Roma è di nuovo al centro del dibattito sulle recensioni online: il nuovo Disegno di legge sulle piccole e medie imprese (PMI), ora al Senato, prova a combattere le false recensioni con una proposta che richiede allo spettatore di dimostrare l’acquisto tramite scontrino, garantendo però l’anonimato. Tra privacy, trasparenza e controlli, la questione scatena opinioni contrastanti tra ristoratori, associazioni e legislatori. Nel frattempo, arriva in Italia Salt Bae, lo chef turco diventato icona social per i suoi show spettacolari e i prezzi decisamente alti. Milano e Roma si preparano ad accogliere il suo format, ma la domanda resta: sarà un valore aggiunto per la cucina italiana o solo un grande show? E mentre si parla di turismo, l’Italia si ritrova spaccata tra overtourism in alcune mete celebri e un calo generale delle presenze, che preoccupa soprattutto gli stabilimenti balneari. Per approfondire questi temi abbiamo parlato con Andrea Cuomo: romano di nascita, milanese di adozione, sommelier, editore del Il Giornale e critico enogastronomico da anni.

Cuomo, ha letto della proposta di permettere recensioni anonime solo presentando lo scontrino? Cosa ne pensa?
Sì, ho letto qualcosa. Allora, certamente è una buona idea se serve a evitare il revenge food, cioè le recensioni vendetta, pretestuose, fatte anche qualche volta nei confronti di ristoranti dove non si è stati, solo perché magari lo chef finisce bersaglio di critiche per qualcosa che ha detto o ha fatto. E certamente si evitano anche giochini legati a possibili concorrenze, a possibili dispetti. Non sono tanto d'accordo se diventa uno strumento moralista, cioè “dimostrami che hai pagato, che non sei stato ospite, perché solo in questo modo la tua recensione può essere scevra da condizionamenti”. In questo ci vedo un retaggio di un modo di concepire la critica gastronomica che non tiene conto dei tempi.
Il rischio di recensioni false o diffamatorie è davvero così alto da richiedere un intervento legislativo?
Credo sia una questione di numeri. Sulle principali piattaforme che recensiscono i ristoranti, penso a TripAdvisor ma anche a Google, quando un ristorante ha un numero consistente di recensioni è improbabile che la gran parte siano finte. Quando sono poche, ovviamente, il rischio c'è, perché la media di un voto su 10 o 20 recensioni può essere condizionata anche da solo due o tre recensioni finte o farlocche. Non so se ci sia un intervento legislativo a dover risolvere questo problema. Penso che siano più che altro le piattaforme a dover mettere in atto degli strumenti probabilmente possibili a livello tecnico per escludere e cancellare le recensioni che sono sospette.
Crede che questa misura favorirebbe più i ristoratori o i clienti? Alcuni sostengono che richiedere lo scontrino possa minare la privacy.
Lo scontrino non vedo in quale modo possa minare la privacy, visto che non è un documento nominale, e quindi no, non riesco a capire cosa possa entrarci la privacy con lo scontrino. Diciamo che lo scontrino dovrebbe essere una tutela per entrambi. Il ristoratore saprebbe che colui che recensisce è stato realmente nel ristorante, a meno che poi lo scontrino non sia stato raccolto da terra o che ci sia stato qualche modo per averlo truffaldinamente. Tutelerebbe anche il cliente nella misura in cui si applichi la formula per cui se c'è lo scontrino la recensione è autentica. Io non credo che sia una strada praticabile.

Nella sua esperienza ha mai visto recensioni evidentemente false che hanno danneggiato un ristorante?
Io non sono un grande frequentatore delle piattaforme di recensioni online. Ho la fortuna di girare moltissimo per ristoranti da solo e l'idea su un ristorante me la faccio personalmente. Quando devo andare a visitare un ristorante, di solito, mi informo più con articoli di giornale o guide. Conosco il mondo della critica gastronomica, so di chi mi posso fidare. Tendo più ad affidarmi di un collega che stimo e di cui conosco la sincerità, la genuinità, l'onestà intellettuale, piuttosto che alla critica scritta da una persona che non ha strumenti tecnici per valutare un ristorante o che boccia un ristorante solo perché il cameriere quel giorno è stato sgarbato. Quindi non le frequento. Molti ristoratori mi hanno raccontato di qualche volta che hanno avuto problemi con recensioni evidentemente poco genuine. Credo che chi lavori bene e abbia uno storico di credibilità, di clientela, di storia e anche punteggi alti sulle guide non debba preoccuparsi più di tanto per recensioni pretestuose.
Ora parliamo dell'arrivo di Salt Bae in Italia. Questo è visto da molti come un evento mediatico oltre che gastronomico. Secondo lei porterà un reale valore alla scena ristorativa italiana o sarà più che altro uno show?
Assolutamente non porterà alcun tipo di valore aggiunto alla nostra cucina. Ma non sono neanche troppo critico. Io penso che in tutti i settori ci sia spazio per tutti. Ogni chef, ogni ristorante alla fine seleziona il suo pubblico. Salt Bae, sia per una questione di prezzi che ho letto essere piuttosto alti nei suoi ristoranti in giro per il mondo, sia per questi atteggiamenti istrionici, probabilmente attirerà un pubblico non di gourmet ma di persone che vogliono stare nel posto giusto, che vogliono postare la visita su Instagram e che, peraltro, se lo possono permettere, visto, come dicevo prima, i prezzi alti. Quindi io non penso che avrà nulla proprio a che fare con la scena gastronomica. Sarà uno show che avrà il suo pubblico.
Come pensa reagirà il pubblico italiano non abbiente, che magari è noto per il suo forte legame con la tradizione culinaria, a un format, oltre che scenografico, anche così costoso?
Io penso sempre che uno non si debba occupare di quello che non si può permettere. Intendo dire, io sono un appassionato di gastronomia, oltre che uno che ci lavora, e spendo volentieri dei soldi in più per mangiare bene. Ma, ad esempio, io non sono un appassionato di orologi e non spenderei mai 10.000 euro per un Patek Philippe o per un Rolex. Allo stesso modo, nella gastronomia, chi non avrà i soldi per permettersi Salt Bae, o non sarà interessato, come nel mio caso, alla cucina che fa Salt Bae, semplicemente non se ne dovrà preoccupare. C'è spazio per tutti. Milano ha decine di migliaia di ristoranti, lo stesso vale per Roma, e non è che Salt Bae toglierà spazio a chi fa un altro tipo di cucina. Io trovo sempre che in queste questioni ci sia un certo moralismo maggiore rispetto ad altri settori dove il lusso è considerato normale. Nel cibo, il lusso, che sia poi credibile come un ristorante a tre stelle o un lusso di facciata come quello di ristoranti come Salt Bae, è sempre visto come una cosa fastidiosa, perché il cibo è una cosa con cui noi viviamo, e il fatto che esistano ristoranti non alla portata di tutti viene ritenuto offensivo dalla gente comune. Ma io penso che, appunto, come nelle automobili, nella moda, negli orologi e in qualsiasi altro settore, c'è quello che è alla portata della propria possibilità di spesa e della propria volontà di spesa, e quello che semplicemente non ci interessa, ma non per questo lo dobbiamo disprezzare. Per cui, per me, ben venga Salt Bae. Io probabilmente non ci andrò, ma non mi toglierà nulla.

La cucina di Salt Bae è famosa per l'uso di carne di qualità e presentazioni spettacolari, come per esempio l'utilizzo dell'oro. Da critico, come valuta l'utilizzo dell'oro alimentare? È una trovata di marketing o un valore aggiunto reale?
Probabilmente una trovata di marketing lo era già nel momento in cui Gualtiero Marchesi, negli anni ’70 e ’80, introdusse la foglia d'oro nel risotto. Serve certamente a far parlare di sé, serve a dare un pregio, più simbolico che reale, non organolettico, al piatto. Serve, nell'epoca contemporanea, anche a fare qualche bella foto che valorizzi la storia sui social. Secondo me ha questo valore. Io ho assaggiato tante volte dell'oro alimentare nei piatti di vari chef; qualche volta c'era un aspetto di citazione o di valorizzazione più di un pensiero che di un piatto. La cosa mi ha lasciato sempre piuttosto indifferente: non ho mai apprezzato un piatto di più perché c'era dell'oro sopra.
Secondo lei, l'apertura di questi locali influenzerà in qualche modo le strategie dei ristoranti di fascia alta italiani?
Dipende sempre da cosa si intende per ristoranti di fascia alta. Se intendiamo fascia alta come un aspetto puramente economico, dentro c'è di tutto: dal tristellato al bistellato, fino a locali di moda dove si paga tanto per il contesto o per ingredienti di altissimo livello che però non sono trattati con una tecnica e con una cultura e conoscenza del territorio profonda. In quel caso può darsi che chi vende più atmosfere, opportunità, ambientazioni e non sostanza si possa preoccupare di dover rispondere in qualche modo al fatto che Salt Bae alzerà l'asticella del live gastronomico da questo punto di vista. Se per alta cucina intendiamo semplicemente i grandi chef, quelli che hanno un pensiero, una cultura gastronomica, una preparazione, si giocano due campionati diversi, quindi secondo me loro non si dovranno preoccupare di nulla.
Un ultimo argomento: cosa succede al turismo in Italia secondo lei?
Sono dell'idea che si è tirata troppo la corda con i prezzi e che molte persone non siano più disposte a spendere così tanti soldi per vivere delle esperienze che probabilmente non meritano una tale spesa. Penso soprattutto agli stabilimenti balneari: quello è l'esempio più forte che faccio, perché si tratta di imprese che hanno il vulnus iniziale di pagare una cifra simbolica allo Stato per l'occupazione di uno spazio, di un'area demaniale, e che fanno un business che capisco è stagionale e quindi in quei pochi mesi, due o tre, va assolutamente sfruttato, però pagare 200 euro a una famiglia, un ombrellone, dei lettini e magari qualche snack al bar è una cosa che allontana molti frequentatori.

Ma è solo una questione di prezzi o c'è dell'altro?
Io trovo sempre il discorso schizofrenico. Da un lato noi italiani amiamo sostenere di essere il paese più bello del mondo e di avere la gran parte del patrimonio riconosciuto e tutelato dall'Unesco, cosa peraltro non vera, nel senso che noi siamo il primo paese per siti tutelati dall'Unesco, ma di poco davanti alla Cina e alla Germania, quindi non abbiamo i tre quarti o la metà del patrimonio artistico e culturale del mondo. Noi tendiamo a sopravvalutare le nostre skill, anche se siamo indubbiamente un paese bellissimo, ma non siamo l'unico paese bello, e poi però ci sorprendiamo quando scopriamo che siamo soltanto al quinto posto per presenze turistiche annuali, superati da paesi come la Spagna e la Turchia, che sono entrambi mediterranei, sono paesi a noi paragonabili per aspetti geografici, climatici, per la ricchezza di panorami, però magari forse un po' meno ricchi di noi di patrimonio. E quindi questo ci dovrebbe far riflettere su cosa abbiamo sbagliato, su dove abbiamo sbagliato e su cosa dobbiamo fare a livello politico per correggere la rotta. Non ci vorrà né un anno né dieci, ma ci vorranno decenni; probabilmente l'Italia dovrà diventare più attrattiva sia nei confronti del turismo di alto bordo, sia nei confronti del turismo più popolare, che negli ultimi anni sembriamo disprezzare.
Non è sorprendente che negli ultimi mesi si era parlato di overtourism e invece adesso si parla di mancanza di turismo? Il problema sono le spiagge vuote, le città come Venezia che vengono prese d'assalto, oppure è proprio la narrazione del turismo che non regge?
Probabilmente sono entrambe le cose. Sì, è vero, è curioso che si parli da un lato di overtourism in alcune grandi località turistiche italiane, parliamo delle grandi città: Venezia, Firenze, Roma un po' meno, semplicemente perché è molto più vasta e quindi assorbe meglio il grande flusso di turisti. Ma parliamo anche delle Cinque Terre, parliamo anche di altri luoghi; di recente si è parlato anche delle Dolomiti. Sono però spesso fenomeni il cui driver, il cui motore, è dato da attrazioni social, un po' per moda, insomma. Mode che portano in questi territori un turismo che un tempo si chiamava “mordi e fuggi” — che è una definizione che non mi piace, ma che rende abbastanza l'idea — un turismo che non spende. Quindi il contrasto è questo: il turismo è in crisi perché grandi masse di turisti si muovono tutti nella stessa direzione e spesso spendendo poco, anche perché i prezzi poi sono alti e la qualità bassa del servizio in alcune località turistiche. Tutti sanno che, se vuoi mangiare a Venezia e stare a 50 metri da Piazza San Marco o dal Ponte di Rialto, è molto difficile farlo bene, anche perché ci sono delle trappole proprio per turisti. Quindi non possiamo poi biasimare il turista che si porta il panino, magari fatto a colazione in albergo, riempiendo il pane di salumi e di formaggi del buffet della prima colazione. Non possiamo biasimare questo: dobbiamo decidere se vogliamo rivolgerci a un turismo altospendente o a un turismo democratico. Secondo me, l'Italia avrebbe le risorse e i luoghi per rivolgersi a entrambi i flussi, diversificando però l'offerta e forse specializzando alcuni luoghi verso un certo tipo di turismo e altri verso un altro tipo di turismo. Il discorso, comunque, è confuso, contraddittorio, ed è il caso forse che si inizi ora un vero dibattito pubblico sul turismo in Italia, che non sia alimentato soltanto da slogan o da posizioni ideologiche — perché spesso ci sono posizioni ideologiche dietro questo tema — e che si affronti seriamente come sistema Paese, come si diceva un tempo, perché il turismo deve essere veramente il primo asset economico italiano.
