Bella fraté, Massimiliano Minnocci detto “Er Brasiliano” apre un nuovo locale in zona Ponte Milvio, la roccaforte di Roma nord dove non passa un cristiano vestito da zecca comunista nemmeno se preghi, secondo le logiche di una città di gente perennemente incazzata e che ha perso ormai da un po' le sue coordinate. A Ponte Milvio ci stanno i coatti coi soldi. In borgata a Pietralata ci stanno i coatti senza ‘na lira. Ed ecco Il Coatto tatuato in faccia con i problemi con la legge e le simpatie fascistone che fa i soldi col trash, in una società che premia chi non sa fare niente a parte collezionare views su Instagram, e con una esperienza canora che ha diviso i romani tra chi loda i contenuti della hit e chi grida al tracollo dei valori culturali. Il Brasiliano attrae comunque molte simpatie che gli permettono di uscire indenne da episodi folkloristici come lo scontro con Vauro in tv, in cui i suoi modi non conformi alla norma non lo aiutarono a passare dalla parte della ragione, ma a fare comunque una discreta figura: “In borgata mia si fa quello che dico io”, precisò, dando modo ad una Fagnani in forma di rispondere nel medesimo idioma natìo “in quale film?”, supportata da Vauro che mise in scena l’exploit da cuor di leone di andargli sotto e sfidarlo, mentre Brasile sovrastandolo gli ripeteva nobile “puzzi de vino”.
Diverse assonanze c'erano per paragonare la scena allo scontro tra un bulldog e un pechinese. Ma agli occhi dei più raffinati non è sfuggito, in questo degrado totale, che da noi si risolve spesso nella triste dicotomia fascismo vs comunismo, che alla fine il più ridicolo fu Vauro in questa lotta tra titani. Brasile è figlio della borgata romana, con il risvolto della delinquenza e del soggiorno a Rebibbia, che però al posto di restare confinata nella sua dimensione, viene premiata con i soldi e il successo, le apparizioni in tv e le ospitate da Cruciani a dare esempio alle nuove generazioni. All’inaugurazione del Brazil abbiamo dato la precedenza ai fan, pochi, secondo Dagospia, che ha riportato la cosa come deludente, innescando un Brasile risentito: “Mortacci tua e de tutta la spia che fai!”. A Roma l’onestà intellettuale non esiste, perché si protegge sempre qualcuno, ma il Nostro ha il merito di peccare di trasparenza. Il giorno dopo siamo corsi a controllare la situazione li in via Riano, a un passo da Ponte Milvio.
Il locale è defilato da quella piccola sfilza di ritrovi di questa “zona in”, che attraggono la movida senza un vero perché, se la lucidità fosse appannaggio dei romani. Brilla in un angolo di lucine in mezzo alle macchine parcheggiate e ai secchi dell’Ama con la proverbiale busta di monnezza accozzata per terra. Li per lì, il nuovo posto ci appare desolato, silenzioso, na tristezza. Girando l’angolo del palazzo ci imbattiamo nella decina di tavolini di legno in fila sul marciapiedi, proprio davanti all’entrata. Il Brazil è allestito nuovo di pacca, appena scartato in tutta la sua atmosfera “sabor latino” con arredamento in stile cartoon jungla a tema carioca, con grosso tucano tra le foglie ed una grande bandiera verde oro al neon su una incannucciata che fodera i suoi quaranta metri quadri di bancone e tavolini color pitanga, immersi in una compilation “Toda joia toda beleza”. Il bodyguard potrebbe essere il nostro uomo se non fosse che non ha la faccia istoriata, ma a somijà je somija. “Ragazzi che prendete?” - Ci fa la bella ragazzetta bionda porgendoci dei menù freschi di stampa - Noi ci buttiamo su un Selecao con vodka, lime, pesto di melone e zucchero di canna e su una Anguriña, con cachacha, purea di anguria, lime, zucchero e menta, frutto del lavoro di shaker del barman, un bravo pischello che, come si dice oggi, ci fa bere bene, perché i cocktails sono buoni e li apprezziamo spizzando il filmato sul Brasile sul televisore piatto attaccato al muro, tra la bandiera e il tucano.
Siamo da soli nella jungle jungla, al di là del vetro che ci separa dalla gioventù di Roma nord tirata a lucido, che appare nei suoi vestiti alla moda per poi sparire in qualche accidenti di locale a noi ignoto. Il Brasiliano, che deve questo appellativo al fatto che da infante, in borgata, se la cavava con il pallone, pare abbia messo in chiaro teneramente che questo locale sarà all’insegna della legalità e che a una certa ha pensato a procurarsi una sicurezza economica per il futuro. Chiamalo scemo, Brasile, lui che è stato molto più saggio di tanti altri, che è preso di punta da tutti e pure dal Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che si espresse quando gli venne sequestrata la patente mentre sfrecciava ‘mbriaco all’Argentario, dicendo: “Più che influencer mi sembra un cretino e un pericolo pubblico”, augurandosi che fosse rimasto senza documento a lungo. Il nostro coatto ha chiosato lieve “Co tutti i cazzi che c'avemo in Italia tu stai a pensà a me. Pensa a fa e lavoro tuo e all'impicci che fate voi”. Vaje a da torto, mo. Lasciamo così Ponte Milvio, zona di laziali che inneggiano a Diabolik, lasciandoci alle spalle il Brasile e tutti i cocoriti, i venti euro per la bebida, lo Stadio dei Marmi e l’obelisco del Duce. La notte per noi non è affatto lunga, c’avemo un sonno che la metà basta.