Come funziona l’industria della moda? Da cosa provengono i tessuti che compongono i vari capi? È possibile un’alternativa all’origine animale dei materiali? Abbiamo chiesto una risposta a queste domande a Simone Pavesi, responsabile di Lav: dalla parte degli animali: “Non potranno mai esistere garanzie che al singolo animale coinvolto nella produzione sia assicurata una vita naturale” è solo una delle criticità. Le alternative, però, ci sono e stanno cominciando a essere diffuse. Una delle problematiche principali è l’attendibilità degli standard industriali (“poco credibili”). Ci sono alcuni, però, come Pavesi e Lav, che si occupano di garantire un livello maggiore di affidabilità e un impatto concreto sulla qualità e la sostenibilità del prodotto. Fondamentale è la comunicazione del cambiamento: “Chiara Ferragni provocata dalla Peta (People for ethical treatment of animals)? Tutte le persone influenti nella moda dovrebbero prendere una decisione pubblica e coerente”.
Simone Pavesi, quando la moda è cruelty free?
Innanzitutto, preferiamo parlare di moda Animal Free invece che Cruelty Free, così escludiamo da subito ogni eventuale equivoco con quanto rivendicano alcune certificazioni “responsabili” delle filiere animali nella moda. Una moda sostenibile e, quindi, “animal free” è completamente priva di materiali animali. Le filiere animali, anche quando garantite dagli standard industriali, presentano due tipiche criticità. La prima si manifesta quando consentono pratiche che implicano privazioni e sofferenze per gli animali e che, in base alla specie, possono consistere in castrazione e inseminazione artificiale, nel controllo delle riproduzioni; mutilazioni come il taglio della coda, delle corna, del becco, nella gestione di molti animali in sistemi intensivi; confinamenti, anche in gabbie; separazioni madri e cuccioli; uccisioni anche lente e con una prolungata agonia, non solo per i rettili ma per esempio anche le milioni di pecore che quando non più produttive sono imbarcate su navi cargo e dall’Australia arrivano in Medio oriente dove vengono uccise prevalentemente con la pratica della macellazione rituale; impossibilità di cure individuali e immediate; impossibilità di espletare le necessarie esigenze etologiche (correre, scavare, arrampicarsi, esplorare il proprio ambiente, libero accesso all’acqua per nuotare, nda).
E la seconda criticità?
Che non potranno mai esistere garanzie che al singolo animale coinvolto nella produzione sia assicurata una vita naturale. A queste criticità si aggiunge il problema dell’impatto ambientale, perché le produzioni animali hanno un effetto devastante sul pianeta. Possiamo pure mettere a sistema una metodologia di lavorazione del materiale ricavato da un animale in modo da avere il minimo impiego di acqua o additivi chimici, ma se a monte il fatto stesso della presenza di quel dato animale comporta elevati livelli di emissione di Co2, erosione del suolo e desertificazione, oltre a tutto lo spreco di risorse vegetali destinate alla sua alimentazione invece che a quella umana, è evidente che la filiera non è sostenibile.
Quali alternative esistono?
Oggi è sempre più disponibile una terza generazione di materiali nella moda: dopo i materiali naturali, sono arrivati i petrolchimici (poliestere, acrilico, nda), oggi si parla sempre più di “Next-Gen Materials”, materiali di nuova generazione. Sono materiali animal free e diretti sostituti di filati tipicamente di origine animale. Ricorrono a una varietà di approcci di biomimetica per replicare l'estetica e le prestazioni dei materiali animali, con differenti processi e tecnologie. Possono essere materiali plant-based, derivati in tutto o in parte da materia vegetale vergine o da scarto/sottoprodotto vegetale, ma anche materiali da fermentazione microbica, frutto di approcci di ingegneria cellulare come colture cellulari o processi di fermentazione per produrre proteine e biopolimeri. Materiali riciclati: materiali di nuova generazione che utilizzano plastica riciclata o materie prime tessili riciclate, non di origine animale, come input principale. Colture di cellule animali: ottenuti tramite ingegneria tissutale per coltivazione di cellule animali in laboratorio e che oltre a non implicare il ricorso a substrati animali non comportano sfruttamento animale e tutte le conseguenze negative connesse.
E le aziende italiane dimostrano attenzione al tema?
Sì, sicuramente c’è attenzione da parte di molte aziende visto l’impegno sul tema della sostenibilità. La criticità delle filiere animali è cosa nota e c’è chi purtroppo si affida alle certificazioni di responsabilità ai cosiddetti standard industriali e quindi prendono per buone le filiere animali certificate, mentre altri, grazie anche a un confronto con Lav, comprendono quanto poco credibili siano questi standard e riescono poi ad adattare il modello di business a un modello più sostenibile e rispettoso degli animali dismettendo produzioni come pellicce in primis e poi altri tipi di materiali animali. Si sta facendo molto ma bisogna fare di più.
Quali sono le certificazioni della moda cruelty free?
Lav accompagna le aziende verso una progressiva sostituzione dei materiali animali e mette a disposizione anche la propria label “Animal Free” per individuare e valorizzare capi e accessori privo di componenti animali.
Che accortezze deve avere il consumatore?
Sempre leggere le etichette per evitare di acquistare prodotti realizzati con materiali animali.
Perché acquistare la moda cruelty free?
Scegliere Animal Free, perché etica, rispettosa di animali e ambiente e dunque anche sostenibile.
Come giudica la lettera aperta che la Peta (People for ethical treatment of animals) ha mandato a Chiara Ferragni?
Tutte le persone influenti nella moda dovrebbero prendere una decisione pubblica e coerente con la necessità di orientare l’industria della moda verso una reale sostenibilità e, quindi, verso la progressiva dismissione di ogni produzione animale.
L’onorevole Michela Vittoria Brambilla è stata accusata d’avere un canile lager, cosa ne pensa?
Non ne so nulla, non commento. Mi occupo di filiere animali nella moda e non di altri ambiti di possibile sfruttamento.