Imane Khelif ha vinto l’oro nella boxe femminile alle Olimpiadi di Parigi 2024. Era il 9 agosto. Questa è la certezza. Meno sicuri, invece, sono per molti i giorni precedenti e i mesi successivi a quella data. Per una parte di opinione pubblica le richieste di dimostrare il proprio sesso sono illegittime. Il Cio ha delle regole chiare e questa vanno rispettate. Dall’altra parte c’è chi ha spinto per raggiungere conclusioni diverse, chiedendo agli organismi internazionali nuovi test sull’atleta algerina e la loro resa pubblica. In Italia, poi, la questione è ancora più sentita: l’incontro con Angela Carini e le sue lacrime dopo il ritiro sono stati tra i momenti più discussi dell’ultima manifestazione olimpica. Le reazioni sono state pesanti (e spesso sguaiate) come quelle di Donald Trump ed Elon Musk. Ora, prima della Eindhoven Box Cup, Imane Khelif si è rifiutata di svolgere i test genetici richiesti dalla federazione World Boxing. Nei giorni scorsi è anche circolato un referto che riguarda proprio l’oro olimpico e il suo sesso biologico. Il quotidiano francese Le Point ha pubblicato un articolo durissimo a questo proposito.

“Una chiave di lettura forse utile per capire il caso di Imane Khelif: il trionfo di un’immagine – quella di una giovane pugile meritevole, combattiva – sulla fermezza dei fatti. L’emozione che prevale sulla misura, sul buonsenso. Una vicenda che non è solo una controversia medica, né semplicemente una disputa da spogliatoio. È un caso esemplare di un mondo in cui l’impazienza del cuore si è trasformata in tirannia”. Il riferimento è, appunto, al test e al risultato che renderebbe Khelif “un profilo incompatibile con la categoria femminile”. E il quotidiano cita anche Angela Carini: “Perché tante pugili – come Angela Carini, 26 anni, ai Giochi di Parigi – devono ingoiare le lacrime, bollate come “cattive perdenti”? Perché la realtà oggi non si può più dire: è diventata proibita”.
