Novak Djokovic non è più lo stesso. La sconfitta all’esordio a Indian Wells contro Botic van de Zandschulp non è solo un brutto passo falso, ma l’ennesimo segnale di un declino che ormai non può più essere ignorato. Due uscite di scena all’esordio negli ultimi tre tornei, una sola vittoria dal trionfo agli Australian Open, un killer instinct evaporato. L’ombra del passato si allunga su di lui, mentre il presente si fa sempre più amaro. E il problema, come ha sottolineato Paolo Bertolucci su La Gazzetta dello Sport, non è la preparazione: Djokovic continua ad allenarsi con la meticolosità di sempre, ha persino scelto Andy Murray per cercare nuovi stimoli, ma in partita non trova risposte. “La palla non ha più la stessa rapidità e cade più corta al di là della rete, i movimenti sono più lenti, il proverbiale killer instinct è evaporato e durante gli scambi si moltiplicano gli errori gratuiti”. Insomma, il Djokovic inossidabile, quello che incuteva timore solo a guardarlo dall’altra parte della rete, non esiste più. E ora i rivali non lo temono più come prima, consapevoli che il fuoriclasse serbo non è più un muro invalicabile.

Il tema più delicato è proprio questo: Djokovic ha ancora nelle corde qualche lampo di classe, ma può garantirsi la continuità necessaria per vincere? A Melbourne, contro Alcaraz, ha mostrato il suo miglior tennis, ma il problema è un altro: può ancora reggere un torneo intero? Per Bertolucci il dubbio è legittimo: "La domanda è se a queste prestazioni potrà dare continuità o se invece si tratterà di imprese estemporanee, spalmate su un turno o due ma non su tutto il torneo". Il Djokovic versione maratoneta, quello capace di inanellare cinque ore di scambi senza calare di intensità, sta lasciando spazio a un campione che fatica a mantenere il livello per tutta la durata di un evento. A complicare il tutto, c’è un paradosso: per ritrovare ritmo e brillantezza servirebbe giocare il più possibile, ma le sconfitte premature non aiutano. Un loop che rischia di ingabbiare Djokovic proprio in questo tratto finale della carriera. Adesso il serbo si trova davanti a un bivio: provare a giocare il Masters1000 di Miami per cercare un immediato riscatto o prendersi una pausa strategica, per riequilibrare mente e corpo in vista di Roland Garros e Wimbledon?

La terra battuta, per quanto sia stato capace di vincere tre volte a Parigi, non è mai stata il suo habitat naturale, neppure nei giorni migliori. Quindi la stagione primaverile potrebbe riservargli altre delusioni. Ma proprio per questo potrebbe rivelarsi l’ultima occasione per accumulare partite ed arrivare a Londra nella miglior condizione possibile. Perché, come sottolinea Bertolucci, Wimbledon sarà lo spartiacque di tutta la sua stagione, e forse della sua carriera. “Sui prati probabilmente potrà ancora dare fastidio a tutti, ma se non fosse così, credo che davvero scorrerebbero i titoli di coda su un percorso leggendario”. In altre parole, se Djokovic non dovesse più essere competitivo sull’erba, allora il sipario sulla sua epoca potrebbe calare definitivamente. Se nel 2023 Djokovic ha sfiorato il Grande Slam a 36 anni, quest'anno sembra sempre più lontano dal dominare il circuito. Le nuove generazioni avanzano, la fatica si fa sentire, le motivazioni vacillano. Il 25° Slam e il 100° titolo Atp, che sarebbero traguardi clamorosi, rischiano di restare miraggi se il serbo non ritroverà in fretta il suo tennis. L’ora più buia è arrivata. La domanda ora non è più “quando tornerà al top?”, ma piuttosto “è già arrivato il momento di dire basta?”. Wimbledon potrebbe avere la risposta definitiva.