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Siamo andati a Oklahoma City per incontrare Wayne Coyne e i Flaming Lips. Un viaggio per chi ha esplorato la propria parte oscura, tra “sincronicittà” e suoni multidimensionali. Ecco cosa vuol dire essere punk

  • di Gianni Miraglia Gianni Miraglia

4 maggio 2025

Siamo andati a Oklahoma City per incontrare Wayne Coyne e i Flaming Lips. Un viaggio per chi ha esplorato la propria parte oscura, tra “sincronicittà” e suoni multidimensionali. Ecco cosa vuol dire essere punk
A Oklahoma City abbiamo incontrato Wayne Coyne e i suoi Flaming Lips. Ci hanno accolti, abbracciati, ci hanno emozionato e sorriso. Una loro esibizione è un viaggio surreale, tra suoni multidimensionali, “sincronicittà” (con due t) e space-rock psichedelico. E dobbiamo ringraziare Wayne, perché sa far convivere la sua parte oscura con i colori. Ecco cosa abbiamo visto e scoperto. E il senso di essere punk…

di Gianni Miraglia Gianni Miraglia

Un anno fa, in piena notte, atterro a Oklahoma City, supportato da un generoso crowdfunding di più di cento persone che ringrazio. Volevo una sola cosa: incontrare di nuovo Wayne Coyne, stavolta nella sua città. Sono più che un fan, un umano che si avvicinava a colui che della materia onirica ha fatto arte in musica e visioni. E quindi mi sono esibito nei bar che trovavo, tra open mic e serate. Una sorta di atto di restituzione a pochi chilometri dalla sua esistenza. Donare a lui qualcosa di me. Perché nelle sue performance mi emoziona e sorride. Se molti su quel palco ci salgono per sottomettere. Lui e i suoi Flaming Lips stanno lassù per accogliere e ascendere col pubblico, ricreando immaginario regressivo, amplificato dal suono multidimensionale di una band eclettica e da tonnellate di coriandoli sparati da ventilatori industriali, robot rosa ad aria compressa, arcobaleni gonfiabili e mantra luminosi: mentre lui cavalca in mezzo a noi sul suo unicorno a rotelle e soprattutto rotola nella leggendaria bolla trasparente, gattonando sopra teste e mani che lo salutano. Per non parlare dei tanti concept-album più che sperimentali: come il capolavoro quadrifonico Zaireeka, omaggio a Fela Kuti. Ovvero quattro dischi da suonare contemporaneamente su quattro impianti diversi. Opera che impone l’ascolto collettivo, con almeno altri tre amici, molto prima che i social ci illudessero di essere connessi.

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Ben poche band hanno mantenuto la parola della non asserzione come i Flaming Lips, ovvero potere alla visione, oltre allidea della definizione, perché si tratta di un viaggio surreale e sperimentale tra space-rock prog punk psichedelico. E proprio in questi giorni sono in tour in Europa per la celebrazione del loro album iconico Yoshimi Battles the Pink Robot. Il destino ci ha fatto incontrare, ovvero la sincronicittà con due t. Perché la prima volta l’ho incrociato per caso a Milano, coincidenza più che junghiana, perché da mesi ero immerso nella sua musica e intanto producevo ditodisegni su touchscreen da vendere e che generavano in me rinascita dalle parole di uno scrittore in crisi. La sincronicittà ci ha trovati di nuovo a Oklahoma City e stavolta è stato lui a riconoscermi. Mentre vagavo per captare lambiente in cui è cresciuto e ha creato. Non una vita semplice: per 13 anni - nonostante il contratto discografico - ha fritto patatine al Long John Silver’s di Okc, prezioso osservatorio umano per le sue canzoni, nello scenario di una città squartata e rinata, dopo il folle e sanguinoso attentato del 1995. Ed è anche grazie a lui che ora Oklahoma City è oasi alternativa, in uno degli stati più conservatori degli Usa. Te ne accorgi anche solo dai murales che citano l’iconografia delle copertine e dei personaggi che lui disegna. E poi lui in quelle strade ci passeggia, soprattutto nel suo quartiere, Plaza District. Lo puoi vedere uscire di casa coi bambini, mentre con una mano saluta quel leggendario spione di Google Street View.

In quei giorni in Oklahoma ci siamo visti più volte e una sera sono andato in giro con lui. Rendetevi conto: una star planetaria che si fida di un fan strampalato e che gli dà il numero del suo cellulare. Questo vuol dire essere punk, caro amico Wayne. Righe che gli sto tributando con gioia, perché per me è più che un artista. Gli devo tanto: perché lui cerca sempre l’esperimento, mostrandoci sempre e comunque il sorriso: gesto inedito per un performer proveniente dalla cultura alternativa in cui tanto cliché è ostentare pensosità, cupezza e perenne indignazione. Lui la sua parte oscura la esplora eccome, ma la fa convivere coi colori e il coraggio di una mistica visionaria in cui l’uomo prodigiosamente vola e diventa amore collettivo. Ogni volta che ci incontriamo ci abbracciamo, un rito diviso da un oceano e che voglio ripetere al più presto. Lo inondo comunque di sms strampalati e sinceri, testimonianze da giochi buffi e creazioni. Meglio flussi, che asserzioni o opinioni. E lui mi ricambia con le foto dei suoi bellissimi bambini biondi: Bloom e Rex, i due suoi più grandi capolavori. E ora vi saluto citando una delle cose più importanti che abbia a me e a migliaia di fan: ricordati che ogni persona a cui vuoi bene un giorno potrebbe scomparire e quindi non fare lo stronzo. Parole da Do You Realize, canzone che non vuole cambiare il mondo - ma l’approccio alle persone chi ami - diventata l’inno dell’Oklahoma. Ciao Wayne, ci rivediamo per caso da qualche parte. Magari in una bolla.

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