“Un pilota che dice che non gliene frega niente di arrivare davanti agli altri piloti è un pilota bugiardo”. Michele Pirro è a caccia dell’undicesimo titolo nel Campionato Italiano Velocità e racconta che la fame è la stessa di sempre, anche se adesso a essere differente è il modo di gestire quella fame e una sfida che nel frattempo è diventata doppia. “Ho quasi quaranta anni – aggiunge nella chiacchierata concessa a MOW a margine della presentazione del Dunlop CIV 2025 – quindi è chiaro che, fermo restando che voglio battere gli avversari, ora sento che il primo avversario di me stesso sono io e che l’obiettivo che voglio centrare prima di quello è grosso è riuscire a migliorare o anche solo mantenere le performance dell’anno precedente. La sfida è quella”.

Messa così viene da pensare che quella sia anche la chiave per avere ancora motivazione dopo aver vinto ben dieci titoli e aver calcato i palcoscenici più importanti del mondo in sella a una motocicletta…
Probabilmente sì. La vita cambia, si cresce e si diventa grandi. Leggevo qualche tempo fa di Valentino Rossi che raccontava che ora si alza presto e prepara il biberon per le figlie e oggi anche le mie mattinate cominciano così. Sono sempre Michele Pirro, ma sono anche un papà, un marito, uno che prova a fare cose con Garage51 e che si lancia in sfide nuove con Ducati come quelle di cui abbiamo parlato qui sul ritorno del marchio al campionato amatoriale e i progetti per la nascita di un incubatore per giovani piloti da crescere con il dna di Ducati. Insomma dai, si è piloti per sempre, ma poi si diventa anche tanto altro. Però quando metto il casco e abbasso la visiera sono lo stesso Michele che sognava di diventare un pilota da bambino, la testa è ancora quella lì a visiera abbassata e questo fa in modo che io non mi chieda se smettere e andare avanti. Quando non sentirò più quel brivido lì del momento in cui abbasso la visiera, allora sarà anche il giorno in cui valuterò davvero di smettere.
Però qualcosa sarà cambiato. No?
E’ cambiato il corpo. Nel senso che prima tutto passava più in fretta. Adesso la stanchezza, gli infortuni o anche una semplice caduta te li tiri dietro più a lungo. Qualche tempo fa ho avuto un problema al tendine e mi lamentavo con il dottore. E’ stato un momento divertente perché lui mi ha guardato e poi, con aria serafica, mi fa: Michele, te lo ricordi il tuo anno di nascita? E ti sei mai chiesto come mai gli sportivi hanno una carriera che inizia e poi finisce intorno a una età che tu hai già superato?
E’ stato un modo carino per suggerirti che devi cominciare a pensarci?
No, non credo. O comunque io non l’ho interpretata così. Credo sia stato, piuttosto, un modo per dirmi che è normale che tutto pesa un po’ di più e che ciò che prima ‘passava’ in quarantotto ore adesso ‘passa’ più lentamente.

In una intervista proprio a MOW di qualche giorno fa, Danilo Petrucci ha detto che quando si è un po’ avanti con gli anni bisogna paradossalmente lavorare il doppio…
E’ una santa verità. Se io mi allenassi come mi allenavo a vent’anni altro che caccia all’undicesimo titolo, probabilmente non riuscirei a finire il quarto giro della prima gara. Devi fare più attenzione a tutto, dedicare più tempo a allenamenti e fisioterapia. Ma correre, confrontarmi, insomma fare il pilota, è il sogno di tutta la mia vita e anche quel lavoro doppio che c’è da fare mi da in verità un gran gusto. Sarò al via del prossimo CIV con la stessa testa di quando mi sono presentato al via del primo e con un unico obiettivo: vincere. E non mi importa se ne ho già vinti altri dieci.
A proposito di età: un altro dei “vecchietti terribili” di Ducati è Andrea Iannone…
Siamo in parecchi sopra i trenta. E, a proposito di Andrea, sono molto contento per quello che sta riuscendo a fare e per questa sua seconda carriera. Un’ingiustizia l’ha tenuto fuori dalle corse per quattro anni e se da un lato è vero che questo ha fatto sì che il suo corpo si preservasse un po’ di più rispetto al corpo di chi, invece, ha corso in quei quattro anni, dall’altro c’è da dire che non era così scontato che trovasse la capacità di tornare con questa voglia, questa fame e questa velocità. Il talento non si discute, ma credo che il merito di averci messo sopra un gran lavoro sia per la testa che per il fisico, tenendo duro per quattro lunghissimi anni stando lontano da ciò che ami di più al mondo, valga tantissimo anche sul piano umano. E’ una storia bella quella di Andrea.
Visto che siamo in argomento Superbike, è una Ducati Cup o no?
Mettiamola così: Toprak con quell’uscita è stato un po’ precipitoso con la sua sentenza. Mi sembra che già a Portimao si siano visti equilibri diversi e quindi non mi spiego molto quella uscita lì. Forse era particolarmente nervoso, forse è stata una mossa mediatica. Non lo so, ma non sto neanche tanto a chiedermi. Quello che so è che Ducati ha una gran moto e una gran squadra e che è nelle condizioni di poter competere. Significa che ci sono tutte le premesse per tornare ad avere il numero uno nel box. L’anno scorso non era così, ma nessuno s’è sognato di dire che era una BMW Cup.
In questo momento vedi più nella famosa “bolla magica” Nicolò Bulega o Marc Marquez?
Ti direi entrambi alla pari, visto che Nicolò in Australia è stato impressionante e idem lo è stato Marc Marquez in questi primi due fine settimana della MotoGP. Però se ci penso un secondo di più mi viene quasi da dirti che forse Bulega ha un vantaggio in meno. Marc può controllare, anche se questo non è il termine corretto e rischia di prestarsi a interpretazioni sbagliate, i suoi avversari visto che ad ora i suoi rivali guidano tutti una Ducati, mentre per Bulega non è così, perché gli altri sì, ma Toprak non ha una Ducati e quindi può solo “controllarlo” sulla base delle sensazioni, non certo studiandone i dati.
Hai introdotto da solo l’immancabile domanda su Marc Marquez, quindi non serve neanche farla e andiamo a briglia sciolta sul 93…
Ti racconto un aneddoto. La prima volta che ci ho parlato nel ruolo lui di pilota Ducati, quindi non quest’anno, e io di collaudatore Ducati, ho avuto la sensazione che mi prendesse in giro. Continuava a ripetere che era tutto bello, tutto perfetto. Pensavo fosse un atteggiamento e non capivo, perché i piloti trovano sempre qualcosa che non va o da voler migliorare, poi ho realizzato una cosa: Marc Marquez è stato il primo pilota a arrivare in Ducati da una moto peggiore. Mi sono sentito orgoglioso, perché se Ducati oggi è la migliore moto il merito è un po’ anche mio. Al di là di questo, comunque, lì ho anche capito che non mi stava prendendo in giro, non voleva fare una buona impressione o una qualche strana strategia, ma era proprio contento e basta. In tanti anni da collaudatore Ducati mi sono sempre confrontato con piloti che arrivavano nel nostro box provenendo da moto che erano migliori o più vincenti della nostra, o comunque con piloti che arrivavano già da Ducati e che quindi conoscevano più o meno già la Desmosedici, quindi trovarne uno subito così entusiasta che continuava a ripetere che era tutto perfetto è stata una novità per me. Una novità e una soddisfazione.
Lo ha detto anche all’inizio di questa stagione da ufficiale Ducati?
Non credo che Marc Marquez sia uno che si accontenta, penso, piuttosto, che davvero la nostra moto è a un livello che rasenta la perfezione.
I risultati sembrano dire questo, ma che differenze ci sono, concretamente, tra la Desmosedici di Marquez, Bagnaia e Di Giannantonio e quella di Morbidelli, Alex Marquez e Aldeguer?
I risultati dicono che Ducati è incredibile, confermo. Cinque moto davanti a tutti in Argentina è qualcosa di speciale. Quanto alle differenze posso dire che sono veramente poche e minime. Sono sostanzialmente moto uguali a parte qualche piccolissimo dettaglio o accorgimento.
Ti ha sorpreso di più la partenza a cannone di Marc Marquez o quella un po’ più in sordina di Pecco Bagnaia?
Se parliamo di sorpresa ti rispondo con un terzo nome: Alex Marquez. Non me lo aspettavo subito lassù, con questa velocità e questo piglio. Complimenti a lui e al Team Gresini. Quanto a Bagnaia la sorpresa per me sta più in chi chiama la sua “una partenza in sordina”, perché significa non rendersi conto che ha fatto tre terzi e un quarto posto su piste che non sono state mai le sue preferite e in una fase della stagione in cui Pecco non è mai stato stratosferico. Aspettiamo il Qatar e poi il ritorno in Europa, perché sappiamo di cosa è capace Bagnaia: ha vinto tre mondiali, di cui due di fila in MotoGP e giocandosene altri due all’ultima gara, vincendo in quello del 2024 ben undici GP, quindi più della metà di quelli previsti da tutto il calendario.
Quindi Marc Marquez o chiunque altro dall’altra parte del box sarebbe stato lo stesso?
Non dico questo e ci prendiamo in giro se diciamo che Marc Marquez non è il più scomodo dei compagni di squadra. Però possiamo dire pure che Pecco Bagnaia, per il carattere che ha oltre che per il talento che ha e la velocità di cui è capace, è quello che può soffrire di meno un compagno di squadra come Marquez. Sono sicuro che vedremo delle gran bagarre e alla fine quello che conta è che il titolo torni in Ducati.
Nessun rammarico per Jorge Martin?
Per Jorge Martin, prima di tutto, c’è un gran dispiacere per quello che gli è successo all’inizio di questa stagione: è stato veramente sfortunato. Spero di rivederlo presto in pista per lui e un po’ anche per noi di Ducati, anche per capire di più sull’Aprilia. Quanto al fatto che non sia più con noi c’è poco da dire, se non che c’era da fare una scelta. E si è tenuto inevitabilmente conto anche dell’appeal mediatico che ha Marquez pure fuori dall’Europa e del fatto che ha otto mondiali. Poi sì, non è più giovanissimo, ma mi sembra evidente che qualche anno di gas pieno nel polso destro ce l’ha ancora. C’è da dire pure che non è costato cifre astronomiche e, anzi, lui stesso ha sempre detto di volere la Ducati al di là dell’ingaggio. Tutto questo ha determinato una scelta che però mi pare si stia rivelando giusta, no? L’abbiamo sempre avuto come avversario e oggi averlo con noi è un gran piacere anche per me. Ha una fame contagiosa.
Ma non potrai confrontartici in pista…
Purtroppo no. Mi sarebbe piaciuto continuare a fare delle wild card, ma il regolamento non ce lo permette e anche se mi dispiace ho ormai metabolizzato questa cosa. Non mi auguro, quindi, di confrontarmi con Marc e gli altri in pista in MotoGP perché se dovesse accadere significherebbe aver avuto bisogno di una sostituzione e quindi che qualcuno dei nostri piloti ha avuto un problema che ne ha determinato l’assenza.
L’ultima: sulla nuova Desmosedici del 2027, che ora sappiamo sarà gommata Pirelli, puoi anticiparci niente?
Solo che stiamo lavorando e che sarà un’altra bella sfida di cui sono orgoglioso. Ho attraversato diverse ere della MotoGP e sono più che contento di esserci anche in questa nuova pagina che si volta. Il progetto è avviato, ma non voglio e non posso dire di più. Quanto a Pirelli, invece, sono proprio curioso. Qualche tempo fa scherzavo con Giorgio Barbier e gli dicevo che mi sarebbe piaciuto, dopo aver guidato le MotoGP gommate da tutti i principali produttori mondiali, anche provarne una gommata Pirelli. E’ successo davvero e sono contento.
