Valerio Visintin era stato al Vibe, il ristorante di Edoardo Maggiori e Valerio Braschi, ma la recensione (uscita sul Corriere della Sera) non era stata positiva: locale arredato in modo “frettoloso” e come uno “stand fieristico”, prezzi inaccettabili (soprattutto prima di aver ottenuto qualche riconoscimento), e un menù a volte prevedibile, a volte semplicemente insufficiente. Ora Valerio Braschi lascia il Vibe, ristorante che potrebbe aver risentito anche dei problemi di uno dei soci, Maggiori, finito su Le Iene con Filetteria Italiana, la catena che prometteva carne di struzzo e ti vendeva semplicissima carne di agnello. L’ex vincitore di Masterchef, quindi, si sposterà, e stavolta tenta la carta del ristorante in Galleria Vittorio Emanuele II, di fronte al Duomo, dove troverà già Carlo Cracco e i fratelli Capitaneo. Un cambiamento che comporterà anche delle trasformazioni nel menù e nel carattere dello chef? E i costi come verranno sostenuti? Lo abbiamo chiesto proprio a Valerio Visintin, che spera in una cucina “meno infantile” e dà un consiglio a Braschi per avere successo.
Valerio Braschi apre il suo nuovo ristorante in galleria Vittorio Emanuele. Lei aveva già qualche riserva sulla tenuta del locale di un Cracco. Cosa ne pensa?
Dunque, rispetto a Cracco la differenza è che dietro a questa iniziativa c’è un gruppo molto forte, Glamour Group. Quindi il proprietario non sarebbe lo chef. Non essendo il proprietario, sarà più tutelato, anche perché di questo gruppo fanno parte tantissimi ristoranti e alberghi, è molto solido e può anche avere la possibilità di scommettere su un giovane come Braschi. Non era così nell’altro ristorante, parlo di Vibe, dove il socio era Edoardo Maggiori, che era stato smascherato da Le Iene perché diceva di servire carne di animali esotici, come lo struzzo, e invece era carne di agnello. Venne anche ripreso un’altra volta sempre da Le Iene mentre cercava di vendere a una signora un locale che non era di sua proprietà. Non proprio il miglior socio, ecco. Stavolta Braschi avrà sicuramente alle spalle una struttura più solida.
Pochi mesi fa anche Max Mariola ha aperto un ristorante a Milano. Oggi è la città migliore in cui avviare un’attività nel settore della ristorazione?
No, ci sono troppi locali, moltissimi falliscono o vengono spazzati dalle rivoluzioni urbanistiche, spesso sostenute da fondi di cui non conosciamo esattamente i connotati. Tanti ristoranti chiudono e tanti aprono, quindi hanno una prospettiva tendenzialmente brevissima, cinque anni al massimo (anche se non lo auguro a Mariola ovviamente). Però è già una città satura.
Per altro con costi enormi.
Sì, anche in aumento ora. Penso agli affitti. Poi c’è anche una facilità al disamoramento dei milanesi. Anche strutture che avevano aperto sulla scorta di un successo social, per esempio su TikTok, ora sono meno frequentati e non dovremmo stupirci se magari fra qualche mese chiudessero.
Braschi lavora molto anche lato social in effetti. Quanto è importante oggi essere, in un certo senso, un “food influencer”, per poter avere successo in questo campo?
Mah, certamente è utile all’inizio, ma poi devi cavartela da solo. Adesso non ho dati e lui mi smentirebbe, ma la volta che sono andato io nel suo locale [il Vibe, ndr] non c’era quasi nessuno in sala. Perché poi i clienti hanno anche esigenze diverse rispetto a ciò che offriva Braschi. In questa nuova struttura, non essendo lui la cassa, sarà più protetto e forse anche più orientato verso una cucina più ragionata e un po’ meno infantile. Magari dei piatti sbarazzini ci saranno ancora, ma poi nel menù ci saranno sicuramente preparazioni e ricette più concrete.
Ora la clientela sarà anche più turistica.
Certamente, i turisti gli chiederanno soprattutto cose italiane. Mentre il francobollo del pesce che viene dall’Australia glielo tiran dietro. A pensarci lo avranno fatto anche molti milanesi. Al Vibe aveva questo pesce australiano, in barba alla sostenibilità ambientale, del quale serviva un francobollo a un prezzo altissimo. Ecco, quelle cose lì il turista non le vuole neanche vedere. Questo potrebbe aiutarlo in un processo di crescita che si è interrotto a causa dell’eccessiva esposizione sui social. Ho sempre avuto l’impressione, vedendo come ha condotto il suo vecchio locale e vedendo ciò che preparava, che la troppa sicurezza che aveva ha fatto sì che si bloccasse nel suo percorso di maturazione, mentre una delle chiavi del successo è mettersi in discussione. Se invece ti metti in vetrina non riesci a essere davvero consapevole.
“Mi ci sono voluti quattro anni per dipingere come Raffaello, ma una vita intera per dipingere come un bambino”, frase solitamente attribuita a Picasso. Non crede che a volte tutte queste sofisticazioni nascondano una mancanza di preparazione su ricette più tozze, con una storia, che hanno comunque delle regole da rispettare?
Spesso è proprio così, anche se non credo sia il caso di Braschi, che mi sembra molto preparato. Il problema è considerare la cucina un’arte e quindi vedere la missione di cuoco come un impegno artistico svincolato da qualsiasi obbligo nei confronti del cliente, allora vengono fuori dei pasticci. Non è che non sia consentita una vena creativa e anche giocosa, ludica, nella ristorazione. Però se vogliamo ammettere che la cucina è un’arte, cosa su cui potremmo comunque discutere, dobbiamo aggiungere che resta un’arte funzionale, come l’architettura per esempio. Per cui non puoi costruire una casa inabitabile, che crolla il giorno dopo. Molto spesso gli chef se ne fregano di questi elementi, fanno cucina astratta, a prezzi tra l’altro altissimi, dimenticando che il ristorante è un esercizio commerciale e deve rispettare dei parametri economici, e con questo il cliente. Se crei e basta perché sei una star, non avrai una grande strada di fronte a te.
Se dovesse consigliare un piatto da inserire nel nuovo menù di Valerio Braschi, per fare davvero la differenza in una zona come il Duomo, quale sarebbe?
Ah, non saprei. Anche perché fanno tutti le stesse cose, metà cucina milanese e metà cucina romana (ormai trovi i piatti della Capitale anche in Trentino, ovunque). Quindi non so. In più non do mai consigli agli chef, mi limito semmai a giudicare il loro lavoro. L’unico consiglio che potrei dare è di tener conto del cliente, che va sempre tutelato e coccolato. Una cosa che non mi sembra accadesse da Vibe. Stiamo anche parlando di un ragazzo giovanissimo che avrà davanti a sé tantissime esperienze e magari la possibilità di diventare, perché no, un bravissimo cuoco.