Ratatata. In quella canzone, il rapper che canta è Willie Peyote, ma le parole sono di Toomaj Salehi, un rapper iraniano incarcerato ingiustamente. La sua voce è stata riprodotta usando l’intelligenza artificiale. È un esempio di come la tecnologia può aiutarci a ridare voce a chi non ce l'ha più. La musica ha il potere di parlare e, a volte, è fondamentale che lo faccia, affrontando temi attuali. Tuttavia, non è sempre necessario che ogni canzone abbia questo scopo.’
Come vedete, quindi, la connessione tra musica e impegno politico oggi? Secondo voi può ancora sensibilizzare il pubblico?
Questo dipende principalmente dal pubblico. Se il pubblico è disposto ad essere sensibilizzato attraverso la musica, allora sì, la musica può svolgere ancora un ruolo importante. Ma se, invece, nella musica cerca solo conforto, riparo o distrazione, allora il messaggio politico sarà meno rilevante. Purtroppo, spesso sentiamo dire che è colpa dei trapper se i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare e preferiscono altre strade, come lo spaccio. Noi crediamo che, se i trapper raccontano certe storie e i ragazzi le ascoltano, è perché ciò che vedono intorno a loro li porta a pensare che quella sia la strada giusta. La responsabilità, quindi, è condivisa. Noi come autori possiamo solo offrire ciò che sentiamo e accendere delle luci. Queste luci possono essere viste, ricercate e seguite, oppure possono risultare accecanti e inutili, impedendo a chi le guarda di trovarle. È un gioco dinamico tra il pubblico e gli scrittori.’’
