Lo avevamo scritto ed eravamo stati criticati: già durante la gara contro Hanfmann al primo turno a Halle non aveva giocato come ci aveva abituati. Ma il problema non sta tanto nel gioco, nel terreno, tutti cofattori che possiamo e dobbiamo prendere in considerazione. Qui il punto, ciò che va analizzato, è la ricaduta mentale che certi eventi hanno: due finali perse contro il tuo diretto avversario, Carlos Alcaraz, non si dimenticano in fretta. E oggi, contro Bublik, ne abbiamo avuto la prova. Sì, un avversario fastidioso, ma Jannik quando è in forma non teme nessuno. Guardiamo le cose come stanno: a Roma era tornato sapendo di avere tanto da guadagnare, ma anche il peso di dover dimostrare. Sapeva che aveva tutta Italia e soprattutto il mondo del tennis dalla sua parte. Perde in finale, ma fin lì è tutto normale, perché è il primo torneo dopo tre mesi di stop. Dopo ha fatto un Roland Garros apparentemente perfetto, eppure non ha retto alla seconda sconfitta in finale in meno di tre settimane contro Alcaraz.

Quasi tutti avevano sottovalutato la potenza devastante che potesse avere un evento del genere, anche se le parole del suo coach Darren Cahill erano inequivocabili. Perché Sinner può anche non aver avuto lo stop fisico, come spesso accade quando si è infortunati. Ma l’impatto che hanno l’assenza dal campo e l’incapacità di competere sul nostro cervello, pur avendo il fisico perfettamente apposto, è devastante. E ti devasta soprattutto se sai perfettamente che stai pagando un prezzo che non avresti dovuto pagare. Allora lì Sinner si è trovato davanti alla resa dei conti con sé stesso e contro il suo diretto avversario. Un avversario che non aveva minimamente brillato durante tutta la sua assenza, ma che si è caricato proprio davanti al numero uno al mondo. Non c’è preparazione atletica che tenga. Nulla di tutto ciò conta nel momento in cui le tue sinapsi decidono di non comunicare tra di loro. Nel momento in cui la dopamina scarseggia il primo a risentirne è il corpo, anche se perfetto. E lì il calo di autostima prevale sulla potenza del braccio, sulla posizione delle gambe, sulla straordinaria elasticità a cui lui ha abituato. Forse questo è il momento di capire una volta per tutte che dare giudizi affrettati è quanto di più dannoso ci sia in primis per l’atleta, che riconoscere i limiti non è uno sgarbo, ma la più alta forma di protezione. Che pompare all’inverosimile qualcuno non vuol dire fare il suo bene. Oggi noi, nel nostro piccolo, dicendo che Sinner ha bisogno di ricaricare quel chilo e quattro di materia grigia, il cervello, stiamo facendo la migliore operazione per un giocatore che amiamo, stimiamo e che vogliamo torni a essere invincibile. E sì, testa a Wimbledon.