Mangio un toast da 4 euro e 90 discretamente farcito ma penso che a Taranto con 4 euro e 50 mi mangio una grande pizza margherita col bordo giusto e la base che non s'ammoscia ma resta compatta e convinta. Devo tamponare tre giri di campari soda e doppia birra, ci vuole del carboidro a reintegrare. La stazione di Bologna Centrale accoglie gentaglia. I portici di Via Pietramellara sono famelici e grigi, edilizia sostitutiva tout court. Due tossici magrebini stanno sciogliendo qualcosa sulla stagnola in un angolo oscuro di un garage tra un bar e un albergo quattro stelle. “Hai una sigaretta?”. Alzo le spalle e gliene allungo un paio. “Grazie capo, Dio ti benedica. Vuoi una raglia?” e si cava dalla bocca un pacchettino da 0.2. “No grazie fratè, come se avessi accettato”. La notte sui viali bolognesi della circonvallazione è sempre un buon momento per riflettere. È appena terminato il concerto dei Cccp a Bologna, in Piazza Maggiore. Ci ripenso, a quello che ho appena visto. E soprattutto al costo del biglietto. Cazzo. Abbiamo la frenesia di sborsare 60 euro per guardare dei cadaveri ideologici sul palco e poi non usciamo le palle per asserragliare a ferro e fuoco le sedi di partito per ottenere un salario minimo, tutele lavorative, tetti massimi sugli affitti, lotta all'inflazione, agevolazioni per metter su una famiglia. Perché? Perché l'ho fatto? La risposta è: pura e semplice apparenza. È la fottuta vittoria del capitale a scapito della lotta sociale. Abbiamo perso la battaglia più importante: quella con la nostra coscienza. Ha vinto l'apparenza, ha vinto l'estetica, la storia su insta, il like di quella figa là che ti stuzzica un po' l'ego, l'antagonismo a uso e consumo dell'engagement e del reach. Non c'è stato niente di punk, tranne l'estetica. Punk sarebbe stato occupare con birre e fumogeni piazza Maggiore senza pagare il biglietto. Punk non è comprare 5 euro di bicchiere in plastica dura con logo e spenderne trenta per magliette e lamentarsi dei piccoli accenni di pogo sulle canzoni più ritmate perché vuoi stare sciallo. Punk è scomodo. Punk è rompere i coglioni. Qua invece è stato come andare a un evento ad hoc della Milano Fashion Week, studiato a tavolino. Alla fine la gente ormai vuole quello, la società anela alla mutevolezza delle passioni, del piacere, delle idee. Votarsi, consacrarsi ad un qualcosa di univoco, è considerato demodé. Retrogrado. Finanche sbagliato.
Quindi: meglio vivere un'expeeeerience veloce e intensa così potrai dire anche tu di essere un barricadero! Gli spillatori, la fila scorrevole, il sound check, la puntualità del gruppo che suona non più di quanto precedentemente annunciato, qualche falce e martello che appare sparuta. Tutto allineato. Fedeli alla linea - anzi fedeli alla lira- la linea c'è: divertitevi e staccate la testa, immergetevi per 150 minuti in un'atmosfera da cortina di ferro, da P38 ed eskimo col muso fiero. Tutto questo non è punk. Punk non è smozzicare due parole sul Donbass dal palco o urlare “Palestina Libera” al decimo campari soda. Per assistere al concerto dei Cccp ho fatto un giro abbastanza inusuale: Taranto / Bologna in autobus di notte con sbarco tra le due torri puntellate (che tra poco se ne cadono e buonanotte al secchio) di sabato mattina e poi via a Vicenza, per assistere ai playoff per la serie C del Taranto Calcio contro il Lanerossi Vicenza. Stendiamo una censura su quanto successo a Vicenza. Spoiler: il Taranto ha pareggiato e quindi non è passato alle semifinali nazionali. Son tornato a Bologna nella notte tra sabato e domenica dal Romeo Menti e i restanti giorni in attesa del concerto son stato spiaggiato in case di fuorisede tarantini che vivono e lavorano nella Dotta Grassa Puttana Bolo. Bologna sta cambiando molto. Per chi la abita da studente fuorisede in cerca di sostanze psicoattive e amoreggiate sotto i portici forse non sembra così, ma la città sta cercando di mutare pelle. Le periferie crescono e si strutturano intorno a campus di materie scientifiche, sorgono catene di food & beverage per nutrire schiere di persone che sobbarcano una vita tra contratti di quinto livello da fame nera e stanze in subaffitto da coltelli alla gola. Il centro storico si irrigidisce e si tinteggia di osterie, osterie, osterie, sfogline, mortadella, stracciatella, taglieri, sempre con garbo però eh, ché i ronci luridi hanno un po' stancato, meglio puntare sui turisti coi pacchi d'euro pronti a spendere 16 euro per una tagliatella poco porosa e un ragù annacquato. I centri sociali sono diventati circoli convenzionati con l'amministrazione comunale. Tra gite sui colli, partite di basket della Fortitudo con il Paladozza tellurico e vulcanico, osterie ancora autentiche in piccoli borghi dell'hinterland (Osteria Del Gallo a Castel Maggiore e non sbagli un cazzo), duecento birre croccanti e campari soda bevuti alla goccia dai bangladini, si arriva a martedì 21 maggio: i Cccp approdano in Piazza Maggiore per il primo concerto su suolo italiano dopo la riunificazione berlinese. Che dire? Beh, com'è stato 'sto concerto? Che figata che sei stato a testimoniare il loro ritorno! Deve essere stato ganzo farlo a Bologna! La risposta la do rubando un pezzo di Stati di Agitazione.
Qualcosa più di niente. Questo concerto è stato qualcosa più di niente. Da raccontare: un pubblico che sembrava di stare al Fuorisalone, persone imbucate direttamente dai locali di catene food and beverage che affacciano sulla statua del Re Nettuno e su San Petronio, bagni chimici assaltati e qualche lieve pogo. Loro sul palco erano distaccati. Performer a gettoni. Niente di più, niente di meno. “È un piacere essere qui stasera”, dice Giovanni Lindo Ferretti. Francamente cantano ancora bene. Saltano qualche pietra miliare, tipo Io Sto Bene e Trafitto, in favore di canzoni più di nicchia di altri album. Bello il momento in cui Glf e Annarella hanno cantato Bang Bang e poi è partita” Spara Jurij spara Jurij sparaaaaa”. Bello. Cioè, discreta tensione musicale, ottimo siparietto. Poco prima della chiusura del sipario, un violino fa partire note mozzate e sottili: è Amandoti, Sedicente Cover. La gente si scioglie. In effetti è proprio una bella canzone. Penso allo striscione due aste di un tifoso del Taranto a Vicenza ispirato a questa traccia: amarti m'affatica, scritta bianca sul classico sfondo rossoblù. Poi i Cccp salutano e se ne vanno. Tanti spettatori restano addossati alle transenne sperando in un ritorno sul palco improvviso, ma non avverrà: in controluce intravedo i tecnici del suono che staccano fili e portano via strumentazioni. La piazza si svuota. Il nostro ego si è rifocillato. Abbiamo invaso i feed Instagram di stories e post e dirette live e crediamo di essere invidiati da chi non è potuto esserci. Penso che se mi chiedessero di scegliere tra assistere a 'sto concerto e rivivere i 90 minuti di sofferenza di Vicenza/Taranto, con aneddoti e malattie varie da trasferta incluse, sceglierei a occhi chiusi la passeggiata Palladiana e le bombe scaricate a ridosso del campo dagli ultras tarantini, altro che uno show in cui si cerca di scaldare il cuore con concetti e idee che non è che siano morte, son proprio fuori luogo per i tempi che viviamo. Alla fine di segnante, di punk, qui non c'è stato niente. È stato molto più punk andare in trasferta a Vicenza con una macchina col paraurti mezzo staccato che si fa 160km a grattare l'asfalto dell'A13.