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Tamango e Marco Castello su TikTok sono tormentoni pop. Cari discografici fatevi due conti...

  • di Michele Monina Michele Monina

20 maggio 2024

Tamango e Marco Castello su TikTok sono tormentoni pop. Cari discografici fatevi due conti...
Le canzoni che accompagnano i video virali su TikTok diventano delle vere e proprie hit. Successi paralleli. Ora tocca a Marco Castello, con la sua Pipì (che fa: "ammazzo Fabio Fazio, che tanto dice sempre di sì"), e ai Tamango con il loro Cielo blu sopra Berlino. Era già successo per Begging dei Måneskin, per Nina Zilli. Ed è ancora una dimensione poco conosciuta

di Michele Monina Michele Monina

Chi fa il mestiere del critico musicale vive di segnalazioni, come fossimo marescialli dei carabinieri. Un tempo ci arrivavano dagli uffici stampa, volendo direttamente dai discografici. Oggi più spesso dagli artisti, specie quelli indipendenti, e molto ma molto spesso da un giro di ascoltatori che sono anche lettori, che ci aiutano a scovare musica in questa sorta di quotidiana blitzkrieg che ci impedisce di trovare angoli in cui ripararci, figuriamoci ascoltare cose decenti. Quindi chi fa il mestiere del critico musicale, come il sottoscritto, passa le giornate anche a smistare messaggi, su Whatsapp, su Messenger, sui DM di Instagram, a volte, raramente, via mail, di gente che di dice “ascolta questo” o “ascolta quello”.

https://mowmag.com/?nl=1

Oggi, per dire, mi sono arrivati dei link di Tik Tok, app che ho cancellato dal mio smartphone per non passare le giornate a guardare video di gente che si prende a schiaffi, con un testo che diceva “’sti due pezzi sono proprio un tormentone sui social”. Apro timoroso i link, perché i video di Tik Tok si possono vedere anche senza aver scaricato la app di Tik Tok, ho due figli di dodici anni cui devo dare io il permesso di scaricare app, ben lo so, e mi compare davanti una ragazzina con un body bianco, trasparente, che muovendo le tettine, cazzo non scrivessi decisamente peggio sembrerei Nabokov, mimando il canto di una canzone sguaiata che si intitola Il cielo blu sopra Berlino, dei Tamango. Il video, per la cronaca, mostra la ragazzina che si gira ammiccando in camera, forse guardarlo rientra già in un qualche reato, spruzzandosi un profumo, mentre il cantante della misconosciuta band di Torino canta con una voce che non definirei esattamente cristallina. Ma almeno canta senza filtri, su questo non ho dubbi.

L’altro link, invece, e questo invece sta qui con intenti chiaramente ironici, mostra una ragazza col body bianco, trasparente, le tettine un po’ meno tettine, sempre senza reggiseno, sia mai che la Gen Z si faccia inscatolare come la precedente, che mentre in sottofondo va un funkettino vagamente battistiano, parlo, Dio mi fulmini, del Battisti di Una donna per amico, Dio sparga le mie ceneri al vento. La tizia si differenza dalla precedente non solo per avere una seconda invece che una prima, ma perché ha i capelli a caschetto neri. La canzone è Pipì di Marco Castello.
 

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I Tamango

Ora, qualcuno potrebbe a ragione pensare che io voglia star qui a fare un pezzo sulle ragazze che con body trasparenti e senza reggiseni sotto occhieggiano su Tik Tok, un po’ come il famoso pezzo di Marco Cubeddu sul Secolo XIX, parlo di preistoria, credo fosse il 2013. Per la cronaca Marco Cubeddu, ai tempi di quel famoso pezzo piuttosto in auge, è poi passato a diventare caporedattore di Nuovi Argomenti, carica che, in assenza di affiliazione alla massoneria, gli è poi stata revocata, andando a spegnere incendi in quel della sua Genova, probabilmente ai comandi di colui che ai tempi era il cantante della mia band hardcore, gli Epicentro, band che aveva fatto un brano dal titolo Terzo sgrullo, anticipando in qualche modo quel tipo di mood presente nel suo famoso pezzo, a volte il destino sa essere beffardo.
 

Tornando però a noi, e siccome di passare poi la giornata a leggere le reprimende delle varie signorine Silvani che faticherebbero a capire che nonostante quel che ha detto a suo tempo David Foster Wallace anche oggi, 2024, si può fare esercizio di ironia, ci tengo sin da ora a dire che no, non sto scrivendo di lolitismo e di tettine, Samuele Bersani l’ha scampata solo per quella faccia da cucciolone che si ritrova, ai tempi di Freak, bensì di pezzi che diventano tormentoni su Tik Tok, e che in virtù del loro diventare tormenoni su Tik Tok vivono una vita di successo, seppur un successo parallelo a quello del mercato, delle radio, dei Battiti Live e anche dei Sanremo, pur i Sanremo di Amadeus che hanno accolto, letteralmente cani e porci.

Un successo parallelo che è anche un po’ la cifra di questi tempi, dove può capitare di farsi un giro per il social più social della Gen Z, con lo sguardo alla Goffredo Parise da reporter, scuserete la citazione colta, ma parlando di Nuovi Argomenti citare Moravia o Pasolini sembrava scontato, o con quello lascivo (Fedez direbbe lassista) di Humbert Humbert, poco cambia, finendo per impararle a memoria, tante volte vengono riprodotte, in video la cui variabile è la faccia delle ragazzine, forse, i body sono quasi sempre bianchi, tendenti al trasparente, le pose innocenti sempre stemperate da quella malizia che ai miei tempi era maiuscola, oggi credo vada più di moda Dove.

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Marco Castello con i Kings of Convenience

Un grande trampolino di lancio, ci dicono, Tik Tok, pensiamo alla Beggin dei Maneskin, da qui partita per diventare canzone da oltre un miliardo di stream su Spotify, o pensiamo, per stare più coi piedi per terra, alla recente epopea di Nina Zilli e della sua Per sempre, divenuta virale proprio su Tik Tok durante l’ultimo Festival, proprio mentre Universal sfanculava il social cinese togliendo la sua musica di lì. La canzone, per il rotto della cuffia, è diventata talmente virale da entrare poi nella classifica di Spotify, andando a riprendere un successo lasciato lì quando ancora Marco Cubeddu poteva guardare il culo delle ragazzine sotto gli shorts striminziti senza sentirsi in dovere di scriverne, diventando poi emblema di una mascolinità tossica e guardona per una serie di persone non esattamente sul pezzo.
 

Ne scrivevo giorni fa, quando parlando del pezzo letto su Wikifeet ho poi raccontato di come Instagram sia diventato (e ancora sia) una sorta di campionario di piedi, bei piedi, intendiamoci, ma pur sempre solo piedi. So bene che, tornassi domani su Tik Tok, dove giuro ho passato giusto il tempo di constatare che la segnalazione che mi è stata fatta è corretta, di brani oltre a Pipì e Il cielo sopra Berlino, citazione di Wim Wenders o di Marco Civoli, in tutti i casi roba citata per sentito dire, parliamo di Gen Z, ce ne sono altri, tutti di artisti che ancora non hanno sfondato la coltre che separa il generazionale dal mainstream. I Tamango, dice mia figlia Lucia, sono molto bravi, gente che suona, Fulminacci sembra essere il loro Dio, e ho sentito dei meno interessanti, decisamente. Le chitarre a fare da ossatura della canzone, dei Postino che potrebbero anche farcela, Postino, ormai ritiratosi, come gli Psicologi, divisisi, sono nomi che tra i tanti che sembravano dovercela fare a suo tempo nell’indie, sono rimasti ai blocchi di partenza o ce l’hanno fatta ma non quanto si poteva ipotizzare.
 

Come la musica che resta su Tik Tok, senza sfondare su Spotify, parliamo di trecentomila ascoltatori mensili per Marco Castello, centosettantamila per Tamango (Postino, ormai passato a altro, è rimasto a sessantacinquemila, gli Psicologi insieme veleggiavano verso il milione, Drast da solo mezzo milione e Lil Kvneki trecentomila, probabilmente perché i fan sbagliano a scrivere il nome e al terzo tentativo vanno a cercare ) possa essere economicamente sufficiente per campare ci sfugge, ma del resto sono tante le cose che ci sfuggono. A partire da come una canzone invece che un’altra possa diventare virale, perché in fondo i video che accompagnano sono tutti abbastanza simili, scene da cameretta, neanche sempre ammiccanti (e che tipo di fascinazione possa avere ammiccare al proprio smartphone, quando volendo basterebbe girare per ammiccare e guardare chi ammicca, dal vivo), facce acqua e sapone con look neanche troppo aggressivi. Potrebbe essere casualità, o destino, oppure l’avere quell’opportunità che un tempo sarebbe passata dall’incontrare il discografico o talent scout giusto, che ti avrebbe concesso la famosa possibilità di farcela. Oggi siamo nel campo del fai da te. Fai da te che a volte funziona pure, direi, solo il futuro ci dirà se vedremo Marco Castello o i Tamango fuori dallo schermo di uno smartphone, vincere il Premio della Critica al prossimo Festival di Sanremo o passare sotto l’inquisizione spagnola della giuria di X Factor, dove il fai da te diventerà l’autodafè, e qui, converrete, un plauso per aver citato Goffredo Parise e Elias Canetti in un pezzo che parla di tettine e canzoncine su Tik Tok dovrebbe valermi almeno un Pulitzer, con buona pace di Fedez e dei suoi amici ultras.
 

Il brano Pipì, per la cronaca, scritta da uno che, leggo, è un trombettista jazz con tutta una serie di collaborazioni importanti alle spalle, che vanno da Nu Genea a Fulminacci, passando per Mace e Colapesce e Dimartino, dice a un certo punto “e ammazzo Fabio Fazio, che tanto dice sempre di sì”. Credo meriti un approfondimento. Torno a guardare tettine adolescenziali su Tik Tok, lo faccio per lavoro, lo faccio per chi mi legge, abbiate cura di voi.

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