Su Rai3 il documentario Tognazzi. La voglia matta di vivere, diretto dal figlio Ricky Tognazzi. Un viaggio unico e profondo dentro la vita e l’arte di uno dei giganti del nostro cinema, che ha segnato indelebilmente la storia del grande schermo italiano e internazionale. Il docufilm si concentra non solo sulla carriera professionale di Ugo Tognazzi, ma soprattutto sulla sua personalità complessa, quella di un uomo generoso, ironico e autentico. Tra testimonianze di amici, colleghi e familiari, tra cui Pupi Avati, Ornella Muti, e Michele Placido, emerge un ritratto intimo che va ben oltre la figura del comico o del divo, mettendo in luce un uomo con un’insaziabile voglia di vivere, in tutta la sua umanità. Il documentario non si limita a ripercorrere i momenti salienti della sua carriera, ma offre anche uno spaccato privato, ricco di ricordi familiari e pellicole di casa, che raccontano l’uomo Ugo Tognazzi attraverso gli occhi di chi gli è stato più vicino. Ricky, il suo figlio maggiore, ci guida in questo racconto, partendo dalle radici familiari di Velletri, passando per i suoi primi amori e successi nel teatro e al cinema, fino agli ultimi giorni di vita, che conservano sempre quella voglia matta di vivere che lo contraddistingueva.
Segue un'intervista fatta da Andrea Meroni e Luca Locati Luciani a Ricky Tognazzi risalente al 18 luglio 2020 contenuta all'interno del libro 'Quelle come me. La storia di Splendori e miserie di Madame Royal'. (Pm Edizioni).


L'intervista a Ricky Tognazzi di Andrea Meroni e Luca Locati Luciani
Ricky Tognazzi, regista, attore. Che ricordi hai del periodo delle riprese del film Splendori e miserie di Madame Royale?
Io avevo quindici anni, nel 1970, e all’epoca le estati le passavo con papà. Ho dei ricordi vividissimi del suo entusiasmo, quando tornava a Torvaianica di sera, senza ancora essersi spogliato del personaggio.
Si è mai presentato a casa vestito da Madame Royale?
No, questo sarebbe stato troppo anche per lui [ride], però era un suo vezzo farsi regalare gli abiti di scena: quando poi fece Il vizietto, per tutto l’anno successivo andò in giro con vestiti color pistacchio, color pesca e color albicocca. Nel caso di Splendori e miserie, a casa ci raccontava regolarmente quello che aveva fatto il giorno stesso, mimando e interpretando il suo personaggio davanti a noi, che eravamo divertitissimi, estasiati, ma anche un po’ preoccupati di quello che gli stava succedendo, di questa metamorfosi.
Avendo fatto anche Il vizietto coi suoi seguiti, oltre ad aver recitato nello spettacolo teatrale M. Butterfly, si direbbe che tuo padre avesse una predilezione per i ruoli da omosessuale…
Si divertiva da morire, ma per un attore è sempre una grande occasione recitare un personaggio che vive dentro di sé. Nel caso di Splendori e miserie, Ugo era preda di una specie di schizofrenia, come del resto lo stesso personaggio di Alessio/Madame Royale, che solo durante le feste può rivelare la vera “se stessa”.
Gli capitava spesso di avere questo trasporto rispetto a una parte?
Rispetto ai film che girava, mio padre poteva comportarsi in due modi diversi. In certi casi era entusiasta, e quindi era una delizia, anche sul set: grande collaborazione, grande creatività, grande capacità di tenere assieme la troupe anche grazie ai suoi pranzi (ospitava spesso e volentieri i suoi collaboratori). Portava anche molto di sé nei film: tic, parole, giochi, il vezzo di apparire ai fornelli o di dormire con una gamba sotto le lenzuola e l’altra fuori. Altre volte invece rimaneva deluso e quindi entrava in una specie di “corpo a corpo” col regista, col produttore o con altri. Sapeva essere molto duro, quando era scontento.
Con il regista Vittorio Caprioli come si è trovato?
Molto bene, perché Caprioli era una persona speciale: amabile, caldo, accogliente, molto simpatico, buffo, eloquente e intelligentissimo. Faceva morir dal ridere anche nella vita. È rimasto negli annali del cine ma, ma avrebbe meritato molto di più. Tra tutti i registi con cui ha lavorato Ugo, lui sicuramente rientra nella serie A. Poi l’idea di fare un film sui “froci” era assolutamente controcorrente. L’argomento era un tabù, ma non in senso moralistico, perché gli omosessuali si potevano pigliare per il culo liberamente già negli anni Cinquanta, al cinema. Era piuttosto un tabù produttivo: i produttori erano terrorizzati, perché temevano che commercialmente i film sull’argomento non potessero funzionare, che portassero sfiga. E infatti Madame Royale non ha avuto successo.
Anche per colpa del divieto ai minori di 18 anni…
Io lo vidi al cinema, ma un po’ di nascosto, proprio a causa di quel divieto che per me era assolutamente immotivato. Per molti anni non sono potuto andare a vedere i film di mio padre (penso anche al Satyricon di Gian Luigi Polidoro, per cui mio padre, a causa di una danza con un pischelletto, si beccò un’accusa di corruzione di minore). Questo fatto da una parte mi faceva soffrire, dall’altra mi inorgogliva.
Tuo padre come ha preso la “bocciatura” di Splendori e miserie di Madame Royale da parte del pubblico?
Molto male, ovviamente: girarlo era stato faticoso per lui, anche per via del trucco e dei costumi, ma – al di là dei mesi di lavoro – aveva fatto un grosso investimento emotivo, perché assieme al suo entusiasmo erano salite anche le sue aspettative. Comunque non è che lui si ritirasse in un angolo a soffrire in silenzio: si incazzava tantissimo, quindi avrà colto l’occasione per maledire chiunque e per scagliarsi contro il conformismo di un paese retrogrado.
Anche la critica non ha unanimemente apprezzato il film.
C’è da dire che non ha una perfetta unità stilistica, come del resto anche i film che Ugo ha fatto da regista, perché lui non rinunciava mai a giocare la carta della leggerezza, del grottesco. Se non altro, a differenza di altri grandi mattatori della commedia italiana – che in alcuni casi furono più restii a rischiare e a discostarsi dai gusti del pubblico – non era uno che si tirava indietro: la sua carriera è costellata di tentativi di fare cose diverse. Più era inedita la proposta che gli arrivava e più si eccitava (e ha anche pagato per questo). Penso a Il petomane, a proposito del quale io gli dicevo: 'Ma perché vai a fare un film su uno scoreggione?', e lui mi rispondeva 'Ma il Petomane è un poeta, è un artista, solo che ha questa disgrazia di esprimere la propria arte col buco del culo'. In questo paradosso lui ci sguazzava, e infatti per Il petomane ha voluto uno sceneggiatore sensibile come Enrico Medioli, che aveva scritto anche Madame Royale, appunto…

