Tra i lieviti, le pizze rosse e la pasticceria più famosi di Roma c'è sicuramente quella dell'Antico forno Roscioli, gestito da Pierluigi Roscioli. Il forno, per lui, è una questione di famiglia, di sangue: Pierluigi, infatti, è la quarta generazioni di Roscioli che si occupa dell'attività. "Il pane è famiglia. Il pane è universale. Il pane è unico. Il pane è storia. Il pane è futuro", questo è il motto che leggiamo sul sito del Forno. Ma nel corso degli anni, insieme a suo fratello Alessandro, i due ampliato la loro offerta culinaria e hanno aperto una salsamenteria. Pierluigi è anche tra gli ospiti di Masterchef 23. Nel frattempo, noi siamo andati a provare i prodotti dell'Antico forno. Ecco com'è andata e chi è Pierluigi Roscioli.
La nostra esperienza al Panificio Roscioli
Immaginate di arrivare in piazza Vittorio, nello storico rione Esquilino, omonimo di uno dei sette colli sui quali Roma si estende, verso le undici del mattino di una tiepida giornata invernale. Immaginate di fare un giro attorno alla piazza sotto ai portici umbertini, sormontati dai grandi palazzi austeri ed eleganti dell'epoca, che Gadda descrisse nel suo Pasticciaccio brutto ubicato nella attigua via Merulana. Per edificare questa piazza, emblema della romanità - ormai sinonimo di melting pot e intrallazzi mafiosi dall'oscuro, quanto intricato, ingranaggio - furono abbattuti, dopo l'Unità d’Italia, strade, chiese e palazzi, e fu trovato sottostante un enorme cimitero di schiavi, avanzi di galera e assassini. Villa Palombara, con tutti i suoi affascinanti misteri, fu espropriata e distrutta - come le ville romane attigue - dal piemontese Savoia Re Vittorio Emanuele II e l’Architetto Koch diede poi vita alla nuova piazza dal cuore verde e dai portentosi arbusti esotici, provenienti da tutto il mondo, tra i ruderi del Ninfeo di Alessandro Severo e i resti della Villa, che cèla esoterici enigmi fin troppo trascurati. Attorno a quel giardino si creò spontaneamente un enorme mercato popolare. De Sica ce lo ha raccontato in Ladri di biciclette, insieme alla povertà e alla disperazione del dopoguerra e a quella Roma che per certi versi è rimasta la stessa, e per altri è sparita per sempre. Immaginate di incantarci di fronte alla Porta Magica, ebbri dell’eterna giovinezza che la pietra filosofale ci ha donato solo in virtù del fatto che siamo noi, recitando solenni “Filius noster, mortuus vivit, rex ab igne redit, et coniugio gaudet occulto”. Questa è la sopravvissuta via di accesso al laboratorio alchemico che il Marchese Oddone Savelli Palombara utilizzava per i suoi esperimenti, all’interno della Villa che si fece costruire sul terreno acquistato nel 1620 dal Duca Alessandro Sforza. La leggenda dice che il Marchese Palombara, appassionato di esoterismo, ospitò una volta nel suo laboratorio sotterraneo il medico milanese Giuseppe Francesco Borri. Costui fu visto cercare nel giardino della villa un’erba misteriosa, in grado di produrre oro. Al mattino Borri scomparve, lasciando dietro di sé alcune pagliuzze d’oro, testimoni del riuscito esperimento e un cartiglio con oscuri simboli e formule contenenti il segreto della pietra filosofale. La formula per convertire la materia in oro è scolpita sugli stipiti della Porta Magica ed un giorno di questi li decodificheremo grazie all’ausilio di Flavia Vento e svolteremo tutti quanti.
Girando attorno alla fontana scolpita dal nonno dell'ex Sindaco Rutelli, soprannominata dai romani ‘fritto misto’ - tristemente a secco, come quasi tutte le fontane di Roma - decidiamo se la piazza ci piace di più oggi, senza i banchi del mercato che la sottraevano in un certo senso ai cittadini e la impregnavano di olezzi di frattaglie e scarti ittici, o la preferivamo invece prima. La signora che legge le carte è sempre lì con il suo banchetto sotto i portici, tra il magazzino di scampoli di stoffe all'ingrosso e i negozi dei cinesi, che se chiedi di comprare un vestito, rispondono di no. Sono decenni che ingenui ci domandiamo perché i cinesi “ci dicono di no”, citando Rosa Chemical. È evidente che anche il rapper di Grugliasco tenti sovente di acquistare un abito in puro poliestere in piazza Vittorio e i cinesi gli rispondano sempre di no. La cartomante per dieci euro ci dice presente, passato e futuro; “tanto quello nun te chiama, damme retta e levate de torno quelle amiche, che sò tutte invidiose de te e te copieno, ninnè”. Intanto si è fatto mezzogiorno, tra il via vai di diseredati, senza fissa dimora, stranieri, banchi di fiori accanto a lunghe pisciate sui muretti e ai nasoni di Roma. Se non incontrate nessuno che vi attacchi bottone mentre aspettate il bus che accosta al gigantesco colonnato, la mèta dove dirigersi è sicuramente il Forno Roscioli Esquilino. La famiglia Roscioli domina la città con il suo eterno sfornare di pizze, pagnotte e dolcetti, regalando abbracci affettuosi ad ogni morso. Qui in via Buonarroti, dal 1981 una parte della storica famiglia di fornai ha aperto questa benedizione che sfama fiumi di persone in fila ogni giorno e a tutte le ore. Un vero e proprio monumento del rione, cugino dei Roscioli di via dei Giubbonari con il bar e il forno sul teatro di Pompeo.
Addentare una pizzetta rossa del Panificio Roscioli Esquilino appena sfornata, profumata e croccante è qualcosa di atavicamente consolatorio, che il romano si porta dentro da sempre e che lo riconduce ai tempi in cui qualche nonna o zia elargiva pizze e panini con pratico amore, che nutrivano l'anima oltre a rifocillare lo stomaco. Il passo seguente consiste nel farsi riempire due buste di pane e fuggire con il bottino. I ventaglietti maliziosi occhieggiano dal vetro, dorati di burro e zucchero con i loro riccioli voluttuosi, aspettando solo un sacchetto bianco di carta per essere portati via e sbocconcellati su una panchina. Di sicuro a casa non ci arrivano. Le torte con le visciole intere tenteranno invano di resistere sino alla merenda, inutile sperare che giungano a colazione l'indomani. La pizza rossa a taglio ci farà ringraziare di essere vivi in una bella giornata di sole in cui forse avremo poco, ma quel poco ci rende felici. Alla cassa c'è Andrea Roscioli, con un sorriso che riconcilia con l'umanità e che cancella in un attimo momenti di amarezza a tratti di questa città dura, mamma e pappona allo stesso tempo. “Si collaborava tra cugini dal 1972, in centro storico. Poi papà rilevò qui quello che era un ‘buchetto’, nel 1981 e pian piano ci siamo ingranditi”, ci dice Andrea. I Roscioli vanno forte in città, detengono il monopolio e lo scettro dell'arte del pane nel cuore dei romani e di tutti gli altri. Anche perché ormai pare che i romani siano solo un terzo di chi vive a Roma. Satolli di carboidrati e storditi di serotonina, abbiamo scordato ogni ambascia in un subitaneo dolce e anestetizzante picco glicemico e siamo nuovamente sotto il cielo di Roma ladrona a “convivere con un milione di anime” - cit. Qui, a pochi passi dall'ultima dimora di Gian Lorenzo Bernini, in Santa Maria Maggiore.