Roscioli Salumeria con Cucina è una boutique gastronomica nata nel 2002 che offre una ampia selezione di eccellenze italiane tra vini, formaggi e salumi dop e igp è meta di migliaia di turisti svegli e quasi off limits per la maggior parte dei cittadini romani forse per via dei prezzi o forse perché i turisti sono sempre meglio informati degli autoctoni sui posti migliori ove trovare prelibatezze tipiche, anche grazie alla Guida Michelin. Le squisitezze sono le stesse che Lollobrigida vorrebbe promuovere e rilanciare come fiore all’occhiello del Made in Italy, in scia con il nazionalismo francofono, ideologicamente vicino alla sua parentela destrorsa, considerando che il Ministro è il cognato della Meloni. Nella stradina che tutto può, perché cuore pulsante della antica Roma, a due passi dall’Area Sacra dove Giulio Cesare trovò la morte - resa in grande spolvero alla sua Città dopo cento anni di restauri - regna un solo re e il suo nome è: Roscioli. Un solo pane degno di rappresentare l’antica arte della panificazione c’è nella Capitale, ed è il suo. “Che hamburger è questo?” - Chiediamo agli chef durante le degustazioni - “Pane al sesamo di Roscioli, chianina, senape in grani, pomodoro secco, misticanza”, ci rispondono fieri, sapendo di avere una rinomata freccia al loro arco per la qualità. Ed ecco che finalmente, in una bella serata di inizio giugno, quando l’arietta della sera ed il cielo limpido invitano ad uscire a piedi in direzione di Campo de' Fiori, ci avviamo leggeri verso Piazza Argentina, salutando i mici della colonia tra i templi riemersi dagli scavi del 1926 per imboccare la viuzza di sampietrini che costeggia il perimetro dell’antico Teatro di Pompeo, con la sua struttura ancora visibile dall’alto.
Ancora due passi e varcheremo la porta di questo negozio con cucina, dove si mangia tra i clienti che acquistano delizie con la salivazione a mille. Per essere qui questa sera abbiamo prenotato con largo anticipo perché assicurarsi un tavolo è davvero una fortuna. Il locale è stretto e lungo, conserva un’aria di antica norcineria di un tempo, con un attraente bancone a sinistra che espone il fior fiore della meraviglia fatta formaggio sottoforma di spicchi, morbidi bocconcini, tagli di Zola con la goccia, freschi caprini ‘enrobé’, prosciutti dal mondo, commoventi burrate, salmoni selvaggi e tanto altro. Noi stasera assaggeremo tutto, perché ci siamo arrivati davvero incattiviti, così ci accomodiamo a un tavolino quadrato finemente apparecchiato, di fianco ad una intera parete di bottiglie di nettare pregiato. 250 tipologie di formaggi, 150 varietà di salumi, 2800 etichette di vino e una ricca selezione di conserve, salse, mostarde, sottolii, paste, oli e aceti sono il caveau di questa perla tra scadente mucillagine metropolitana. Sfogliare il menù qua dentro è come perdersi nella biblioteca di Alessandria e a meno che non siate Hervé Mons, il maitre fromager più famoso al mondo, è lecito affidarsi a qualcuno del ristorante o al proprio istinto e appozzare a mani basse, tanto è tutto buono. Noi abbiamo scelto una burrata di Andria con pepe nero della Malesia, i famosi pomodorini confit di Roscioli e salvia fritta, una spalla cruda di Palasone e uno spaghettone con burro dolce di Echiré, alici del Mar del Cantabrico e briciole di pane di segale croccanti. Prima o poi dovremo istituire una fiaccolata a favore di tutte le altre alici reiette e ignorate di tutti i mari del mondo, bullizzate dallo strapotere di quelle del Cantabrico. Cambiando visione e punto di vista potremmo obiettare che questa strage di alici del famigerato Cantabrico è propriamente una ingiusta persecuzione razzista nei confronti di questi pesci, che meritano vendetta. Effettivamente in questa pasta so davvero bone e scherzi a parte scopriamo che le succitate alici contengano un botto di omega 3 e proteine, praticamente il leitmotiv dei nostri anni e prelevate da quel mare sono più grandi e polpose.
I francesi sono in visibilio, fanno scarpetta e gli danno giù con i jambons fumés e i saumons sauvages e poi le razze autoctone italiane per i prosciutti, con il crudo di Parma ‘Riano di Langhirano 34 mesi’, ma anche il salame rosa del 1600 di Bologna o prosciutto cotto di Saint Oyen, prodotto tipico della Valle del Gran San Bernardo, cotto alla brace con legni autoctoni, miele biologico, genepi e birre artigianali, accompagnato da fontina d’alpeggio di malga al latte crudo. Quando si approccia a questo tipo di lista nobile dello scibile in fatto di formaggi e salumi ci si spalanca una voragine nella mente e nello stomaco, che ci induce a volerne sapere di più, cambiare vita e diventare esperto di prodotti caseari e insaccati nel mondo. Diventare fan di Francesco Lollobrigida qui dentro è un attimo, innamorarsi dell’Italia è ovvio, assaporando un pecorino affinato nel fieno, timo ed elicriso. Per quanto i marchi di qualità dop e igp dei nostri prodotti siano oggi più che mai nell’occhio di tutela dei vari decreti di Lollobrigida, la provenienza della materia prima da territori nostrani non sempre è assicurata. Spesso il prodotto – che sia il bestiame per i salumi o il latte per i formaggi – viene dall’estero, come nel caso dello zebù africano per fare le bresaole. Eh si, questa leggenda della Valtellina che rigurgita bresaole è tempo di sfatarla. È tempo di fare una scelta, addentrarsi nel mondo delle specialità italiane e acquistarle con consapevolezza o fregarsene e continuare a comprare prosciutti dozzinali al Carrefour, ignorando dove la bestia abbia pascolato, con chi e di che razza sia e mozzarelle della Lidl al latte in polvere dell’Est. Noi per il momento ci abbuffiamo di caciocchiato irpino 48 mesi e bitto ‘storico ribelle’, alpeggio storico Soliva, e chi s’è visto s’è visto. Da domani si vedrà. A Roscioli noi diamo 5 a tutto, il massimo per la location, prezzo - 70 euro in due - servizio e cibo con riserva, visto che siamo capitani di ventura e abbiamo veleggiato i 7 mari e burrate più soavi di questa l’abbiamo apprezzata. Ma Roscioli è comunque consigliatissimo.