Ci sono artisti che vanno oltre la comprensione razionale, al di là della voce, del timbro e della tecnica. Artisti dotati di un “in più” indefinibile, ma che è immediatamente percepibile. Gino Castaldo, giornalista e critico musicale fra i più noti e competenti, ora conduttore di Back2Back su Rai Radio 2, ci ha raccontato della sua esperienza a un concerto di Amy Winehouse (in sala il film sulla sua vita Back to Black), una di quelle persone capaci di ipnotizzare e catalizzare l’attenzione. La sua morte, però, non fu degna della sua arte. Una scomparsa arrivata in un momento in cui le conseguenze dell’uso di droghe erano già note: “Quando è morta Amy Winehouse mi sono chiesto: perché l'hanno lasciata da sola?”. Niente a che vedere con quello che accadde a Jimi Hendrix o Jim Morrison, quindi. E oggi, di quella generazione, cosa rimane? Quale eredità hanno lasciato quelle icone? Inutile cercare parallelismi. Restano, però, le loro storie. Non a caso, infatti, si moltiplicano i biopic. Elvis, Amy Winehouse, Bob Marley: “Questo cambiamento corrisponde a un vuoto, perché in realtà erano storie enormi già al tempo, ma nessuno ne aveva capito il potenziale narrativo”, ci ha detto Castaldo. A proposito di storie del passato, quella dei Cccp sembra aver trovato una seconda vita: “Il fatto che si riparli di loro vuol dire ricordarsi di quel furore”. Niente stravolgimenti, ma forse una decisa vibrazione ci sarà. Il critico inoltre ci ha detto la sua su Amadeus, la sua pesante eredità al Festival di Sanremo e sul calo di interesse nei confronti dei Maneskin. Mentre si augura che alcuni aspetti della musica del passato tornino di nuovo centrali. La nostra intervista.
Gino Castaldo, cosa aveva Amy Winehouse di così speciale rispetto alle altre?
Ho avuto il privilegio di vederla al vivo e si capiva immediatamente cosa avesse di diverso. È quel qualcosa di misterioso che a volte nella musica si aggiunge agli elementi che puoi capire razionalmente. La bravura, la sua voce, il timbro, la tecnica, l'approccio: tutto era stupendo. Però appariva quella cosa in più che è indefinibile, che scatta in alcuni protagonisti della musica, che ti ipnotizza e catalizza l'attenzione. Per me era fortissima la sensazione che lei avesse qualcosa di unico. Poi l'ho vista in condizioni anche diverse.
Di quella generazione, anche di quella più vicina al punk, cosa rimane oggi?
È molto difficile. Quella fu una rivoluzione senza precedenti nel mondo, anche nella canzone italiana. Per cui il punk, se lo vuoi cercare, lo devi cercare in qualcosa che è diversissimo dal punk, perché non c'è, o c'è pochissimo. Però, per esempio, in un certo nichilismo forte di alcuni trapper c'è quello spirito, anche se totalmente trasformato.
Questo tema della sregolatezza, legato anche al discorso sulla droga, è trattato nel modo giusto?
Sono due cose molto diverse. L'approccio alla droga è una cosa a sé. Oggi c'è una cultura intorno a questa problematica molto forte, quindi si può e si deve affrontare con gli strumenti adeguati. Quella di Amy Winehouse mi colpì molto come morte, perché in realtà era più tipica di un mondo precedente, durante gli anni di Jimi Hendrix e Jim Morrison. Non bisogna dimenticare che non si sapeva niente di queste cose, quindi fu drammatico ma più comprensibile. Succedevano cose terribili anche per mancanza di una cultura terapeutica. Quando è morta Amy Winehouse mi sono chiesto: perché l'hanno lasciata da sola? Veramente è incredibile. Anche perché, ripeto, quando è morta lei già c’era una cultura di assistenza.
Prima l’uso di droga era sintomo di un disagio profondo ed esistenziale, mentre adesso magari questo disagio rimane ma la droga è solo un palliativo.
Sì, però non si può generalizzare, perché è una delle cose che nel tempo ha causato una serie di equivoci: se chiamiamo droga tutto poi non si capisce niente. In realtà parliamo di cose molto diverse. Ci sono delle cose leggere, che non fanno male, che hanno un aspetto di piacevolezza e di edonismo, mentre altre sono molto forti, che fanno malissimo e che si usano per lenire, solo apparentemente, disagi profondi. A seconda di chi parliamo e di che droga possiamo fare discorsi differenti. Nell'accezione di oggi, per esempio, spesso è droga edonistica. Mentre l'eroina è arrivata a colmare dei disagi.
Perché si stanno facendo così tanti biopic sulle grandi icone del passato come Elvis e Bob Marley?
Io seguo queste cose da tanti anni e sono sempre rimasto affascinato dall'aspetto letterario che hanno queste storie. Spesso, però, nessuno le raccontava. Semplicemente si sono resi conto del potere di fascinazione che hanno le vite di questi artisti, se ne sono accorti in ritardo e tutti insieme. Poi funzionano anche dal punto di vista commerciale, quindi adesso non si fa altro, ovviamente esagerando. Questo cambiamento corrisponde a un vuoto, perché in realtà erano storie enormi già al tempo, ma nessuno ne aveva capito il potenziale narrativo.
Tra gli artisti di oggi chi avrà un biopic tra vent’anni?
Tutti! Nel senso che ormai fanno tutti i libri al primo disco. Se parliamo di longevità è una domanda senza risposta, perché quello che si fa oggi ha un tono effimero già alla radice. Di nuovo: è sbagliato applicare vecchi parametri alla musica di oggi che è frutto di una rivoluzione senza precedenti.
Lei ha scritto in modo favorevole della reunion dei Cccp, ma non è paradossale che sia un gruppo del passato ad avere un effetto così sul mondo della musica?
Io ho fatto un discorso più ampio. Non è che loro sconvolgeranno il mondo. Magari è un sassolino, nel senso che se non altro serve a ricordarci della radicalità di cui la musica ha bisogno e che si è abbastanza persa. Il fatto che si riparli di loro vuol dire ricordarsi di quel furore. Un piccolo scossone magari lo daranno.
Noi abbiamo intervistato Marco Philopat e Glezös, che li hanno contestati molto in passato: hanno detto che i Cccp non sono mai stati neanche punk.
No, ma io non ho mai detto punk. Io sto parlando di un furore che loro avevano. Chiamarlo punk o no secondo me è abbastanza irrilevante, non mi interessa neanche. Loro erano una cosa molto originale, quindi mi va benissimo anche non immaginarli come punk. Mi sembra un dettaglio insignificante. Loro erano un gruppo fortemente radicale, antagonista, portavano uno scompiglio teatrale. Questi elementi erano originali rispetto al punk. Era una roba molto italiana, questa era la loro grandezza.
Come valuta le mosse di Lindo Ferretti, che dice di essere vicino a Giorgia Meloni o a Papa Ratzinger?
Non rispondo perché non lo so. Parlavamo dell'epoca, di loro in quanto Cccp, ma delle svolte di Lindo Ferretti non mi sono neanche interessato a essere sincero.
Si è parlato anche del prezzo del concerto in Piazza Maggiore che faranno.
Io trovo già scandaloso il costo dei biglietti in generale.
Lo streaming rende la musica quasi gratis, ma poi quella dal vivo in realtà è solo per chi se lo può permettere.
Questo è il discorso da fare. È la situazione in generale che è devastante. Poi in realtà il gratis dello streaming è dannosissimo, la musica deve costare il giusto.
Il calo di interesse nei confronti dei Maneskin è fisiologico?
Sì, anche rispetto a una esagerazione iniziale, quindi magari c'è un aggiustamento in corso.
Come sarà il Festival di Sanremo dopo Amadeus?
Dopo cinque edizioni di così largo successo prendere questa eredità è un po' pesante, lo sarebbe per tutti. A parte Sanremo credo che per la Rai sia una perdita molto grave, quindi staremo a vedere. Amadeus ha portato al Festival il mercato della musica in modo molto potente e questa è diventata un'altra implicazione forte. In questo momento è proprio difficile capire come reagirà l’industria. Insomma, è tutto da ricostruire da capo.
I suoi cinque Sanremo come li valuta invece?
Li ho valutati positivamente, al di là degli alti e bassi, perché comunque dopo secoli ha riportato a Sanremo le canzoni. Cioè, si è riparlato di canzoni, la gente per strada mi chiedeva di quello, cosa che non succedeva dagli anni Sessanta, credo.
Secondo lei la critica ha ancora un peso nelle dinamiche del mondo della musica?
No, non esiste più.
Non esiste più quella sulla carta o la critica in generale?
La critica musicale è totalmente morta, arriva forse in alcuni ambienti, ma la critica musicale come si intendeva una volta non esiste più.
Adesso si fanno tutti questi biopic, le reunion e c'è una grande attenzione per il passato: ma i nuovi cantanti non dovrebbero un po' fregarsene di quello che c'è stato e trovare un proprio stile?
Certo che dovrebbero, ma un po' lo stanno facendo, nel bene e nel male.
E lei in che parte vede il male?
Ci sono delle cose che sono state perse, questo è un peccato, e altre cose che sono cambiate. Quello che è stato perso è un po' il senso artistico, cioè il fatto che a volte ci si dimentica che si sta utilizzando uno strumento d'arte. Bisognerebbe ripristinare un primato da artisti rispetto alla dittatura dei numeri che sta diventando veramente asfissiante. Secondo me è una specie di morsa creativamente distruttiva. Mi dispiace quando c'è un po' un’uniformità, in musica bisognerebbe coltivare la biodiversità, come nella natura. Questo è fondamentale. Se certi generi muoiono perché il mercato accetta solo una cosa, è gravissimo. Perché poi diventa un danno ambientale. Bisogna che i ragazzi possano sentirsi liberi di creare in qualsiasi stile. Invece, in questo momento, forse non lo sono.