Braccia che stringono, braccia che esultano. Viene da dirlo guardando il podio del GP di Barcellona, con Alex Marquez, Marc Marquez e Enea Bastianini, e poi spostando lo sguardo appena di fronte fino a incontrare gli occhialoni tattici di Nadia Padovani, la mamma da corsa che li ha fatti rinascere tutti e tre. E se poi si pensa alla Sprint e al terzo posto di Fabio Di Giannantonio, allora sì, diventa assolutamente legittimo dire che a Barcellona non abbiamo visto un podio, ma un Nadio. Sì, è lei che li ha accolti, è lei che li ha rilanciati, è lei, Nadia Padovani, maestra di metabolizzazione del dolore, il nome che accomuna Alex Marquez, Marc Marquez, Enea Bastiani e pure Fabio Di Giannantonio. Sono stati e sono i suoi piloti, figli accolti dentro una famiglia che ha portato avanti un sogno e dove i sogni, anche quelli ambiziosi davvero, sono qualcosa di molto serio. E per cui vale la pena lavorare.

La chiave? Ce l’ha Nadia, ma dovrebbe metterne a disposizione del mondo una copia, non solo per le corse. Creare ambienti che generano risultati importanti non è questione di sola affettività: è un’arte sottile. E’ cura, disciplina e visione. E’ esercizio materno anche inseguendo la massima performance e, inutile fare finta di niente, anche un qualche profitto, visto che in un certo mondo ci si sta solo sapendo di non rimetterci. Alex, Marc, Enea o anche Fabio il giorno prima a Barcellona hanno vinto, probabilmente grazie a chi ha saputo proteggere senza soffocare, stabilendo aspettative chiare. Promesse che, poi, quegli stessi ragazzi hanno saputo mantenere anche quando il box da cui partire per correre e in cui tornare per la festa è diventato un altro. Il tono rassicurante di una parola, la pazienza nel correggere un errore, la capacità di celebrare piccoli progressi diventano mattoni di una cultura vincente. Con il risultato che non è più mera somma di competenze tecniche e talento, ma moltiplicazione di legami umani.

Qualcuno scomoderebbe la solita, abusatissima, empatia. Ma sarebbe come non voler vedere tutto il resto, mentre quelle braccia che prima hanno stretto hanno potuto, adesso, alzarsi verso il cielo per esultare. Magari riparando gli occhi dietro un grosso paio di occhiali scuri per non dare a vedere che anche tutta quella umanità, ogni tanto, cede all’emozione. Un’emozione che è allo stesso tempo ricordo di un dolore e fierezza di come quel dolore sia diventata benzina potente, benzina che fa andare più forte anche chi forte sembrava non saperci andare più, come Alex o Marc Marquez, o quelli che, invece, erano considerati bravini ma non abbastanza, come Bastianini o Di Giannantonio. Sì, guardando quel podio verrebbe, anzi si dovrebbe, dire: grazie Nadia, così si forgiano uomini capaci. Competere, meritare, trasformare. Innovare e crescere, ma insieme.
Maternità, quindi, intesa come metafora di leadership, protezione temperata dalla sfida, accoglienza sostenuta da responsabilità. Con la cura che diventa metodologia: norme chiare, ruoli definiti, feedback costante. Tutto quello che succede, insomma, nel Team Gresini sin da quando c’è, soprattutto da quando è tutto azzurro. “La Citterea – scriveva Virgilio millenni fa - cercò l’abbraccio del figlio”; ecco, l’immagine classica dell’abbraccio sintetizza la doppia energia necessaria a ogni leader che vuole essere madre e viceversa: proteggere e insieme consegnare il mondo, dentro una fisionomia umana e misurata, affinché chi cresce sappia poi volare con autonomia. Come Alex anche se è ancora lì e probabilmente ci resterà per sempre, come Marc, che da lì è passato per essere ancora leggenda, come Enea e Fabio che lì, dentro quel box che ha il nome di una famiglia, hanno imparato l’arte di rinascere anche quando intorno c’è sfiducia o è tutto nero.
