A Milano si è tenuto il Pride 2024: carri, musica, folklore, dibattiti e una fiumana di persone al seguito. La città un po' in crisi: mezzi che hanno deviato dai soliti percorsi, qualche disagio, ma niente di che. Milano, che fattura, ha visto ben di peggio. Tuttavia, la Grande Mela italiana non ha dato il giusto spazio a un altro evento degno di nota e menzione d'onore: il Ruzza Watch Day. Per chi non lo sapesse, Lorenzo Ruzza è una star dell'internet, un esperto d'orologeria e commerciante. Ma soprattutto, un sublime esempio di tamarraggine anni Novanta. Adoro. Ammetto senza vergogna di considerarmi una fangirl del nostro eroe, della sua comunicazione verace, ma non proprio un'estimatrice dell’evento da loro organizzato nel centro di Milano, nel suo negozio di via Cesare Battisti, a due passi da San Babila e dalla Madonnina. A organizzazione erano messi malino, va detto. Lo stesso Ruzza ha detto di avere avuto problemi segnalando in una story Instagram ben 700 ordini non andati a buon fine, nonostante il bug sul sito però Ruzza ha incassato solo dalla vendita dei Ruzza Watch (a 140 euro l’uno) un totale di quasi 400mila euro. Ad ogni modo ieri Lorenzo aveva da fare e non ha avuto modo di rendersi conto di ciò che stava accadendo, vista la presenza di centinaia di persone accaldate in fila da quasi 48 ore che speravano di poter entrare nel negozio e vincere l'adorato orologio che sognavano da mesi. Quello che ho visto ieri mi ha fatta letteralmente volare. C’erano decine di ragazzi (quasi tutti maschi) che arrivavano letteralmente da ogni parte d’Italia: Aosta, Torino, Roma, Cremona. Tutti lì per poter anche solo stringere la mano al loro eroe, il quale, a onor del vero, occasionalmente usciva e portava ai “fedeli” (e uso questa parola per indicare un livello di fanatismo pari a quello che nutrivano i poveracci che partivano per le crociate nel 1196 d.C.) acqua, bibite e salamini Beretta, con cui c’era una evidente partnership, viste le hostess con maglietta dell’azienda di affettati che continuavano a distribuire, con 45 gradi all’ombra, salami monoporzione. Un secondo di silenzio per l’inutilizzato red carpet: i pochi ospiti che sono arrivati, Emis Killa, Lazza, il Fabrizio Nazionale, planati a bordo di furgoncini con vetri oscurati o sobrie Lamborghini, non l’hanno calcato e non hanno fatto manco mezza foto davanti al cartellone esterno con gli sponsor in bella vista. Tra questi anche Boem, il beverone di Fedez, il quale ovviamente era tra gli ospiti presenti; arrivato subito dopo Corona, il rapper milanese ha fatto un paio di storie e si è eclissato dentro il negozio, dove ne abbiamo perso le tracce.
Personalmente, ho provato a entrare ben due volte, facendo presente che ero iscritta alla lista e inviata della testata che state leggendo in questo momento. Ma no, non eravamo graditi: “Non vogliamo giornalisti che non siano interni”. Ma in che senso giornalisti che non siano interni? Non siamo certissimi che esista un vero e proprio ufficio stampa, anche perché se esistesse sarebbe a dir poco strano che un membro della stampa possa essere buttato fuori in quel modo. Probabilmente vuol dire che l’azienda non gradisce l’idea che qualcuno possa fare resoconti di uno degli eventi più trash del 2024. E noi allora che stiamo a fare? Ce ne freghiamo e “resocontiamo". Punto uno: per qualche strana ragione, nonostante tutto questo si svolgesse di pomeriggio, sull’invito c’era scritto “dress code elegante, cravatta obbligatoria”. Outfit generale: maglia oversize, jeans strappati e tatuaggi. Noi anime pie, tra l’altro, eravamo stati invitati a questa colorata risposta del Pride, eppure non siamo stati fatti entrare, nonostante ad un certo punto si sia deciso di evocare proprio Fabrizio Corona, amico del Ruzza e sperato intermediario. E invece nulla. Non è bastato manco l’audio dell’ex re dei paparazzi per risparmiarci 48 minuti di caldo atroce e umidità.
Ma tutta questa ostilità ci dà modo di essere più onesti e di poter raccontare il tutto con un punto di vista diverso rispetto a quello del solito giornalista invitato e gradito a una festa che, come in questo caso, sembrava lontana da un’organizzazione ottimale: le brevi incursioni all’interno ci hanno permesso di constatare che in realtà tutto sto rumore lo stavano facendo per nulla. Il bar serviva quattro cocktail in croce e qualche signora accaldata lamentava persino la mancanza di acqua. Gli steward, dopo appena mezz’ora dall’inizio ufficiale, non sapevano più a che santo rivolgersi, continuando a chiedere alla folla esterna di stare ai lati dell’intonso red carpet, il quale, a onor del vero, è stato calcato da qualcuno: un influencer affetto da nanismo vestito da Super Mario. Ruzza entrava e usciva dal negozio, le guest star maschie, bianche e alte spendenti alla fine sono andate tutte via dopo più o meno mezz’ora. Lazza è ripartito a bordo del suo furgoncino con interni arancioni, l’ex della Ferragni a bordo di un sobrio Mercedes nero e via discorrendo. Nessuno, tranne Ruzza, ha fatto foto con i fan stremati dal caldo all’esterno del negozio. Magari le hanno fatte all’interno, sotto l’aria condizionata, ma a noi non è dato saperlo. Ma va bene così: se ci avessero trattati bene non avremmo visto chiaramente il lato noioso del trash a metà.