“Viaggiare? Credo che abbia poco senso a meno che non si scrivano libri come Sylvain Tesson. Ogni luogo è sommerso da orde di voyeur di TikTok”. Qualche settimana fa abbiamo avuto il piacere di intervistar Lawrence Osborne. Il celebre scrittore inglese ha mostrato una certa insofferenza verso il “turismo del XXI secolo”, raccontando di andare ogni anno in Mongolia, da un suo amico proprietario un lodge nel Gobi, dove può “andare a cavallo e campeggiare all'aperto senza nessuno”. Il famigerato turismo di massa, e cioè quel particolare tipo di turismo – probabilmente il 90% del turismo - alimentato dal “viaggiare per moda” e non dal reale interesse nel visitare luoghi o a conoscere le loro storie – è ormai diventata più croce che non delizia di Paesi, governi e popolazioni. Se, da un lato, l'ininterrotto flusso di viaggiatori famelici consente a certe città di tenere in vita un sistema economico altrimenti impensabile, dall'altro questo meccanismo perverso divora quelli stessi luoghi. Li rende banali, senz’anima, vuoti. Semplici oggetti da fotografare e collezionare sugli smartphone, e quindi sui social network, di mandrie di turisti sempre meno viaggiatori. Tra business e perdita di senso del viaggio, la bilancia pende tuttavia verso il lato economico dell'intera faccenda. Già, perché i voli low cost hanno democratizzato il turismo, trasformando l'arte del viaggio - una volta appannaggio di pochi - in un hobby amatoriale, accessibile a chiunque. Di pari passo, l'intero fenomeno ha portato introiti da capogiro nelle tasche dei governi, delle compagnie aree, delle grandi catene alberghiere e dei sempre più numerosi host di case in affitto (e delle piattaforme online che ospitano le loro offerte). Attenzione però, perché questa apparente gallina dalle uova d'oro sta rapidamente assumendo le forme di un corvo nero pronto a cibarsi delle carcasse degli “sconfitti dal turismo” (leggi: popoli, arte, cultura).
L'Europa alza bandiera bianca
L'ultima protesta contro il demone del turismo di massa è arrivata dalla Spagna. Nei giorni scorsi migliaia di persone hanno protestato a Tenerife, chiedendo che l'isola limiti temporaneamente gli arrivi di turisti per arginare il boom di affitti per vacanze a breve termine e la costruzione di hotel che sta facendo lievitare i costi degli alloggi per gli abitanti del posto. I manifestanti hanno affermato che è necessario apportare modifiche all'industria del turismo, che rappresenta il 35% del prodotto interno lordo dell'arcipelago delle Canarie, che appare tuttavia sempre meno capace di gestire l'Overtourism. L'arcipelago, che conta 2,2 milioni di cittadini, nel 2023 è stato visitato da quasi 14 milioni di turisti stranieri, con un aumento del 13% rispetto all'anno precedente. Un progetto di legge, che dovrebbe essere approvato quest'anno e che inasprisce le regole sugli affitti brevi, fa seguito alle lamentele dei residenti che, di fatto, sono stati esclusi dal mercato immobiliare. “Stiamo progettando di chiudere Plaza de España e di far pagare ai turisti il finanziamento della sua conservazione e la sua sicurezza”, ha scritto su X il sindaco di Siviglia, José Luis Sanz, pubblicando un video che mostra piastrelle mancanti e facciate danneggiate.
Il caso dell'Italia
L'Italia ha già attuato una mossa simile. A Venezia, a partire dallo scorso 25 aprile e nelle giornate più critiche (in concomitanza con festività e ponti) da qui a luglio, il Comune imporrà una tariffa di cinque euro a persona per l’ingresso nella città antica. Da Praga a Barcellona, da Amsterdam ad Atene, il turismo di massa, promosso dai Comuni affamati di soldi dopo la crisi del 2008 e alimentato da voli economici e affitti di camere online, è ormai diventato un mostro. E ha scatenato una corsa all'attuazione di metodi – contributi di accesso a luoghi e città, time slots per visite di gruppo, limitazioni - per renderlo quanto meno sostenibile. Parigi, ad esempio, ha quasi triplicato le aliquote della tassa di soggiorno, passando da 0,25 a 5 euro a 0,65 a14,95 euro, a seconda della zona e del tipo di alloggio. In Francia, del resto, l’80% delle visite turistiche è concentrato in appena il 20% del Paese. È ancora peggio in Italia, dove il 70% dei turisti stranieri si riversa nell’1% del territorio. A Firenze, altro caso emblematico di una situazione fuori controllo, i 720mila abitanti del capoluogo fiorentino si scontrano annualmente con il peso dei 16milioni di pernottamenti registrati da affittacamere e privati.
Il caso dei casi: il Giappone travolto dall'Overtourism
Il caso dei casi chiama però in causa il Giappone. Qui, a marzo, i visitatori mensili hanno superato la soglia dei tre milioni per la prima volta nella storia. Il turismo, a Tokyo e dintorni, è in piena espansione da quando sono state abolite le restrizioni alle frontiere imposte dalla pandemia e da quando il governo ha lavorato duramente per incrementare il numero di visitatori. Il fenomeno sembrerebbe però adesso esser sfuggito di mano. A Kyoto, i residenti si sono lamentati dei turisti che molestavano le geishe della città. Risultato: vietato l'accesso ai piccoli vicoli privati che attiravano l'interesse di folle eccitate. Quest'estate, giusto per fare un altro esempio, gli escursionisti che vorranno utilizzare il percorso più popolare per scalare il Monte Fuji dovranno pagare 13 dollari a testa per ridurre la congestione di visitatori. La città di Fujikawaguchiko, nella prefettura di Yamanashi, ha invece deciso di costruire un'enorme barriera (alta 2,5 metri e lunga 20, come un campo da cricket) per bloccare, almeno in parte, la vista del citato Monte Fuji, in modo tale da limitare il numero di turisti – spesso irrispettosi e confusionari - attratti dal sito panoramico presente in loco. La crociata contro il turismo di massa è appena iniziata.