Quando a Roma scoppia una moda non si parla d'altro finché la parabola ridiscende, il fenomeno si sgonfia, la gente trova via via difetti nella tendenza e saluta la novità assurta a mood assoluto, che soppianterà tutto il resto fino alla prossima dimenticanza. Questo vale per i locali, le canzonette, un indumento o un'automobile, ma anche la meta per le vacanze, un modo di dire, un colore di capelli, un cibo. Certo tutto il mondo è paese e le mode sono mode anche fuori della Capitale, ma a Roma la Amoroso avrà voglia di ballare un reggae in spiaggia molto più che altrove, se la moda ha preso piede. il fuxia pantone 25 improvvisamente non farà più orrore a tutte le donne, se la moda lo impone, il Giappone non sarà più caro, se il 2024 lo ha eletto a meta per le vacanze and so on. La moda della pizzeria L'Elementare è così. Roma di punto in bianco ha deciso di impazzire per la pizza di Massimiliano Borghese e in via degli Stradivari, in zona Porta Portese - ma anche negli altri tre locali - c'è sempre la fila. Il cognome Borghese dirà qualcosa a molti lettori di MOW, infatti Massimiliano è il fratello del più celebre Alessandro, l’esuberante Chef di “Quattro Ristoranti”, dall'atteggiamento sciallo e scafato, rocker e amichevole, figlio dell’attrice Barbara Bouchet. Noi di MOW, con una voglia di pizza che lèvete, abbiamo fiutato il trend come segugi da tartufo e una sera siamo andati in quell’angolo compreso tra il Tevere e lo splendido, malconcio edificio lasciato in abbandono dal nostro caro Comune di Roma che è l'ex Mattatoio, sfregandoci le mani per la prospettiva di addentare saporiti spicchi sottili e scrocchiarelli di una napoletana o di una marinara, una classica, insomma.
Qui il locale promette una pizza fina e bruciacchiata ai lati “proprio come si faceva una volta” - ah, ma allora ve la ricordate - senza fronzoli, per passare una serata leggera, lasciando fuori le ambasce, perché a Roma - continua la voce fuoricampo di chi scrive loro i testi- ‘ce piace sta’ sereni, senza rotture’. Al primo approccio, senza sapere che L’Elementare fosse di Max Borghese, non gli demmo le famose due lire. Qualche radical chic, una volta denominati ‘zecche’ in Birkenstock, sostava sul marciapiede davanti all’ingresso chiedendo una pizza da portar via, tra i miasmi della strada e gli effluvi del vicino Mc Donald’s, in una sera di fine estate rovente. Delle ragazze in gonnelloni a fiori tardivi di rimembranze Ozpetekiane – d’altronde il celebre terrazzo arcobaleno a tinte dolenti che rese celebre il Gazometro è a pochi passi da qui – passeggiavano con il cane e dei supplì in mano, ma a noi ci rispedirono a casa: “siamo pieni, dovete prenotare”. Quando è così, di pure che è la moda, a Roma. Effettivamente la pizzeria traboccava di gente come un pentolone di acqua per la pasta e noi andammo a casa a farci una ajo e ojo. Questa sera la cappa di caldo umido che sfocava i contorni dei cassonetti ricolmi e dei palazzi non c’è, noi non lisceremo l’esperienza, parcheggiamo a Ponte Testaccio e pedaliamo a fette diretti a L’Elementare. Pochi salamelecchi, il menu cartaceo ormai ce lo scordiamo dai tempi del covid, ordiniamo una marinara doppia e una tonno e cipolla estiva. Le sedie sono quelle di legno e formica di una scuola elementare, ma con il nome non c’entrano niente. Piuttosto sarebbe l’invito a pensare alla semplicità delle pizze senza fronzoli di anni fa. Ma infatti cosa è successo alla pizza romana?
Sarà stato Gabriele Bonci a farci perdere la retta via della tradizione, con le sue prime riedizioni cariche di disparati condimenti? Chi ha dato inizio all’oblio della solita amata pizza, sottraendole la leggendaria garanzia di essere sempre uguale a se stessa, così, perfetta, senza nulla da togliere e aggiungere? Che bisogno c’era di modificare l’incanto consolatorio dalla cottura a legna profumata di braci, la lievitazione giusta per le famose bolle bruciacchiate, la superficie dorata e filante di mozzarella di qualità? Ora facciamo lo slalom tra diecimila invenzioni, mille annunci di strabilianti rielaborazioni del menga, innumerevoli reboanti premi per pizzettari fanatici, ma senza l’x factor, ma noi la pizza ce l’avevamo già. Tra questi pensieri e una sbirciata alla cucina, arrivano le nostre ordinazioni, che per l’appunto, esagerano in fantasia. La marinara doppia non ha il sugo né l'aglio, pizzica di peperoncino in fiocchi. I datterini gialli sono piacevolmente turgidi, le alici sono buone e la superficie del disco è disseminata di basilico fresco. L’impasto rispetta i canoni di sottigliezza e fragranza. Ottima ma con la marinara non c'entra gnente.
La tonno e cipolla estiva è quanto di più lontano vi sia da una tradizionale, con i due ingredienti principali cotti a rilasciare i sapori insieme. Il tonno è aggiunto dopo la cottura e anche la cipolla, ci sono le olive taggiasche e la mozzarella, quella si, fila. Buone entrambe, sorprendenti, ma la deviazione dal solito non appaga come pappa e ciccia, culo e camicia, pane e Nutella, patata e salsiccia. I supplì hanno una buona panatura e il riso sa di basilico, forse pecca di un retrogusto di pomodoro crudo da correggere. La crocchetta di patate eguaglia il compare in quanto a croccantezza esterna, la sofficità del cuore è ottimale e il sapore di scamorza è predominante. Simpatiche ste’ pizze, ma non ce venite a di che sono tradizionali perché non è vero. So bone eh, per carità, e je diamo 5, insieme al locale, al servizio e 4 al prezzo. “Semo quello che magnamo”, recita il social de L’Elementare, rispettando la moda rediviva dei claim in romanesco per fare i piacioni con la gente, frasi che ormai troviamo sui bus, nei menù, sulle automobili in sharing ma sono solo parrucche. Roma da tempo ha perso il suo sapore più intimo per assestarsi in una trista via di mezzo tra un futuro che non arriva e un passato che ha dimenticato il meglio della propria verace identità. Dice che a questa città je piace sta in pace cor monno, ma sono tutti incazzati. Vabbè ma intanto co st’ “ahò ahò ahò” la pizza la pagamo quindici euro… E una Goleador in omaggio.