C’è una lezione che Carlos Alcaraz mette subito in chiaro, nei primi fotogrammi della docuserie Netflix “Carlos Alcaraz: My Way”: per provare a essere il più grande di tutti, forse bisogna anche sapersi concedere il lusso di essere umano. Dimenticate la narrativa del tennista-robot, costretto nel suo monastero di sacrifici. Il dietro le quinte racconta un’altra storia, quella di un ragazzo che ogni tanto deve proprio mollare gli ormeggi, nonostante il mondo intero lo vorrebbe già monumento. Tutto parte dalla semifinale di Parigi 2023, quella persa contro Djokovic, un crac più mentale che fisico: “Ho avuto i crampi, ero distrutto, sentivo la pressione addosso”, ricorda. E lì la cura, per una volta, non è il lavoro ma la fuga: Ibiza, tre giorni “a reventar”, come dice lui stesso nel documentario. “A Ibiza, non ti mento, è tutta una questione di far festa. Volevo solo scatenarmi. Ho dato tutto perché sapevo che forse non avrei più avuto altri tre giorni così.”

Il suo agente Albert Molina lo sconsiglia: “Ho cercato di spiegargli che forse non era la migliore idea andare a Ibiza per tre o quattro giorni di vacanza quando aveva Queen’s e Wimbledon dietro l’angolo”. Ma Carlos tira dritto. Al ritorno, incastra i pezzi e conquista Queen’s e poi Wimbledon. “Non dico che ho vinto per le feste, ma quei giorni mi hanno fatto bene. Se va tutto bene, perché non rifarlo?”. Così nasce il rito: “Quest’anno l’ho rifatto”, svela Alcaraz, ma stavolta la magia non si ripete e a Queen’s viene eliminato da Jack Draper. Il preparatore Juanjo Moreno lo gela: “Non è il momento. Stai pensando solo all’oggi e non al tuo futuro.” Lui prende atto ma non si piega: “Vogliono proteggermi, ma sto crescendo. Voglio prendere le mie decisioni”. Il coach Ferrero invece mette il punto: “Se vai a Ibiza per sei giorni ed esci tutte le notti, quando torni non hai riposato. Le disconnessioni vanno bene, ma una parte della testa deve ricordarsi che sei un tennista. E se perdi al Queen’s, tutti diranno che avresti dovuto allenarti”.

Nel documentario però emerge il vero plot twist: senza Sinner, la storia si fa meno avvincente. Perché quando c’è Jannik in giro, l’asticella si alza per entrambi, la rivalità diventa carburante e, dentro e fuori dal campo, si percepisce il livello delle vere dinastie. “Io e Carlos, abbiamo una grande rivalità. Quando giochiamo c’è sempre un’attenzione in più. Se lui vince, le mie sessioni di allenamento si fanno più intense”, confessa Sinner. E Alcaraz risponde che “lui è il più difficile da affrontare. Mi motiva, mi spinge a essere migliore”. Nel 2024 si sono incontrati tre volte, compreso uno scontro epocale al Roland Garros, dove entrambi finiscono a crampi. La stagione 2024, scandagliata dalla serie, è la radiografia di un Alcaraz che vuole tutto: tennis, adrenalina, e la possibilità di sbagliare. Non sempre tutto fila liscio, e anche le telecamere (racconta) all’inizio pesano: “Era strano essere seguito ovunque, ma poi ci ho fatto l’abitudine. Anche la mia famiglia si è adattata, tutto è andato liscio”. Poi l’autoritratto sincero: “Non mi prendo cura di me stesso quanto dovrei, forse godo troppo la vita. Ma voglio farlo a modo mio”. E il dubbio lo lancia proprio Ferrero: “Ha un modo diverso di intendere il lavoro e il sacrificio. Così diverso da Djokovic che a volte mi fa dubitare che possa davvero essere il migliore della storia”.