E anche quest'anno, il momento è arrivato. L’Eurovision Song Contest: il festival musicale più chiacchierato (e colorato) del continente. Un evento che divide, appassiona, fa discutere e soprattutto intrattiene. Ma cosa rappresenta davvero questo spettacolo per la musica? È solo un carrozzone ultra-pop a caccia di ascolti e visualizzazioni, oppure nasconde anche spunti artistici interessanti? Per capirlo meglio, abbiamo fatto due chiacchiere con il giornalista Andrea Spinelli, critico musicale di lungo corso, che conosce bene sia le dinamiche del Festival di Sanremo (presiede il Premio della Critica “Mia Martini”) che quelle, ben più scenografiche, dell’Eurovision. Con lui siamo partiti dalle origini di questo show per capire come si è trasformato nel tempo: da semplice gara canora a gigantesca macchina di intrattenimento, dove la messa in scena conta quanto – se non più – della canzone. Abbiamo parlato anche del rapporto stretto (e a volte un po’ tormentato) tra l'Eurovision e l’Italia, che per anni è rimasta ai margini dello show europeo, salvo poi tornare alla grande grazie a nomi come Il Volo, Mahmood, i Måneskin e Marco Mengoni. Spinelli ci ha spiegato come l’Eurovision abbia saputo costruirsi un’identità fortissima, diventando un evento popolare tra i giovani grazie al web, alle performance spettacolari, ai look sopra le righe e a una leggerezza che lo distingue dalla “sacralità” di Sanremo. Abbiamo toccato anche un altro tema molto attuale: la scelta dei rappresentanti italiani. Deve andare all’Eurovision per forza il vincitore di Sanremo? Per Spinelli, sì: perché Sanremo è l’anima da cui tutto è partito, e perché ha già dimostrato di saper fornire artisti forti, credibili e capaci di farsi notare anche fuori dai nostri confini. E tra un aneddoto e l’altro, non potevano mancare i consigli su chi ascoltare in questa edizione.

Spinelli, cosa rappresenta per la musica l’Eurovision? Un evento per avere visibilità e soldi o ci sono anche spunti artistici rilevanti?
L’Eurovision è nato sull’impronta del Festival di Sanremo, no? Quando l'EBU, l'European Broadcasting Union, ha detto: perché non facciamo una gara che serva a rendere più fratelli i Paesi? E quindi si è partiti: erano 7 i concorrenti, mi sembra, alla prima edizione. C'era anche l’Italia. Tra l’altro, la prima edizione era in Svizzera. Poi, nel tempo, durante soprattutto l’assenza dell’Italia, perché l’Italia è stata assente per 13 anni, ha cambiato forma. Prima era una specie di Sanremo europeo, poi è diventato una cosa diversa, perché non è soltanto un festival di canzoni: l’Eurovision è un festival di performance. Quindi è un festival di messa in scena. Dove la messa in scena ha lo stesso valore della canzone. Mentre da noi la canzone viene prima e poi, come ti presenti, ovviamente ha un valore, ma un valore residuale. Qui invece ha un valore pesante, importante. Poi, da festival di performance, si è trasformato in un programma per famiglie. Il web è diventato un motore potente dell’Eurovision, ha fidelizzato il pubblico e l’ha fatto diventare molto popolare tra i ragazzi. Fino a qualche tempo fa, molti ragazzi magari non seguivano il Festival di Sanremo, ma seguivano l’Eurovision. Poi Sanremo l’ha capito e, prima con Conti, poi con Baglioni e soprattutto con Amadeus, è andato a puntare su un certo tipo di pubblico, con i risultati che tutti sappiamo.
Forse questo attaccamento alla performance è dovuto al genere dell'ultra pop?
Dipende: quello che per noi può essere ultra pop, magari in altri Paesi può essere qualcosa di diverso. È il pop per eccellenza quello che c’è qui. Tra l’altro, è un pop rifinito al massimo, perché tieni conto che qui abbiamo i migliori audio che ci possano essere nella televisione internazionale, le migliori telecamere, i migliori effetti speciali, i migliori schermi. Qui è veramente tutto al massimo. D’altronde, è la trasmissione musicale più vista al mondo: 180 milioni di telespettatori, con un budget che è 7-8 volte quello di Sanremo.

Questo genere pop rischia di mangiarsi tutto il resto, oppure è un mercato a parte e quindi non influenza altri generi?
Si tratta di un mercato che è sempre rimasto abbastanza distante da noi. Però è un mercato molto importante, perché è un mercato che ha cominciato a guardare da vicino Sanremo. Lo guardava già negli anni Sessanta, ma poi è tornato a guardarlo. La differenza è che gli stranieri sono interessati a Sanremo molto più di prima. Perché? Perché Sanremo, in questi anni, ha saputo proporre dei personaggi, dei cantanti che incontravano i loro gusti. La vittoria dei Måneskin è evidente.
Un po’ più commerciali.
Capito? E tutto questo, secondo me, può essere ricondotto alla svolta data da un gruppo molto classico, ma sicuramente fortissimo anche in un contesto di Europop, come Il Volo. Il Volo, nel 2015 a Vienna, è riuscito per la prima volta a muovere anche dei Paesi che non ci avevano mai filato, tipo l’Islanda, per dire, a prendere voti anche lì. Quindi a prendere voti praticamente dappertutto. Il Volo, fra l’altro, ha portato anche il pubblico italiano, cosa che era mancata. Noi siamo rientrati nel 2011, ma le trasmissioni andavano male, il pubblico italiano non si fidava. Invece, in quell’anno lì, l’Eurovision ha fatto il salto anche in Italia: la gente ha cominciato a seguirlo.
È un po’ paradossale, perché quello de Il Volo non è un genere commerciale e non c’è la performance.
È quel mondo che piace più ai genitori che ai figli. Però noi siamo riusciti ad agganciare i figli. Invece nel 2019 Mahmood è arrivato primo a sorpresa a Sanremo, poi però a livello internazionale è stato fortissimo. In seguito Sanremo ha sempre fornito della gente molto interessante: Gabbani, Blanco e Mahmood, Mengoni. Tutta questa gente è prodotta da Sanremo. Il link Sanremo-Eurovision funziona, c’è poco da fare.

Mahmood, però, è già molto più vicino all’Europop, anzi forse è l’italiano più Europop.
Sanremo non ti dà soltanto Il Volo, ma ti può dare anche Mahmood. Quindi Sanremo ha una capacità di darti comunque artisti validi, bravi, interessanti. Già solo il fatto che tu sei vincitore di Sanremo, o comunque vieni da Sanremo, ti aiuta molto. Secondo me, e qui entro su una questione molto dibattuta in questo periodo, deve venire all’Eurovision il vincitore di Sanremo. Perché ci sono state anche voci simili: facciamo un concorso a parte per scegliere l’italiano da portare all’Eurovision. Assolutamente no. Prima di tutto, perché l’Eurovision è nata sull’impronta di Sanremo, quindi mi sembra assurdo. Noi abbiamo l’originale, dobbiamo inventarci un’altra manifestazione? Facciamola inventare a chi Sanremo non ce l’ha, cioè a tutti gli altri. Seconda cosa, Sanremo ha dimostrato di portare sempre vincitori validi. Ti ricordo Il Volo, segato dalle giurie, perché a livello popolare volava, ti ricordo gli stessi Ermal Meta e Fabrizio Moro, che pregiudicati dalle giurie sono risaliti. Erano messi addirittura sulla colonna di destra dalle giurie, proprio indietrissimo. Sono risaliti fino al quinto posto. Quindi significa che Sanremo comunque manda della gente che al pubblico europeo piace. Sarebbe una follia suicida cercare un vincitore solo per l’Eurovision. No, secondo me il vincitore di Sanremo è giusto anche per l’Eurovision.
Quest’anno non è andato il vincitore di Sanremo. Lucio Corsi ha fatto bene ad accettare di sostituire Olly?
Lucio Corsi porta la canzone d’autore italiana sul palco dell’Eurovision e la porta in maniera abbastanza spettacolare. Basta vedere il costume e la faccia pitturata di bianco. Va bene così. Lucio Corsi porta Lucio Corsi. Comunque vada, porta sé stesso. Quindi, secondo me, va benissimo. Un anno abbiamo avuto Blanco e Mahmood, che sono molto Sanremo, un’altra volta portiamo un esponente della canzone d’autore. Se Olly non se l'è sentita, è andata bene così.

Lucio Corsi non rischia di venirne schiacciato come è successo ad Angelina Mango?
No. A parte che Angelina è arrivata settima.
Sì, però comunque lei ha preso una pausa dalla musica, dopo.
Avrà avuto le sue ragioni. E poi devi contare che ci sono 10 anni di differenza tra loro due. E devi contare che Lucio Corsi fa questo mestiere da almeno 10 anni, quindi le spalle per reggere ce le ha. Ieri mattina mi diceva: "Avevo finito il tour, ero stanco, però poi mi sono ripreso al pensiero che portavo questa cosa qua". E la cosa più importante per lui era rappresentarsi per come è. E devo dire che l’ha fatto.
Invece, tra le canzoni all’Eurovision, che artisti, band, cantanti consiglieresti di ascoltare?
Se vogliamo andare sul classico, secondo me la Francia ha un bellissimo pezzo. È brava lei, canta praticamente sotto la sabbia di una clessidra. Poi c’è l’Albania: gli albanesi sono sicuramente forti, essenziali. Poi, se parliamo di ascolto, a me non dispiaceva lo sloveno, che però è stato rimandato a casa. Fordse perché è sembrato un po’ troppo abile nella sua performance: il finale con la moglie e il bacio, l’ho trovato eccessivo. Ma il pezzo non era brutto. Poi ci sono cose da circo. È anche questo il bello dell’Eurovision, è un trash divertente. Però c’è una differenza con Sanremo: l’Eurovision è un grande gioco, a cui tutti devono partecipare. L’importante è farti una risata davanti all’Eurovision, mentre Sanremo ha una sacralità che qui non c’è.
